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La Palestina si ribella ai delitti d’onore

Michele Giorgio 3 settembre 2019
Continuano manifestazioni e raduni per la morte di Israa Ghrayeb. La 21enne palestinese sarebbe stata pestata brutalmente per aver “disonorato” la famiglia. La società civile chiede che il presidente Abu Mazen approvi la legge per la protezione delle donne. Domani a Ramallah una nuova protesta.

Nei pressi della casa, non lontana dal Ymca di Beit Sahour, alle porte di Betlemme, un ragazzo ci avverte: nessuno risponderà alle nostre domande. Il procuratore palestinese incaricato delle indagini, in attesa degli esiti ufficiali dell’autopsia, ha chiesto alla famiglia Ghrayeb di non fare dichiarazioni pubbliche. Ma non avrebbero parlato in ogni caso, i giornalisti non sono benvenuti in quella casa. Più va avanti l’inchiesta sulle cause della morte «in circostanze sospette» della figlia 21enne Israa e più Nasser Ghrayeb, sua moglie e i figli si chiudono a riccio. Accusati da più parti di essere responsabili di un “delitto d’onore”, ripetono che la ragazza è morta per «cause naturali», dopo un incidente, e che da tempo era in «stato confusionale». Una versione alla quale pochi credono a Beit Sahour. Israa, dicono in tanti è stata picchiata brutalmente. I suoi familiari la accusavano di averli «disonorati» perché si era scelta da sola il fidanzato che frequentava senza il loro consenso. Un femminicidio dunque. Qui li chiamano «delitto d’onore», in Italia in altri modi, da altre parti usano definizioni diverse, ma il risultato è sempre lo stesso. Donne, giovani e meno giovani, in Occidente, in Medio oriente, in ogni parte del mondo, sono uccise dai mariti, dai compagni, dal padre, dai fratelli per non aver accettato imposizioni, per aver scelto una vita indipendente, autonoma, per aver cominciato una relazione o per aver messo fine a matrimonio o a un rapporto sentimentale.
La società civile palestinese sta reagendo con forza alla morte/uccisione di Israa.Centinaia di donne, ma anche tanti uomini, da giorni manifestano a Beit Sahour, Betlemme, Ramallah e altri centri per chiedere la fine della violenza sulle donne e dei femminicidi. E per spingere l’Anp di Abu Mazen a dare il via libera alla legge per la protezione della famiglia e delle donne in modo da mettere fine la famigerata legge numero 99, presa dall’ordinamento giordano, che ancora oggi consente ai responsabili di delitti d’onore, ossia di un omicidio molto spesso premeditato, di cavarsela con condanne minime e di tornare liberi in breve tempo. «Nel 2019 abbiamo già avuto 18 femminicidi, 14 in Cisgiordania e quattro a Gaza. Molti sono i cosiddetti delitti d’onore», dice al manifesto Rania Siniora, direttrice del Wclac (Women’s Center for Legal Aid and Counselling), «le donne palestinesi da anni si battono con tutte le loro forze contro le espressioni più mortificanti e negative della società patriarcale e per impedire che degli assassini possano godere di attenuanti e benefici dopo aver ucciso brutalmente delle donne». Il nodo rimane l’emendamento o l’annullamento dell’articolo 99 aggiunge Siniora. Ricorda che anni fa vari gruppi per i diritti delle donne palestinesi hanno presentato una petizione con quasi 12.000 firme al presidente Abu Mazen per modificare quell’articolo. «Dall’Anp – prosegue la direttrice del Wclac – continuano a dirci che il Consiglio legislativo palestinese è fermo dal 2006 (quando si è aperta la frattura tra Hamas e Fatah, il partito di Abu Mazen, ndr) e non può approvare la legge per la protezione della famiglia. Ma noi sappiamo che un decreto firmato dal presidente potrebbe risolvere tutto».
Intanto resta da chiarire cosa sia accaduto a Israa. Dopo la sua morte molti palestinesi hanno denunciato che è stata picchiata, dai fratelli e dai cugini, per aver postato sui social un video e alcune foto in cui appare assieme al ragazzo e a sua sorella, «disonorando» la famiglia. Ma il caso di Israa è più complesso, un calvario che è terminato con la sua morte. «Era una ragazza simpatica e tranquilla ed era amica di tutte», ci dice Najwa, ex compagna di scuola di Israa. Najwa, come molti a Beit Sahour, punta il dito contro una cugina della giovane morta. «A gridare allo scandalo e ad accusare per prima Israa di aver portato il disonore nella famiglia – spiega – è stata una sua cugina. Appena ha visto quelle immagini sui social si è precipitata a casa di genitori (di Israa) accusandoli di dare troppa libertà alla figlia». Ma la storia delle «immagini compromettenti», della famiglia dai costumi rigidi, non spiega tutto.
Beit Sahour, dove cristiani e musulmani vivono insieme, non è certo il centro abitato più conservatore della Cisgiordania. Al contrario vi si respira un clima relativamente liberal che coinvolge un po’ tutta la popolazione. Israa lavorava come estetista e studiava inglese all’Università di Betlemme. La sua vita era tranquilla e la sua occupazione le permetteva di essere economicamente indipendente e di aiutare la famiglia. Aveva rifiutato un matrimonio combinato, pare con un cugino, perché era innamorata del suo ragazzo. «Il padre e la madre in realtà avevano accettato la sua volontà – ci dice Maher S., un medico di Beit Sahour che ha chiesto di rimanere anonimo – ma nel resto della famiglia, tra i suoi fratelli, zii e cugini, quel rifiuto era apparso un affronto, una ribellione a una volontà comune ancorata alla tradizione».
L’8 agosto, Israa è stata portata in un ospedale di Betlemme, e poi trasferita in un altro, per due vertebre fratturate a causa di una «caduta nel cortile dal primo piano della casa». I medici avevano subito parlato della necessità di un intervento chirurgico ma a sorpresa la ragazza ha chiesto di essere dimessa. Pare su pressione della famiglia, qualcuno invece spiega la decisione con la mancanza dell’assicurazione sanitaria. E mentre è in ospedale la famiglia, di fronte ad un presunto stato mentale «precario» della ragazza» fa intervenire uno sceicco esorcista, il quale sentenzia che Israa «è posseduta da un jinn», lo spiritello maligno della tradizione araba.
Nei suoi ultimi giorni di vita la ragazza posta i suoi pensieri sui social, parole che trasmettono il dolore per la sua condizione, l’impossibilità di andare a lavorare, non certo quelli di una «malata di mente» e «posseduta da un jinn». Infine è giunta la morte «per infarto». Qualche giorno dopo diventa virale un breve video da una stanza d’ospedale con grida strazianti attribuite alla ragazza, forse aggredita dai familiari. «Non ci arrenderemo – avverte Rania Siniora – vogliamo chiarezza e giustizia. Se Israa è stata uccisa chiediamo che i responsabili siano puniti come dei normali assassini».