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SIRIA. L’eredità dell’Isis: trovati altri 200 corpi in una fossa comune

4 luglio 2019, Nena News
Sono nove i siti di fosse comuni scoperti dallo scorso autunno nei centri abitati controllati per tre anni dallo Stato Islamico. In tutto sono stati rinvenuti i resti di circa cinquemila persone, di cui solo 900 sono state identificate.

Duecento corpi, tra cui quelli di molte donne, sono stati rinvenuti a Raqqa, nel nord della Siria, nell’ultima, in ordine di tempo, fossa comune scoperta dalle squadre di ricerca curdo-siriane. Raqqa per tre anni, dal 2014 al 2017, è stata la capitale in Siria del cosiddetto Stato islamico (Isis). In questa città nel 2013 scomparve il frate e studioso italiano Paolo Dall’Oglio, mai più ritrovato. Capitale dell’Isis in Iraq invece è stata Mosul, nel nord del paese.
Stando a quanto riferiscono fonti locali, alcuni dei corpi nella fossa comune mostrano segni di lapidazione, il metodo con cui i militanti dello Stato islamico giustiziano le donne condannate per “crimini” di carattere sessuale. Inoltre sono stati trovati resti umani avvolti nei vestiti arancioni usati dall’Isis per i condannati a morte prima dell’esecuzione (e che ricordano a loro volta quelli dei prigionieri del carcere statunitense di massima sicurezza di Guantanamo).
A fine maggio era stata ritrovata un’altra fossa comune a Dayr az Zor, città della Siria orientale rimasta in gran parte sotto il controllo dell’Isis per oltre tre anni prima di essere liberata dalla forze armate siriane. Sempre a Raqqa, ad aprile era stata trovata una fossa comune con i resti di circa 1.700 corpi. Sono nove i siti di fosse comuni scoperti dallo scorso autunno. In tutto sono stati rinvenuti i resti di circa cinquemila persone, di cui solo 900 sono state identificate.
L’Isis è stato sconfitto in Siria, dal punto di vista militare, solo la scorsa primavera quando i suoi miliziani sono stati costretti ad abbandonare, sotto l’incalzare delle forte curdo-arabe delle SDF, la loro ultima roccaforte a Baghuz, tra l’Eufrate e il confine con l’Iraq. Raqqa invece è caduta nel 2017. Da allora e per quasi tutto il 2018 nessuna organizzazione locale e internazionale ha potuto cominciare gli scavi alla ricerca delle fosse comuni.
Battuto militarmente e senza più avere un territorio omogeneo sotto il suo controllo, l’Isis comunque non è scomparso. Così come non sembra essere morto, come più volte è stato affermato negli ultimi anni, il suo “emiro” Abu Bakr al Baghdadi. I suoi miliziani compiono frequenti attacchi e attentati contro le forze armate governative in Siria e stanno tentando di ricostruire delle basi in Iraq. Autorità locali irachene nel nord del paese segnalano che si stanno intensificando i movimenti di uomini dello Stato islamico nella provincia di Ninive, in particolare nei territori desertici vicini al confine con la Siria, dove avrebbero occupato case ed edifici abbandonati e li userebbero per nascondersi ai pattugliamenti dell’aviazione irachena.
Due giorni fa quattro combattenti dello Stato islamico sono stati uccisi a sud di di Tal Afar, a ovest di Mosul, durante un’operazione delle Unità della mobilitazione popolare (Pmu), una milizia irachena a maggioranza sciita che appoggia l’esercito nella lotta all’Isis. Ieri cinque civili sono stati uccisi da un kamikaze, quasi certamente dell’Isis, a Sweida, città situata della Siria sud-occidentale non lontana dal confine con la Giordania. Altri 13 civili sono rimasti feriti. Si tratta del primo attacco suicida in questa provincia abitata da una maggioranza di Drusi dopo la sanguinosa offensiva lanciata dai jihadisti nel luglio 2018. In quell’occasione la comunità drusa fu bersaglio di attacchi coordinati dell’Isis costati la vita a 260 persone.