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SUDAN. I militari annullano accordi con l’opposizione e parlano di elezioni

4 giugno 2019, Nena News
Dopo il massacro di ieri (almeno 35 manifestanti uccisi), il leader del Consiglio transitorio militare (Tmc) Abdel Fattah al-Burhan ha detto oggi di essere dispiaciuto per quanto accaduto ieri e ha promesso l’apertura di una inchiesta. Ma intanto le decisioni prese dall’esercito gettano altra benzina sul fuoco.

Dopo la durissima repressione di ieri, il Consiglio transitorio militare sudanese (Tmc) è passato oggi alla seconda fase, quella più propriamente “politica”, annullando tutti gli accordi con la principale coalizione d’opposizione e parlando di elezioni entro nove mesi.
Decisioni che getteranno altra benzina sul fuoco in una situazione già di per sé incandescente: le migliaia di dimostranti che da mesi scendono in piazza in Sudan protestando prima contro il presidente al-Bashir e ora contro i militari ritengono che le elezioni debbano aver luogo solo al termine di un lungo periodo di transizione gestito da un’amministrazione civile (una posizione sostenuta anche dalla comunità internazionale).
Ma a far parlare è tuttavia ancora oggi il bagno di sangue compiuto ieri dall’esercito nella capitale Khartoum. Almeno 35 persone sono rimaste uccise (116 ferite) quando le forze di sicurezza hanno fatto irruzione nel presidio di protesta che da mesi migliaia di sudanesi hanno allestito fuori il ministero della difesa. Il principale gruppo di manifestanti, l’Associazione dei professionisti sudanesi (Spa), ha parlato di “massacro” e ha puntato il dito contro l’esercito. I militari, però, hanno respinto le accuse. Il portavoce del Tmc, il Generale Shams el-Din Kabbashi, a tal proposito è stato chiaro: l’esercito, ha spiegato, stava ricercando solo degli “elementi insubordinati” che hanno trovato rifugio nel campo di protesta e che stanno causando il caos.
Una ricostruzione dei fatti che appare assai poco credibile vista la dinamica delle violenze di ieri con i colpi di arma da fuoco che hanno colpito indiscriminatamente i manifestanti. Quel che Kabbashi non dice né può dire è che il sit-in era diventato il fulcro delle proteste contro l’esercito e premeva per l’immediato passaggio dei poteri ai civili. Uno scenario che per il Tmc è inaccettabile.
Proprio sul numero dei civili presenti nel governo ad interim che dovrebbe guidare il Paese in una fase transitoria, i militari e le opposizioni non riescono a trovare da mesi un accordo definitivo. L’impasse politica non ha fatto altro che alimentare ulteriori tensioni tra le due parti.
Il Sudan è in agitazione da dicembre quando l’aumento del prezzo del pane e la mancanza di denaro hanno portato in piazza migliaia di sudanesi contro il regime di al-Bashir. Le manifestazioni avevano raggiunto un primo obiettivo ad aprile quando il presidente/dittatore, dopo trent’anni a potere, veniva rimosso dalle forze armate. Ma se i militari pensavano che, sacrificando al-Bashir, potessero placare la rabbia popolare e porre fine alla sete di giustizia sociale e di democrazia di migliaia di sudanesi, allora si sbagliavano di grosso. Il sit-in che ieri l’esercito ha provato a rimuovere era proprio la più chiara dimostrazione della voglia di tanti cittadini di rovesciare l’intero sistema di potere e di non accontentarsi solo di alcuni cambiamenti cosmetici.
A rendere il clima più teso nel Paese ci ha pensato oggi anche il leader del Tmc, il Generale Abdel Fattah al-Burhan. Secondo Burhan, infatti, anche le forze d’opposizione sono ugualmente responsabili per non essere riuscite a raggiungere con l’esercito l’accordo finale sul governo ad interim. “Legittimità e il mandato [di governo] non vengono attraverso le urne” ha detto prima di promettere la formazione “a breve” di un esecutivo che guiderà il Paese fino a quando non avranno luogo le elezioni. Burhan si è detto anche dispiaciuto per le violenze di ieri all’interno di quella che ha definito una “operazione per ripulire la via del Nilo” e ha annunciato che sarà aperta un’inchiesta per fare chiarezza su quanto accaduto. Parole che, più pensate per i suoi cittadini, sono uno specchietto per le allodole per l’Europa, gli Stati Uniti e l’Unione Africana che ieri avevano condannato la repressione dei militari.
La decisione del Tmc non è stata finora commentata dalle opposizioni. Quel che è certo, e lo hanno ribadito anche ieri, è che le loro proteste continueranno finché i militari non consegneranno il potere ai civili.