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SUDAN. L’esercito attacca il presidio di protesta a Khartoum

Roberto Prinzi 3 giugno 2019
Le forze armate sudanesi stanno provando a disperdere il luogo simbolo delle proteste di questi mesi presidiato giorno e notte da migliaia di attivisti. Almeno due le vittime. Strade e ponti chiuse nella capitale.

AGGIORNAMENTO:
ore 15:00 Sono al momento 13 i manifestanti uccisi dalle forze armate sudanesi. Tra le vittime, anche un 13enne.
Quello che si temeva da settimane, e soprattutto negli ultimi giorni, sta accadendo in queste ore in Sudan: le forze armate sudanese stanno tentando da questa mattina di disperdere il presidio di protesta fuori il quartier generale delle forze armate nella capitale Khartoum. Secondo un’associazione di medici almeno due manifestanti sono rimasti finora uccisi (dozzine i feriti) nel blitz dei militari che è tuttora in corso.
A lanciare l’allarme è stata l’Associazione dei professionisti sudanesi (Spa), il gruppo che sta guidando le proteste iniziate lo scorso dicembre. “Ora sta avendo luogo un tentativo di disperdere il presidio da parte del Consiglio militare” ha detto laconicamente il gruppo. Spa parla di un “massacro sanguinoso” e ha invitato i cittadini sudanesi alla “disobbedienza civile” e a scendere in piazza a protestare nel tentativo di far cadere il governo militare.
A prendere una posizione netta contro l’esercito sudanese è anche l’ambasciatore britannico in Sudan che su Twitter ha detto di essere “estremamente preoccupato per i pesanti colpi di arma da fuoco che sento dalla mia residenza e dalle notizie dell’attacco delle forze di sicurezza al sit-in di protesta che avrebbe causato alcune vittime. Non ci sono scuse per questo attacco. Deve finire. Ora”.
La violenza di queste ore segue due mesi d’impasse politica tra i manifestanti e l’esercito circa il passaggio di poteri ad un governo ad interim. Il Consiglio militare transitorio (Tmc), che ha assunto il controllo del Paese ad aprile quando ha deposto il presidente Omar al-Bashir dopo trent’anni di dittatura, si è dimostrato disponibile a lasciare il governo ai manifestanti purché mantenga la piena autorità nel periodo transitorio. I dimostranti, invece, chiedono che siano i civili a guidare il Paese in questa fase che dovrebbe portare alla democrazia lo stato nord africano.
In questi mesi il Tmc ha più volte ripetuto che non avrebbe usato la forza per disperdere il presidio di migliaia di uomini e donne situato fuori il ministero della difesa (e quartier generale dell’esercito). Dichiarazioni che non sono corrisposte sempre al vero: le violenze compiute dall’esercito ci sono state. Basti pensare, restando soltanto all’ultimo mese, che a metà maggio i militari hanno ucciso 6 persone e che altri tre dimostranti (tra questi una donna incinta) hanno perso la vita negli ultimi giorni.
Quanto sta avvenendo in queste ore non può sorprendere: da settimane il Consiglio militare ripete che vanno liberate le strade per ripristinare la sicurezza e i manifestanti e i loro rappresentanti – coalizzati nelle Forze per la libertà e il cambiamento (Fcc) – rispondono picche. Per gli attivisti, il motivo della “sicurezza” è solo una scusa per smobilitare il grande presidio che dallo scorso 6 aprile sta esercitando una pressione considerevole sulla giunta militare.
Al momento il Tmc non ha commentato quanto sta succedendo in queste ore. Le immagini televisive trasmesse da alcune reti mostrano scene di caos con manifestanti che scappano e del fumo nero che sale dalle tende a cui apparentemente hanno dato fuoco le forze armate. L’agenzia Reuters, citando alcuni testimoni oculari, riferisce che le truppe armate sono dispiegate nell’area centrale della capitale e che le strade e i ponti sul Nilo sono chiusi. Il tentativo sembra essere chiaro: impedire alle persone di raggiungere il presidio di protesta.
Bisogna capire cosa produrrà questo atto di forza da parte dell’esercito. Le varie anime del movimento che da mesi presidiano giorno e notte l’area hanno ribadito in più circostanze che rimuoveranno le loro tende solo quando il potere esecutivo passerà in mani civili e quando i generali – espressione del vecchio regime – si faranno da parte. In effetti se i militari pensavano che potevano accontentare la piazza sacrificando soltanto al-Bashir (ma autoassolvendosi) sbagliavano di grosso: l’opposizione non ha mai mostrato finora segni di cedimento e ha continuato a incalzare il regime. Un regime che ha provato a dare ai suoi cittadini (e alla comunità internazionale) soltanto una faccia più presentabile, ripulita, ma che nella sostanza dei fatti è rimasto immutato. Almeno così la pensa l’opposizione, riunita in un fronte molto ampio.
L’attacco di oggi era stato annunciato qualche giorno fa dall’esercito: il presidio, aveva riferito la giunta, è diventato un centro di “attività criminali” e non sarebbe stato più tollerato. Detto fatto. Che la tensione era salita negli ultimi giorni era apparso evidente anche con la decisione di chiudere l’ufficio di Khartoum della rete panaraba al-Jazeera.