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PALESTINA. “Con la raccolta delle olive, ritornano gli attacchi dei coloni”

Yumna Patel – Traduzione di Elena Bellini – 15 ottobre 2018
Gli abitanti del villaggio di Turmusayya (tra Ramallah e Nablus) hanno ottenuto dalle autorità israeliane il permesso di raccogliere le olive. Ma una volta arrivati alle terre, hanno scoperto che decine di ulivi sono stati sradicati e fatti marcire.

È finalmente giunta l’ora: gli abitanti di Turmusayya, lussureggiante villaggio palestinese rannicchiato nella valle tra Ramallah e Nablus, Cisgiordania centrale, hanno ottenuto dalle autorità israeliane il permesso di raccogliere le olive. Questa possibilità si ha solo due volte all’anno: due giorni in primavera per coltivare la terra e due giorni in autunno per raccogliere le olive.
Pieni di entusiasmo e senso d’impellenza, gli abitanti si sono avviati verso le proprie terre, circondate da un insediamento e avamposto israeliano. Giunti sul posto, sono rimasti sconvolti davanti a decine di ulivi abbattuti, sradicati e fatti marcire. I 40 olivi appartenevano al settantottenne palestinese Mahmoud al-Araj, che si prende cura degli alberi da quando era un bambino.
“Alcuni di questi alberi hanno 40, 50, 60, 70 anni” ha dichiarato al-Araj a Mondoweiss, sedendosi all’ombra di un grande ulivo tranciato alla base. “Ho coltivato questi alberi, questa terra, fin da quando ero piccolo. Abbiamo aiutato le nostre famiglie e ci siamo spaccati la schiena su questa terra, per poter provvedere ai nostri figli e alle future generazioni”.
Mentre al-Araj indica l’avamposto israeliano illegale di Adei Ad, costruito sulle terre di Turmusayya, a poche centinaia di metri di distanza, l’angoscia nella sua voce aumenta.“Mettiamo tutto il nostro impegno per la nostra terra e questi alberi, e alla fine arrivano i coloni a distruggere tutto”.
Gli attacchi dei coloni: un aspetto ‘inevitabile’ della raccolta
“Quando abbiamo visto gli alberi in queste condizioni, non abbiamo chiamato Mahmoud per paura che gli sarebbe venuto un infarto” racconta a Mondoweiss Said Hussein, parente di al-Araj, mentre lo sostiene lungo il sentiero accidentato che porta all’oliveto.
Hussein, che ha diversi negozi in America, passa la vita tra Chicago e Turmusayya, suo paese natale. Possiede diversi acri di terra nel villaggio, la maggior parte dei quali sono per lui inaccessibili.
“Ho 114 dunum (28 acri) di terra all’interno e intorno a Turmusayya”, racconta Hussein a Mondoweiss, indicando le morbide colline all’orizzonte, “ma posso accedere solo a 30 dunum. E anche per quei 30 devo ottenere il permesso dagli israeliani.”
Hussein racconta che la sua famiglia aveva circa 1.000 olivi sul terreno del villaggio. Oggi il numero si aggira tra i 150 e i 200 alberi. “Prima che arrivassero i coloni, ci piaceva venire qui non solo per lavorare la terra, ma anche per godercela in famiglia e fare un picnic” continua Hussein, sorridendo nel rammentare i bei ricordi della sua gioventù. “Ogni venerdì venivamo qui a sederci sotto gli alberi, mangiavamo e ci divertivamo insieme”, racconta. “Oggi ci è permesso entrare qui solo quattro giorni all’anno, e non possiamo neanche goderceli perché siamo impegnati a finire il lavoro in tempo”.
Secondo Hussein, le limitazioni imposte da Israele ai contadini di Turmusayya sono iniziate nel 1998, lo stesso anno in cui venne costruito l’avamposto di Adei Ad. “Ci hanno reso sempre più difficile accedere alle nostre terre, finché, intorno al 2002, è stato istituito ufficialmente l’obbligo di ottenere il permesso israeliano per poterlo fare”.
Hussein ribadisce che quattro giorni all’anno non sono neanche lontanamente sufficienti per occuparsi degli olivi e della terra.
“Questi alberi li devi amare, devi prendertene cura come se fossero tuoi figli. La terra ha bisogno di costante manutenzione per sradicare le erbacce, potare i rami degli alberi, eccetera”, spiega. “Come si può pensare che riusciamo a fare tutto in soli quattro giorni?”
“E, come se non bastasse, quando abbiamo la possibilità di venire qui non possiamo neanche goderci appieno la terra, perché dobbiamo costantemente guardarci le spalle dai coloni, che vengono per tormentarci e attaccarci mentre stiamo lavorando”, aggiunge.
Hussein ha raccontato a Mondoweiss di aver subito, negli anni, diversi attacchi da parte dei coloni. “Hanno irrorato i miei alberi con il veleno, uccidendoli, ne hanno tagliati e sradicati altri, hanno dato fuoco alla mia macchina e sfondato i finestrini mentre stavo lavorando la terra”. “Gli attacchi dei coloni sono diventati un aspetto inevitabile della raccolta delle olive”, dice, scuotendo la testa. “È matematico che succederà, ogni anno.”
Gli olivi sono un nemico per i coloni
I casi di Hussein e al-Araj non sono isolati. A Turmusayya, circa il 60% dei 4.350 acri di terreno del villaggio si trova in Area C, la zona della Cisgiordania sotto pieno controllo militare e civile israeliano, in cui è vietata ai palestinesi la costruzione (di edifici, ndt) o il lavoro nei campi.
La maggior parte della terra in Area C è costituita da terreni agricoli, coltivati per lo più a olivo, vite, frumento e altri prodotti. Secondo Wadi Abu Awwad, 65 anni, funzionario municipale e direttore dei servizi topografici di Turmusayya, tutti gli undicimila residenti di Turmusayyapossiedono un qualche pezzo di terra in quell’area, e l’agricoltura è quindi uno degli elementi principali della vita del villaggio. Turmusayya è circondata, a nord e a est, da cinque insediamenti e avamposti israeliani, il che la rende facile preda dei frequenti attacchi dei coloni.
“Dal 1990, o forse anche prima, Turmusayya e i villaggi circostanti hanno sofferto molto” racconta Abu Awwad, dal suo ufficio, a Mondoweiss. “I coloni, nel corso degli anni, hanno tagliato migliaia di olivi, distrutto e dato fuoco alle macchine degli abitanti, e i loro attacchi hanno causato la morte di quattro persone”.
Abu Awwad dichiara che, nel 2014, i coloni hanno abbattuto circa 2000 alberi. “Fanno tutto il possibile per farci abbandonare la terra, fanno buchi (nei tronchi, ndt) con il trapano e avvelenano gli alberi, o li spruzzano con i pesticidi.” Durante il suo mandato, Abu Awwad ha presentato alle autorità israeliane oltre 93 denunce contro i coloni. Non ce n’è una che abbia mai portato a un arresto. “I soldati dicono sempre che non abbiamo le prove, e tentano di sostenere che magari abbiamo ’nemici interni’ che tagliano gli alberi”.
Qualche anno fa, secondo Abu Awwad, a un colono è caduto il documento di identità sulla scena dell’attacco. “Abbiamo fatto vedere il documento ai soldati e abbiamo detto ‘Guardate, abbiamo una prova’. Ma loro ci hanno risposto che non era sufficiente, e che il colono aveva appena smarrito il suo documento in quella zona”.
“Noi però lo sappiamo che, ogni volta che c’è un attacco contro gli alberi o le proprietà del villaggio, sono stati i coloni”.
“Com’è che perdiamo solo gli alberi delle zone vicine agli insediamenti? La valle di Turmusayya è grande, e ci sono molti alberi nel villaggio che non sono mai stati sfiorati. È perché i coloni, a quelli, non hanno accesso.”
Abu Awwad, come molti altri palestinesi vittime di attacchi da parte dei coloni, è convinto che i coloni prendano di mira l’agricoltura come parte della strategia a lungo termine per spingere i palestinesi a lasciare le loro terre.
“Gli olivi sono nemici per i coloni. Perché, se hai i tuoi alberi piantati qui vuol dire che qui ci resterai” dice. “Loro vogliono che la terra rimanga incolta, così possono impossessarsene invocando la legge ottomana, che prevede che, se non coltivi per cinque anni, il governo ha il diritto di espropriarti”. Nonostante decine di attacchi da parte dei coloni, Abu Awwad dice di avere fiducia che la gente di Turmusayya non lascerà le proprie terre.
“Pensano che tagliando gli alberi faranno arrendere i contadini, – dice – ma non è mai successo e non succederà mai. Ogni volta che loro tagliano, noi torniamo e ripiantiamo”. Nena News
Yumna Patel è un giornalista multimediale di Betlemme, Palestina. Per seguirlo su Twitter: @yumna_patel