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Il mito del genio maschile ha fatto il suo tempo

Di Francesca
Bonfanti, Lettera Donna, 17 maggio 2018

Se ne sta
parlando molto per via delle denunce contro registi e scrittori: sembra essere
stato a lungo un modo di nascondere la violenza dietro la creativià.

A orbitare
nell’universo #MeToo non sono solo i singoli casi di molestie e abusi che
appiano periodicamente sulle prime pagine, suscitando più o meno clamore a
seconda dei nomi coinvolti. Ci sono anche temi e concetti più generali che
riguardano il modo in cui abbiamo sempre concepito i rapporti fra uomini e donne.
Nell’ultimo periodo, in America, si sta discutendo molto di quello che viene
riassunto come ‘il mito del genio maschile’. Se n’è discusso a proposito di
Woody Allen, di Roman Polanski e di Lars Von Trier, ora al centro dei
riflettori per la sua partecipazione a Cannes. Se ne sta discutendo in merito
allo scrittore Junot Diaz, più
conosciuto Oltreoceano che in Italia
, che ha abbandonato
la carica di presidente del Premio Pulitzer
per alcune accuse nei
suoi confronti. Se ne parla insomma ogni volta che a finire in mezzo a scandali
e rivelazioni è un uomo in precedenza amato per la sua arte (cinematografica,
letteraria, attoriale che sia). Di solito, c’è chi difende a spada tratta il
partito del ‘condanna l’uomo, salva l’artista’ e chi invece non vede
giustificazioni alla violenza nell’avere una mente creativa. Secondo diverse
opinioniste, è la fine di un mito culturale trito e ritrito.
Il mito
che ha fatto il suo tempo
Ripercorrendo
la strada che dall’Antica Grecia al Romanticismo ha allontanato ciclicamente le
donne dall’Arte e lasciato agli uomini il diritto e il piacere di crogiolarsi
nell’idea di una genialità sacra e sregolata, Natasha Kini
sottolinea come l’avere un intelletto brillante sia stato usato come un
lasciapassare
per giustificare comportamenti altrimenti
condannabili. La leggenda dell’artista creatore, sopra le regole, confuso e
irascibile all’occorenza, è un’immagine che è stata consacrata da molti libri e
film, da personaggi diventati icone amate e dannate (amate perché dannate). Ma
è un costrutto che potrebbe, e dovrebbe, avere le ore contate. A tal proposito,
si sta
tornando a parlare anche del rapporto violento fra David Foster Wallace
,
scrittore simbolo di una generazione, e Mary Karr, più volte aggredita e
perseguitata dall’uomo, ma che finora non aveva avuto molto spazio di parola.
Miti
viziosi
Prendere
posizioni riguardo l’argomento non è facile, soprattutto quando a essere
toccate sono personalità a cui si è stati abituati a guardare con occhi devoti
e ammiranti. Come nota Amanda Hess
sul New York Times
, però, i motivi (e i meriti) che li rendevano
speciali per pubblico e stampa sono gli stessi che poi hanno permesso loro di abusare
del potere di cui disponevano. Il famoso cane che si morde la coda. Questo è un
meccanismo particolarmente comune nel mondo cinematografico, dove, seppur il
film sia un prodotto corale, per decenni ha regnato l’idea che l’unica figura
che contasse fosse quella del regista. In quanto primo motore dell’insieme, era
lui, di solito un uomo etero e bianco, a essere poi investito di tutta la
gloria e dei meriti, andando a coprire così tutte le ombre che potevano crearsi
dietro le sue spalle.