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Si suicidano anche gli agenti: 35 negli ultimi cinque anni

Damiano
Aliprandi, Il Dubbio, 21 Apr 2018

Sono 35 i
suicidi e 2.250 le aggressioni subite negli ultimi cinque anni dai poliziotti
penitenziari. E il trend è in aumento

Se in
carcere i detenuti si suicidano – sono già 11 dall’inizio dell’anno e 52
suicidi nel 2017 come ha evidenziato l’associazione Antigone nel suo rapporto
presentato due giorni fa – anche gli operatori penitenziari non sono esenti dal
rischio. Sono, infatti, 35 i suicidi e 2.250 le aggressioni subite negli ultimi
cinque anni dai poliziotti penitenziari. Una tendenza in aumento che svela tra
le righe le reali condizioni di lavoro del corpo, al limite delle possibilità e
in una condizione penitenziaria che necessita di essere riformata sia per la
condizione dei detenuti, sia per quella degli operatori. Ma la riforma
dell’ordinamento penitenziario è ancora ferma a pochi passi dal traguardo.
Nonostante le sollecitazioni del ministro della Giustizia, Andrea Orlando,
l’apertura del presidente della Camera, Roberto Fico, e il recente appello
sottoscritto dai 137 componenti degli Stati Generali dell’esecuzione penale, la
Commissione speciale della Camera non è ancora tornata sui suoi passi e non ha
ancora inserito in calendario l’esame finale sul decreto principale della
riforma. Eppure, se solo il governo volesse, potrebbe andare ugualmente avanti.
L’esponente del Partito Radicale Rita Bernardini ha ricordato che Il professor
Nicola Lupo, Ordinario di Diritto delle Assemblee elettive università Luiss,
dieci giorni fa aveva dichiarato a Giovanna Reanda di Radio Radicale che «se lo
schema del decreto è già stato trasmesso nei giorni scorsi ma non assegnato, il
governo è pienamente legittimato ad adottarlo lo stesso». Per ora il ministro
Orlando nella sua recente lettera indirizzata ai presidenti Casellati e Fico ha
sottolineato comunque «l’importanza che un provvedimento di tale portata abbia
in ogni caso la seconda valutazione da parte della Commissione speciale».
Nel
frattempo, però, si suicidano anche gli agenti penitenziari. Cinque giorni fa
un agente penitenzia- rio del Gruppo Operativo Mobile ( Gom) di 31 anni della
casa circondariale di Aosta – D. S., di origini sarde, sposato da pochi mesi,
in forza al della Polizia Penitenziaria e in questo periodo operativo in
Sardegna – si è tolto la vita a Oristano. A darne la notizia è stato Donato
Capece, segretario generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe.
«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli
appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria», ha detto il segretario del
Sappe: «Tragedie che ogni volta che si ripetono determinano in tutti noi grande
dolore e angoscia. E ogni volta la domanda che ci poniamo è sempre la stessa:
si poteva fare qualcosa per impedire queste morti ingiuste? Si poteva
intercettare il disagio che caratterizzava questi uomini e, quindi, intervenire
per tempo? Siamo vicini alla moglie, al figlio, ai familiari e agli amici. Non
sappiamo se vi siano correlazioni con il lavoro svolto – ha precisato – ma è
luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle
persone fragili e indifese: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle
categorie di lavoratori che almeno nell’immaginario collettivo ne sarebbero
esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette ‘ professioni di
aiuto’, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene
alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e alle
specificità del gruppo di appartenenza. Il riferimento è, ad esempio, a tutti
coloro che nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza spesso si ritrovano
soli con i loro vissuti, demotivati e sottoposti ad innumerevoli rischi e ad
occuparsi di vari stati di disagio familiare, di problemi sociali di infanzia
maltrattata ovvero tutto quel mondo della marginalità che ha bisogno,
soprattutto, di un aiuto immediato sulla strada per sopravvivere».
Trend in
aumento
Il numero
degli agenti penitenziari che decidono di togliersi la vita cresce al livello
esponenziale. A denunciare questo fenomeno attraverso i dati ufficiali è la
Funzione pubblica Cgil polizia penitenziaria. Parliamo di un nuovo step della
campagna della categoria dietro le parole “dentro a metà” lanciata proprio per
mostrare le condizioni di vita e di lavoro del personale di polizia
penitenziaria. Tra il 2013 e il 2017, in soli cinque anni, secondo i dati
raccolti dalla Fp Cgil, 35 sono stati i poliziotti penitenziari che si sono
tolti la vita, il più delle volte con l’arma di ordinanza. Le aggressioni
invece arrivano a 2.250, nello stesso periodo di riferimento. Un fenomeno che
appare essere in forte aumento, tenendo conto delle 344 violenze registrate nel
2013 a fronte delle 590 del 2017. «Dati che segnalano una condizione di vita e
di lavoro allo stremo delle possibilità», commenta Massimiliano Prestini,
coordinatore nazionale della Fp Cgil Polizia Penitenziaria. Inoltre sottolinea
che: «La cosa che preoccupa di più è che l’amministrazione penitenziaria non ha
risposto alla nostra pressante richiesta di avviare un confronto su una
situazione lavorativa la cui gravità non può essere ignorata. Benessere e
sicurezza devono diventare priorità nella gestione delle carceri del nostro
Paese».
A questo
si aggiunge anche un altro problema. Nelle scorse settimane, 600 agenti hanno
compilato un questionario commissionato dal sindacato penitenziario della Uil
ed è emerso che molto dello stress lamentato dagli agenti dipenderebbe dalla
chiusura degli ospedali psichiatrici. Con la chiusura degli Opg, infatti, è
aumentata la presenza di questi detenuti negli istituti penitenziari causando
nuove criticità e problematiche di gestione sia del detenuto con problemi
psichici che del ristretto esasperato dalla coesistenza con il soggetto malato.
Tra le cause anche, carenza di personale, formazione scadente e dirigenti poco
attenti e preparati. Ma, se quasi un terzo degli agenti della penitenziaria
dichiara un disagio al limite della sopportazione, il 65% lamenta una
situazione di forte malessere.
Le
soluzioni della UIL
Quali
soluzioni per arginare questo stress lavorativo all’interno dei penitenziari?
La stessa Uil che ha elaborato la ricerca attraverso il questionario, propone
un potenziamento del personale, perché «già una diversa distribuzione delle
risorse esistenti e l’ottimizzazione delle procedure operative potrebbero
contribuire a ridurre i carichi di lavoro». La formazione, infatti, rappresenta
uno strumento indispensabile per mettere gli operatori in grado di affrontare
le situazioni critiche che sono inevitabili nel lavoro carcerario. «Strumenti
specifici – propone lo studio della Uil devono essere introdotti per gestire le
problematiche dei detenuti stranieri e psichiatrici ( la proposta di aumentare
la presenza e potenziare l’intervento dei mediatori culturali è bene accetta
dal 52%). Analogamente – aggiunge il sindacato – la formazione dei commissari è
necessaria per superare le gravi carenze del management che sono state
denunciate». Per assicurare il grande impegno che viene richiesto
quotidianamente agli operatori, «risulta fondamentale adottare una gestione
delle risorse umane basata sulla comunicazione e sulla partecipazione» . Il
sindacato spiega che bisogna superare le soluzioni di emergenza adottate per
rispettare la sentenza Torreggiani, ridisegnando i modelli di detenzione e
formando gli operatori ai nuovi compiti. «Ma non bisogna dimenticare –
sottolinea la Uil – che l’agente di polizia penitenziaria si trova
quotidianamente a contatto con soggetti critici in condizioni di sofferenza e
che questo determina l’esigenza di un supporto psicologico e di controlli
sanitari periodici». In definitiva, per il sindacato, ciò che occorre in primo
luogo garantire all’agente penitenziario è proprio il supporto, in termini di
procedure definite, formazione, comunicazione con la direzione, chiarezza degli
obiettivi e dei criteri a cui attenersi. «Solo in questo modo – conclude il
sindacato potrà sentirsi un operatore della giustizia indispensabile per la
tenuta della società e non un guardiano lasciato da solo a presidiare la
barriera, con l’unico scopo di tenere lontani dalla nostra consapevolezza
quelli che non devono essere nominati». Su queste proposte la Uil auspica che
questa ricerca scientifica possa proseguire, anche in collaborazione con
l’Amministrazione della Polizia Penitenziaria, per l’attuazione e la verifica
di efficacia degli interventi migliorativi, nonché la sua estensione anche ad
altri Paesi ai fini di un confronto tra istituzioni carcerarie.