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Elezioni, i rischi che corre l’Italia in Europa

Giovanna
Faggionato
, Lettera 43, 05 marzo 2018

I
risultati delle urne fanno tremare Bruxelles. La riforma dell’Eurozona potrebbe
essere congelata. O, peggio, portata avanti senza di noi. Il che ci spingerebbe
in una spirale euroscettica. L’analisi di Wollf e Jones.
 
Emmanuel
Macron e Angela Merkel. ANSA
Se
dovesse dare all’Italia un titolo cinematografico Guntram Wollf, direttore del
Bruegel – il più importante think tank economico di Bruxelles – sceglierebbe
probabilmente La grande incertezza. Quello che emerge dal voto
è infatti un parlamento “appeso” che rischia di creare reazioni sui
mercati
e che non dà
sicurezze sul governo futuro
.

TEMPISTICA OSTILE
. E questa incertezza, da cui la Germania è appena uscita, è
preoccupante per il futuro del Paese. La tempistica non gioca dalla nostra
parte. L’Italia della grande incertezza si delinea proprio mentre in Europa
alcune capitali sono pronte ad accelerare sulla riforma dell’Eurozona. E non
solo Francia e Germania, ma anche la rigorista Olanda. Il rischio, spiega Erik
Jones, direttore degli Studi europei alla scuola di studi internazionali della
Johns Hopkins University, è che «la voce dell’Italia sia non sentita e non
ascoltata».
Alcuni
vedono nelle elezioni italiane la fine della primavera europea, una primavera
più raccontata che reale. Dove i populismi – e con questo termine sono stati
definiti per troppo tempo partiti diversi con il solo tratto comune di essere
euroscettici o anche solo critici nei confronti dell’Unione europea – sarebbero
stati sconfitti. Ma il nostro Paese ha qualcosa di diverso dagli altri: un
doppio populismo, se ancora ha senso utilizzare questa parola contenitore.

UN LABORATORIO EUROPEO. «L’Italia è un unicum, in Europa», osserva Jones, «la
Lega Nord ha contenuti in comune con altri partiti di estrema destra in altri
Stati Ue. Ma nessuno ha un partito come il Movimento 5 stelle». Non solo.
L’Italia potrebbe anche essere un laboratorio. «La Germania è nel vagone dietro
l’Italia, se ora la Spd arriva appena al 16%, cosa può succedere dopo un’altra
Grande coalizione?», si chiede Jones. «L’Italia potrebbe anticipare quello che
sta succedendo».

LA PARTITA DI BERLINO E PARIGI.
Intanto la Germania – e qui torna il fattore
tempo – è pronta finalmente a realizzare con l’alleato Emmanuel Macron la riforma
dell’Eurozona. Su come il voto nostrano possa incidere sui negoziati in corso a
Bruxelles, le opinioni divergono. Per il direttore del Center for european
reform, Charles Grant, «un’Italia instabile o euroscettica potrebbe stoppare i
piani franco tedeschi». Soprattutto, sostiene Grant, «se l’Italia si opponesse
alla disciplina di bilancio e alle riforme strutturali, la Germania sarebbe
meno portata a impegnarsi su elementi di trasferimenti di bilancio».

Per Wollf
semplicemente «la riforma dell’Eurozona funziona solo se tutti i Paesi la
sostengono, compresa l’Italia». Il rischio però non è solo che la riforma venga
congelata ma che prenda una direzione più negativa per il nostro Paese. Tra gli
Stati della zona euro, Germania, Francia, Italia e Olanda sono quelli che
finora si sono spesi maggiormente sul progetto di riforma, presentando in
maniera chiara le loro posizioni. «Francia e Germania stanno lavorando a
riforme istituzionali appoggiate anche dal centrosinistra italiano, ma c’è una
parte di proposte che riguardano la disciplina di bilancio (per esempio le
proposte di un meccanismo di ristrutturazione del debito sovrano, ndr) spinte
da Germania e Olanda, che già non hanno fiducia in partenza nei Paesi del Sud
Europa e in forze politiche come Lega e Movimento 5 stelle», osserva Jones.

RISCHIO SPIRALE. Proprio venerdì 2 marzo il premier olandese, il liberale Mark
Rutte, ha tenuto il suo discorso sull’Europa e, ricorda Jones, ha sottolineato
come gli Stati Ue debbano prendersi tutta la responsabilità sulle questioni
fiscali. In questo scenario, è il ragionamento del docente della John Hopkins,
il rischio è che «la voce italiana non venga né sentita né ascoltata». E il
problema non è a breve periodo: «Se non lo sarà», conclude il professore,
«l’Italia potrebbe diventare ancora più euroscettica». Una spirale capace di
avvitarsi su se stessa e di cui a Roma e a Bruxelles hanno appena potuto vedere
gli effetti.