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Serve più cultura per parlare di immigrazione. Il progetto “La frontiera”

Luciana Scarcia 18 febbraio 2018
Quali parole si usano quando si parla di immigrazione? E quale atteggiamento rivelano?

Le parole ci definiscono e quelle prevalenti oggi, piene di stereotipi, banalità e slogan più o meno violenti, rivelano dei parlanti approssimativi, umorali, irragionevoli, anche, o soprattutto, tra i politici. Invece servono parole ragionate che cerchino di ridurre l’inadeguatezza culturale di cui tutti soffriamo nell’affrontare un fenomeno nuovo e complesso come l’immigrazione. Ed è proprio per questo che è nato il progetto “La frontiera”, dal titolo dell’ultimo libro di Alessandro Leogrande, che lo ideò insieme a Elena Stancanelli. Scopo: fornire conoscenza e analisi del fenomeno per arrivare a dare indicazioni e suggerimenti alla politica.

Il progetto, promosso dal Salone del Libro e da BookPride, vede la collaborazione di Radio3, la Repubblica con l’inserto Robinson, il festival LibriCome e la casa editrice Laterza; prevede alcuni appuntamenti, in cui esperti di diverse materie rispondono a domande raccolte dall’associazione di scrittori Piccoli Maestri. Al termine verrà redatta una lunga lettera destinata al mondo della politica.
Il primo di questi appuntamenti è stato giovedì 15 febbraio nella trasmissione Fahrenheit di Radio3.
• Al geografo Franco Farinelli è stato chiesto di approfondire l’idea di frontiera come confine geografico


I confini che disegnano l’attuale impianto del mondo con linee geometriche – ha affermato Farinelli − derivano dalla concezione storica dello Stato moderno centralizzato del ‘400 e presuppongono identità nazionali omogenee e immobilità. Ma oggi la globalizzazione sovverte le suddivisioni spaziali calcolate su distanze metriche e ne rivela l’artificiosità. Gli spostamenti degli esseri umani e l’economia ci impongono di considerare il mondo come esso è, cioè una sfera, quindi senza confini rigidi. Non si tratta di coltivare l’utopia di un mondo senza confini, ma piuttosto di resettare i vecchi concetti per riformulare i confini in modo funzionale all’idea di rete, determinata dall’economia e dai movimenti di popolazione.
• Il botanico Stefano Mancuso ha spiegato come incidano cambiamenti climatici e desertificazione sulle migrazioni


Il fenomeno della desertificazione va inteso come diminuzione della percentuale di sostanza organica sotto una certa soglia; esso non riguarda solo le zone prospicienti i deserti bensì anche altre aree, ad esempio nel Sud dell’Italia e nelle zone costiere della Toscana e della Liguria. I cambiamenti climatici degli ultimi anni hanno esacerbato questo fenomeno: variazioni anche piccolissime delle temperature medie causano variazioni enormi nella possibilità di coltivare. Un aumento di mezzo grado della temperatura media, che tende a verificarsi ogni 30-40 anni, determina lo spostamento delle coltivazioni di centinaia di chilometri verso Nord, per cui nella zona sub-sahariana enormi aree diventano inadatte alla vita. E questo è un motore di migrazione.
• La filosofa Donatella Di Cesare ha trattato i concetti di cittadinanza, appartenenza, diritto di migrare


È in atto uno scontro epocale tra Stato e migranti. Assumendo il punto di vista dello Stato, il migrante costituisce una sfida alla sua sovranità, infrange il principio cardine dell’integrità del territorio nazionale. Il diritto internazionale conferma questo punto di vista, che autorizza gli Stati a decidere se accogliere − e con quali criteri – o respingere i migranti, anche violando i diritti umani. La frontiera − ostacolo al diritto di migrare − apre forti contraddizioni soprattutto all’interno delle democrazie occidentali e delle loro costituzioni, che hanno proclamato i diritti dell’uomo e del cittadino.


Tra diritti umani e diritti del cittadino viene a crearsi una frattura, basata su un equivoco: che la cittadinanza significhi proprietà del territorio, vale a dire il luogo in cui nasco mi appartiene. Questo mito dell’autoctonia è alla base dell’ideologia del sovranismo, fondato sul falso presupposto che lo Stato sia una comunità etno-omogenea. La realtà è, invece, che nell’era della globalizzazione siamo tutti stranieri residenti che co-abitano.
Il prossimo appuntamento del progetto La frontiera sarà il 4 aprile su Robinson di Repubblica e riguarderà scuola e lingua italiana.