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Non lasciamo sola Efrin

Giancarlo Scotoni 12 febbraio 2018
Qualche giorno fa mi sono stati dati parecchi filmati e fotografie provenienti da Efrin (Afrin) il cantone della Siria del Nord investito dall’offensiva turca di fine gennaio e tuttora in corso.

Mi era stato chiesto di montare un breve filmato, con urgenza.

Risultati di un’offensiva

Le immagini in cui mi sono immerso si aprivano sul panorama di una periferia, vista da lontano. Case moderne sul verde dell’erba invernale, in una mattina soleggiata. Fioriscono tre nuvolette di fumo bianco che crescono al passare dei secondi. Poi macerie, case sventrate. Poi tocca ai feriti che arrivano all’ospedale, tocca ai morti, al pupazzo in pagliaccetto che era stato uno o una bambina piccola, tre o quattro anni. Viene deposto su una coperta che contiene i resti smembrati di un o una adulta. E poi bambine e bambine.


All’ospedale

Morti e feriti, soccorritori e medici. Efficienza, compostezza, sconforto e rabbia. Infine c’era una bambina, ferita leggermente. Aveva un pigiamino rosso e stava accoccolata su un letto sbocconcellando un dolcetto. Era vivace e sembrava persino allegra. Poi, se si osservava con attenzione il suo sguardo che saltellava sui presenti, si vedevano bene gli occhi e questi erano spenti, pieni di incomprensione e panico.


Come scegliere le immagini per raccontare Efrin?

Scelgo, scarto. Alla fine compongo una specie di racconto, aggiungo i testi che mi sono stati richiesti e consegno.


A un certo punto ho capito che selezionare alcune di quelle immagini e tralasciare le altre era superiore alle mie forze. Non tanto per la mancanza di una professionalità, di un criterio, ma perché le immagini scartate mi urlavano dentro e ho capito che avrei preferito averne l’odore nel naso piuttosto che farmici bruciare il cervello. Ma non potevo essere lì.



Dunque ho deciso di pubblicarle tutte, superando ogni timore di espormi personalmente e mettendole a disposizione sul mio spazio internet. Questo non mi ha tranquillizzato: le immagini ancora urlano però adesso ho condiviso con gli altri quelle grida e sono gli altri che mi dovranno dire se ho fatto bene o no



Intanto, il filmato che avevo montato era stato messo su youtube. Accanto ce ne erano numerosi altri e alcuni erano di propaganda turca: potenti TIR che si dirigono al fronte stracarichi di cose, potenti aerei che paracadutano quintali di cose per rifornimento, ghigni. Poi non so, non ce l’ho fatta a vedere oltre.

Mi sono chiesto dove fosse più opportuno pubblicare un “racconto”, una “rendicontazione” come questa su Il cigno nero sito web in cui sono presente: tra le “varie”? Ho optato per lo spazio “sui generis”, alimentato con riflessioni sulla diversità con cui guardano il mondo uomini come me e donne come quelle che porto nel mio intimo. Ho compiuto questa scelta perché ho iniziato a amare quel Paese lavorando per il progetto della Casa delle Donne di Kobane, finanziato dall’8×1000 valdese; ma anche perché voglio credere che le donne di Kobane e le donne in lotta ovunque mi abbiano insegnato che ci sono cose che vanno oltre l’efficacia e la potenza, che ci sono altri piani su cui rischiare. E si tratta di un salto davvero piccolo quello che questo racconto compie per sentirsi a suo agio anche qui, a Piuculture.