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LA LETTERATURA PERSIANA NELLA “NUVOLA”

Federica Costantini 11 Dic. 2017
Bilancio da record con oltre 100 mila presenze per la sedicesima edizione di ‘Piu’ libri più liberi’, la fiera nazionale della Piccola e Media Editoria promossa e organizzata dall’Associazione Italiana Editori che si è svolta nella cornice della “Nuvola” di Massimiliano Fuksas, sconosciuta alla maggior parte degli stessi romani che hanno colto l’occasione per visitarla.

Tra i 350 stand presenti, anche quello dedicato alla narrativa persiana contemporanea, dall’editore Francesco Brioschi, che ha presentato la nuova collana “Gli Altri” “un progetto editoriale – spiega lo stesso Brioschi – che si basa su un assunto irrinunciabile: gli altri ci riguardano e in particolare l’Iran che con la sua cultura ci influenza da millenni e si intreccia alla nostra realtà socio-economica più di quanto possiamo pensare”. Tre i romanzi freschi di stampa, andati tutti esauriti alla fiera, scritti da giovani e giovanissime autrici che stanno dominando la scena letteraria persiana dopo secoli di appannaggio esclusivamente maschile. I libri presentati sono: “A Tehran le lumache fanno rumore” di Zahra ‘Abdi, “I Giorni che non ho vissuto” di Leyla Qasemi, e “Nelle Stanze della Soffitta” di Tahereh Alavi. Il quarto, “La Scelta di Sudabeh” di Fattaneh Haj Seyed Javadi è stato pubblicato alla fine degli anni ’90, ma per la prima volta è stato tradotto in italiano dall’iranista e islamologa, Anna Vanzan, presente all’appuntamento alla Nuvola. Inizialmente snobbato dai critici per il suo carattere popolare, è stata tradotto con successo anche in tedesco e in greco, totalizzando 56 edizioni nel corso degli anni.
A presentare i volumi alla Nuvola, Carlo Cereti, ordinario di Filologia, Religioni e Storia dell’Iran alla Sapienza di Roma, appena tornato alla “base”, dopo otto anni trascorsi a Tehran come addetto culturale dell’ambasciata italiana, insieme alla scrittrice e giornalista, Farian Sabahi, e al consigliere culturale iraniano, Akhbar Gholi. Nei primi due romanzi la guerra Iran – Iraq è presente, come una condizione di profondo malessere vissuto dalla generazione degli anni ’80, ancora in cerca di punti di riferimento e di un posto nel mondo, che oggi in Iran viene etichettata come “gioventù bruciata”.
“Si tratta del rapporto con la memoria – ha spiegato Cereti – la guerra ha cambiato profondamente la società iraniana e ora svolge il ruolo simbolico che la Resistenza ha nella Repubblica Italiana. Ogni famiglia ha sofferto un lutto e spesso le donne si sono trovate a fare i conti con l’assenza di chi, secondo la visione tradizionale della famiglia, avrebbe dovuto provvedere al benessere economico. Questo ha portato ad un cambiamento nella società, la cui parte femminile ha trovato un nuovo e più moderno ruolo, caricandosi di compiti precedentemente riservati ai maschi. Si tratta di un processo irreversibile, come in fondo lo è stato in Europa, che produrrà cambiamenti crescenti nel tempo”. In “A Tehran le lumache fanno rumore”, Afsun, ex fidanzata di Khorsou che non ha fatto più ritorno dal fronte della guerra, sembra una figura vincente, e del tutto “occidentalizzata”. E’ un’affermata psicologa, docente universitaria e protagonista di un talk show televisivo, sposata a un barone universitario docente di Storia. Ma in realtà è ancora fragile e sofferente per la scomparsa dell’amore della sua vita, Khorsou, e si dibatte tra mille incertezze. Shirin è la sorella di Khosrou. Vive insieme alla madre che ogni notte si chiude nella stanza del figlio il cui accesso è proibito a chiunque, piange, e spera nel suo ritorno. Timida e introversa, Shirin, annullata nelle sue esigenze di figlia dal grande dolore della madre, si costruisce un mondo parallelo, fatto di film che scarica dal computer. In particolare si immedesima nella situazione de” La stanza del figlio” di Nanni Moretti, che sente particolarmente vicina. Sullo sfondo la Tehran contemporanea con il traffico caotico che contraddistingue la città, il rumore costante dei cantieri dei palazzi in costruzione che sfregiano il profilo delle alte montagne, l’aria irrespirabile, ma con un paradossale e salvifico cielo azzurro. Il nodo che attorciglia le vite delle tre protagoniste si scioglie quando Shirin riesce con l’aiuto dell’amica Leyla a entrare nella stanza proibita del fratello. Qui scopre pile di lettere che Khosrou e Afsun s’erano scambiati durante l’adolescenza, ma mai recapitate perché intercettate dalla madre del ragazzo che evidentemente si opponeva al loro amore. Attraverso la lettura di questo scambio epistolare si avvia un processo catartico che coinvolge le tre protagoniste, inevitabilmente unite dalla sofferenza del passato che ritorna e che le induce, forse, a voltare pagina una volta per tutte.
Anche nel secondo romanzo “I giorni che non ho vissuto” la guerra ha lasciato le sue tracce di sofferenza. Bita, trentacinque anni, un matrimonio fallito alle spalle,rimpiange l’unico amore della sua vita, Omid, partito per l’Europa per volere della madre, allo scoppiare del conflitto Iran – Iraq. Dopo 20 anni, Bita riceve una richiesta di incontro da Mahshid, anziana madre di Omid, alla vigilia del ritorno del figlio in Iran. Nonostante l’iniziale riluttanza per l’astio che nutre nei confronti di Mahshid a cui attribuisce la responsabilità di tutti i suoi fallimenti, Bita accetta l’incontro e le due donne riescono a parlarsi e ad avvicinarsi, affrontando finalmente le antiche incomprensioni e le menzogne del passato e preparandosi ad affrontare un presente forse migliore, da protagoniste. Completamente diverso il plot narrativo del terzo volume “Nelle stanze della Soffitta”, dove la Alavi, esperta di letteratura per l’infanzia, affronta temi più comuni ai giovani di oggi: la realtà multietnica e il precariato del lavoro. “La letteratura dell’emigrazione è un genere specifico nell’ambito più vasto della letteratura persiana contemporanea – aggiunge Cereti – lo spaccato che offre il bel libro di Tahereh Alavi ci racconta la storia di una donna moderna, stretta tra sogni e ambizioni e la cruda realtà della vita di uno studente straniero a Parigi. I molti studenti ammessi nelle università pubbliche iraniane – completamente gratuite – compiono un percorso simile, spostandosi dalla provincia alla capitale o al contrario portando stili di vita metropolitani nelle città più lontane dal centro”.
La protagonista del romanzo si trasferisce dall’Iran a Parigi per studiare medicina, secondo i desideri del padre, dove abita in due stanze di una soffitta, insieme ad altri ragazzi che provengono da tutto il mondo. Puja, ragazza indiana tanto bruttina quanto vanitosa, Tony, reduce della guerra in Vietnam in carrozzina, Naim, giovane afghano con cui la protagonista si ritrova a dividere le proprie stanze su pressione del padrone di casa. Nel microcosmo etnico dell’appartamento si covano incertezze, si intrecciano amicizie e si coltivano nuove consapevolezze: nella protagonista l’incontro con i suoi coinquilini suscita in un primo momento un giudizio tagliente e sarcastico che non risparmia nessuno e che la fa allontanare, diffidente. Col passare del tempo per mantenersi all’università e pagare l’affitto, accetta, non senza imbarazzo, il lavoro di lavamorti in un obitorio musulmano. Per un iraniano, come direbbe sua madre, un vero insulto… “Essere qualcosa è davvero faticoso” confida a se stessa la protagonista. Ma è proprio nell’incontro con gli altri – gli inquilini del suo palazzo e i colleghi della sala mortuaria – e nel rispecchiarsi nei loro animi che lei finisce per riconoscersi come persona e sentirsi parte integrante del mondo.
Il quarto e ultimo romanzo “La scelta di Sudabeh” è ambientato nella Tehran del ‘900 ed esplora i temi delle differenze sociali e della condizione delle donne, offrendo uno spaccato della vita, usi, costumi, credenze dell’Iran, alcuni dei quali tuttora in essere. Sudabeh, tipica ragazza benestante dell’Iran post rivoluzione, rivendica con il padre e la madre la scelta di legarsi a un uomo culturalmente e socialmente inferiore. Ma su questa strada, Sudabeh è stata preceduta dalla zia, Mahbubeh, sorella della madre, che ha pagato un prezzo altissimo per seguire il suo cuore. La zia, pregata dalla madre, comincia a raccontare la sua disgraziata storia d’amore a Sudabeh per convincerla a rinunciare fin da subito alla sua scelta perdente. In un flashback che durerà per l’intera narrazione, si torna indietro all’epoca dello Shah. Mahbubeh rifiuta tutti i candidati mariti che le vengono proposti dai genitori e sposa il garzone di un falegname di cui si è perdutamente innamorata. Il padre le concede il matrimonio, ma la estromette dalla famiglia. Mahbubeh precipita in una dimensione sconosciuta: povera, sola e abissalmente lontana dalla cultura del marito Rahim che inizia a maltrattarla e a rubarle il denaro mensile comunque assicurato dal padre per sopravvivere. Quando muore il piccolo figlio per un incidente, Mabhubeh capisce che deve tornare indietro: chiede perdono al padre e sposa Mansour, uno dei “candidati” che aveva rifiutato, ma che l’aveva aspettata per tutto questo tempo. “Di certo è un libro scritto bene e coinvolgente che tocca argomenti prossimi al vissuto quotidiano di molte donne. La scelta del matrimonio è difficile e la tradizione che prevede un ruolo decisivo della famiglia, si scontra viepiù con la realtà degli incontri e degli amori che nascono nelle università e nei mille luoghi del vissuto quotidiano. Ma le nuove generazioni di oggi – conclude Cereti a margine della presentazione a Più libri più liberi – sono aperte al mondo e conoscono entrambe le culture, quella globale dell’Occidente e quella propria dell’Iran e dell’Islam, che coniugano in modi personali e diversi tra loro. In questo sono più avanti di noi, che spesso ignoriamo del tutto le altre culture”.