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I GET YOU: INTEGRAZIONE DI MIGRANTI CON IL COMMUNITY BUILDING

Nicoletta del Pesco 12/12/2017
Amir è pakistano, ha 28 anni, lavora da IKEA a Parma, vive con altri tre ragazzi due italiani e uno del Gambia. Dopo aver usufruito dell’accoglienza integrata del sistema SPRAR “allora non pagavo le bollette. Ora vivo in co-housing grazie al progetto Tandem di Ciac Onlus, ho un lavoro e pago le bollette . 

Con questo progetto ho la possibilità di conoscere la cultura italiana e di mettere radici” . Anche Isham è pakistano, nel suo paese era uno studente universitario, ora vive in Sicilia e ha partecipato attraverso il Consorzio Solidalia agli scavi archeologici a Mozia realizzati grazie alla collaborazione dell’Università di Palermo e del Comune di Marsala. Il tirocinio formativo ha affiancato i giovani rifugiati agli studenti italiani. “Isham era più capace di molti giovani universitari nello scavo, ha un maggiore senso della terra” spiega Pietro Giammellaro, dell’Università di Palermo “E’ stata un esperienza di grande impatto, non solo per i giovani rifugiati, ma per tutti noi, quando ti confronti quotidianamente con diversità così forti ti accorgi che la tua è solo una delle culture”. Bouyagui è un rifugiato del Mali, parla un italiano fluente mentre illustra Tobolì, cucina in movimento, questo il nome della cooperativa di rifugiati che prepara catering multietnico a Napoli. “Nel 2016 abbiamo aperto Kikana, che in maliano vuol dire “vieni qui”, significa che stai accogliendo qualcuno, e quello che facciamo tutti insieme nel nostro ristorante: due maliani, due iraniani, un senegalese, alcuni italiani”.

Sono loro i protagonisti di alcune delle 62 iniziative, che coinvolgono rifugiati e italiani, mappate in tutta la penisola dalla ricerca I Get You nell’ambito del progetto BEST, Buone pratiche di integrazione di migranti forzati attraverso il community building realizzata negli ultimi due anni in nove paesi europei e presentata martedì 12 dicembre a La città dell’Utopia a Roma. Jrs Europa è capofila del progetto al quale partecipa per l’Italia il Centro Astalli. Gli obiettivi principali sono:
evidenziare e promuovere buone pratiche così da prevenire razzismo e xenofobia attraverso iniziative di community building
valorizzare le esperienze e i racconti dei migranti e dei cittadini che hanno partecipato alle diverse iniziative per contrastare razzismo e xenofobia
I richiedenti asilo o titolari di protezione internazionali coinvolti nelle 62 iniziative analizzate in Italia sono principalmente giovani tra i 19 e i 25 anni provenienti prevalentemente dal Mali, 69,4%, dalla Nigeria, 67,7%, dal Gambia, 61,3%, seguiti da Pakistani e Afghani, 48,4% e da Eritrei, 38,7%. E’ soprattutto il tempo libero trascorso insieme che caratterizza il 24% delle iniziative, mentre il 22,5% riguardano l’apprendimento della lingua realizzato attraverso attività di socializzazione. Tutte le situazioni analizzate, spiega il rapporto, “si potrebbero descrivere come esperienze di accoglienza diffusa volta a facilitare la creazione di relazioni positive con il territorio” . E infatti emerge che “l’accoglienza funziona meglio quando è organizzata in piccoli centri, in strutture non isolate” questo consente la creazione di relazioni e l’interazione fra la società civile e i migranti,soprattutto se si hanno a disposizione spazi condivisi, tutti elementi che contribuiscono a prevenire l’ostilità e la paura.
“Spetta ai governi garantire servizi e diritti indispensabili nel sistema di accoglienza: la casa, la sanità, l’assistenza legale, l’apprendimento della lingua” ha spiegato durante la presentazione del progetto Claudia Bonamini di Jrs Europe “Le istituzioni devono coprire un ruolo che troppo spesso è stato demandato ai cittadini. Questo non comporta che i cittadini si ritirino dall’accoglienza “una collaborazione con l’ amministrazioni è necessaria per la capacità che i cittadini hanno nel produrre comunità”. Oltre all’incontro, indispensabile per modificare i pregiudizi, è fondamentale agire a livello territoriale con esperienze di accoglienza di piccola scala.
Nella stessa direzione l’intervento di Daniela Di Capua direttrice Servizio Centrale SPRAR “Oggi accanto all’accoglienza è indispensabile l’integrazione che si muove su due binari paralleli: da un lato ciò che è strutturato in base a linee guida e regolamenti, dall’altro ciò che è spontaneistico, che ha grande potenza creativa e di impatto. Il punto critico è che queste due linee potrebbero non incontrarsi mai. Devono invece diventare binari comunicanti e in questa direzione devono operare innanzi tutto le istituzioni. Il sistema SPRAR non va considerato come punto di arrivo bensì punto di partenza per realizzare inclusione e cambiamento culturale. E’ necessario arrivare a un inclusione reciproca fra migranti e cittadini altrimenti non faremo mai il salto culturale, politico. Avverto una retrocessione rispetto al passato, manca una visione d’insieme , bisogna rimanere vigili” ha continuato preoccupata Di Capua “Dobbiamo da una parte tenere l’attenzione sull’azione concreta, dall’altro sul processo più ampio che deve mettere tutto in collegamento e mantenere la rotta a medio e lungo termine”.