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Swaziland, l’ultimo regno assoluto d’Africa

9 Ottobre 2017

Affascinante, ammaliante ma anche controverso, criptico. Sono quattro aggettivi che descrivono le sensazioni che un osservatore avverte tentando di comprendere lo Swaziland, l’ultima monarchia assoluta del continente africano, nonché una delle ultime esistenti al mondo.
Il regno Swazi si estende su un territorio montuoso poco più grande di quello della regione Lazio, senza sbocchi sul mare e incastonato tra Sudafrica e Mozambico. Attraversando il confine alla frontiera mozambicana di Namaacha il paesaggio inizia a mutare gradualmente sullo sfondo dei monti Drakensberg che caratterizzano questa regione dell’Africa australe. Anche se gli animali sono confinati nei parchi come nel resto del continente, l’uomo qui non ha ancora sopraffatto del tutto la natura, perché la densità di popolazione non è elevata, neppure nei due principali centri urbani di Manzini e della capitale Mbabane. Ciò è dovuto principalmente al fatto che la popolazione è piuttosto esigua: poco meno di 1 milione e 200 mila abitanti.

Affascinante 
Il fascino dello Swaziland deriva dalla sua storia singolare. Durante le guerre anglo-boere in Sudafrica tra il 1899 e il 1902 il popolo Swazi ha scelto di sostenere gli inglesi e ciò gli è valso una relativa autonomia divenendo un protettorato britannico. Tale condizione gli ha permesso di mantenere il suo sistema monarchico feudale basato su proprie radicate tradizioni. Nel 1968 lo Swaziland ha ottenuto l’indipendenza senza alcuna guerra pur restando membro del Commonwealth e non ha mai conosciuto alcun conflitto interno, caso più unico che raro nel continente africano. Il segreto di questa stabilità è dovuto in parte ad un altro fattore: il suo popolo è composto da un solo gruppo etnico, gli Swazi che derivano dagli Zulu e dai Ndebele. L’orgoglio swazi e l’affezione alle proprie tradizioni si manifestano ancora oggi nella festa nazionale dell’Incwala, dedicata al sovrano nel mese di dicembre, e nella pittoresca e popolarissima Umlanga Reed Dance in onore della regina madre, alla cui conclusione il re può scegliere fra le vergini, che si esibiscono danzando, una nuova moglie che va ad aggiungersi al suo harem. Nel Paese, infatti, la poligamia è legale e ancora abitualmente praticata per lo più nelle aree rurali.
Altra singolarità: l’attuale sovrano Mswati III è stato incoronato nel 1986. Egli appena diciottenne è divenuto il più giovane sovrano regnante al mondo fino al 2006, quando in Bhutan è stato eletto re Jigme Wangchuck. È stato inoltre il più giovane capo di Stato del mondo fino al 2001 quando in Repubblica Democratica del Congo Joseph Kabila ha sostituito il padre Laurent-Désiré.

Ammaliante
Tutto ciò contribuisce a rendere questo piccolo regno quantomeno interessante, ma è il confronto con le altre Nazioni africane che trasforma tali sensazioni in qualcosa di più. Il clima sociale è tranquillo, il livello di criminalità è sensibilmente più basso rispetto alla media africana e gli swazi appaiono molto più pacifici e aperti anche nei confronti dello straniero.
Come già accennato, il fatto di non aver vissuto conflitti interni né di liberazione, non ha generato rabbia repressa, né dispute sociali irrisolte, e questo ha trasformato il regno in un piccolo paradiso agli occhi di chi proviene dall’esterno. Gli agglomerati urbani a bassa densità non danno la stessa sensazione di caos e degrado delle metropoli del resto del continente, e all’apparenza sembra che lo Stato venga ben gestito dalle istituzioni, avvantaggiate dalle proporzioni ben più ridotte della ‘cosa pubblica’ da amministrare.
Tutti questi elementi fanno assomigliare lo Swaziland al più ricco e sviluppato Sudafrica (dal quale riceve il 90% delle sue importazioni) e anzi, certi aspetti lo rendono addirittura più attraente per via della sua aria pacifica. Così, è facile capire perché molti africani, tra cui mozambicani, zimbabwani, nigeriani e congolesi decidano di trasferirsi qui per avviare delle attività.
Anche sul piano delle relazioni internazionali, Mswati III e il suo regno sono ben visti e ben voluti dagli altri Paesi del continente e molti capi di stato sono spesso invitati dal re a partecipare alle cerimonie tradizionali più importanti. “Il re viene apprezzato e in un certo senso invidiato dagli altri leader perché non ha problemi interni…l’opinione pubblica lo ama, lo rispetta e lo segue in tutto e per tutto”, afferma Phephile Motau, una giornalista che segue da vicino le vicende del sovrano per il ‘Times of Swaziland‘, uno dei due quotidiani principali della Nazione.

Controverso
Di fronte a questo quadro idilliaco un osservatore inizia a porsi delle domande. Il re e la monarchia sono davvero amati dal popolo swazi? Questa forma di Stato, che è riuscita a resistere nonostante la globalizzazione, ha veramente un appoggio così incondizionato e unanime? Interrogativi leciti che lo stesso Occidente si è posto, concludendo con severe critiche. Anche organizzazioni per la difesa dei diritti umani, come la Human Rights Watch (HRW), accusano il regno di reprimere il dissenso politico, violando i diritti civili e non rispettando le leggi in vigore.
Lo Swaziland è stato una monarchia costituzionale dall’indipendenza fino al 1973, anno in cui il re Sobhuza II, a seguito di tensioni politiche, ha deciso lo scioglimento del Parlamento e di tutti i partiti politici. Da allora la vecchia carta costituzionale è rimasta sospesa fino al 2005, quando Mwsati III ha trasformato ciò che era ufficioso in ufficiale, introducendo la monarchia assoluta con un Parlamento bicamerale che ha solo poteri consultivi e di iniziativa legislativa e i cui membri sono nominati in parte dal re e in parte da elezioni dirette. I partiti politici non sono ammessi, mentre è concessa solo la formazione di associazioni apartitiche e sindacali.
Altro elemento che viene contestato al regno riguarda la libertà di pensiero e di riunione, che da tempo sarebbero compromesse da leggi e regolamenti che reprimono ogni forma di critica in nome della sicurezza pubblica e della preservazione delle tradizioni swazi. Le accuse parlano di arresti, perquisizioni e intimidazioni da parte delle forze di Polizia. Non è risparmiata neanche la libertà di stampa, limitata attraverso leggi che puniscono pubblicazioni dai contenuti eversivi o che incitino alla disaffezione verso la monarchia. Per Amnesty International anche l’indipendenza dell’apparato giudiziario sarebbe gravemente compromessa per l’esistenza di una figura essenzialmente al di sopra della legge: il re.
Ma queste accuse sono reali? A prima vista no, e nemmeno entrando a contatto con la popolazione, indipendentemente dalla classe sociale di appartenenza. È un’impresa ardua trovare uno swazi che dica qualcosa di negativo contro il re e la monarchia. Solo sui social network da tempo sono attivi account anonimi che criticano il potere, ma chi può dire chi ci si nasconda dietro? L’opinione pubblica sembra apprezzare veramente il suo sovrano e si ha l’impressione che il ruolo del monarca non venga messo in discussione da nessuno, tuttavia sono piuttosto la famiglia reale e la classe politica a ricevere disappunti.
Riguardo alla prima le opinioni negative derivano principalmente dal loro stile di vita, dai costi per il loro mantenimento e dai vantaggi economici e politici che traggono dalla loro discendenza. Come detto, in Swaziland la poligamia è legale e viene tradizionalmente praticata dai sovrani. Mswati III attualmente ha 14 mogli (l’ultima scelta lo scorso settembre) e 30 figli, mentre suo padre Sobhuza II ne aveva ben 70 con 210 eredi. È ovvio che se a mogli e figli si aggiungono gli altri gradi parentali, la spesa per i loro privilegi e il mantenimento a carico dello Stato diventa elevata.
La classe politica viene, invece, criticata per i frequenti casi di corruzione e nepotismo che riguardano sia il Parlamento che ilGgoverno. Un esempio in tal senso è la biasimata figura del Primo Ministro, Barnabas Dlamini, il quale ha sulle spalle numerosi scandali legati alla compravendita di terreni di proprietà statale ma che però non hanno compromesso il suo ruolo al vertice.
Se gli swazi hanno davvero questo tipo di recriminazioni contro l’élite politica perché non si espongono apertamente? Se non ci sono i partiti, dove sono i gruppi della società civile che nel resto del continente invece prendono piede quando l’opinione pubblica non riesce a farsi sentire?
“Se sei con il re, con la sua famiglia e la cerchia al seguito è una storia… ma se sei contro allora tutto cambia”, spiega un membro dei Mamba, clan storicamente rivale dei regnanti Dlamini, che vuole restare anonimo. “Anche se non metti in discussione le tradizione e il re, come me ad esempio, ma fai una critica sulle scelte dell’amministrazione, essa viene manipolata e interpretata come un attacco alla monarchia. A quel punto non sei solo tu a passare dei guai ma anche i tuoi familiari… il Chief del tuo villaggio e la circoscrizione potrebbe prendere dei provvedimenti cacciandoti o emarginandoti”, sostiene lo stesso, che racconta anche quello che può accadere a chi viene arrestato durante una manifestazione: “la Polizia ti porta nel commissariato di una circoscrizione lontana per interrogarti e minacciarti”.
I sindacati sono i gruppi più attivi nel far valere i diritti della cittadinanza, mentre l’opposizione è quasi inesistente perché divisa in tante piccole associazioni poco organizzate e con poco supporto. Fra queste l’ex-partito People’s United Democratic Movement (Pudemo), il cui leader Mario Masuku è stato incarcerato due volte per istigazione al terrorismo ed eversione durante delle manifestazioni. Masuku spiega che “attualmente le condizioni della mia libertà su cauzione mi vietano di organizzare raduni…ciò significa che sono imbavagliato” e su ciò che pensano realmente i cittadini swazi dice, “il popolo vuole un cambiamento in Swaziland. Non lo si vede perché c’è molta repressione. Il sottoscritto o chiunque altro potrebbe andare per strada oggi a manifestare le proprie idee ed essere arrestato. Quando ci sono persone che hanno più diritti di altre, c’è un problema”, afferma perentorio, ma sulla monarchia aggiunge: “Nessuno vuole deporre il re… ma stiamo dicendo: lasciate che il potere vada al popolo”.
Forse è per questi motivi che manifestazioni o assembramenti sono piuttosto rari.

Criptico
Da qui nascono i dubbi su come interpretare questa Nazione apparentemente così tranquilla e pacifica. Ovviamente le istituzioni si difendono affermando che si tratta di una monarchia ‘democratica’, dove esistono delle elezioni dirette e dove il re sta lasciando al Parlamento ampi spazi decisionali. Come afferma il parlamentare Bambunuti Sithole, eletto nella circoscrizione di Ludzeludze: “queste accuse non sorprendono. Oltre ad essere false e faziose, sono promosse dall’esterno. Da tempo qualcuno, specie in Occidente, preme per farci rinunciare alla nostra cultura e imporci un modello standard e globalizzato. Ma noi continueremo ad andare per la nostra strada”.
Seguendo la sua strada il regno ha effettivamente fatto enormi passi avanti in termini di sviluppo in confronto ad altre Nazioni della regione, ma con dati alla mano emergono molte problematiche che restano celate a chi lancia uno sguardo fuggevole.
Lo Swaziland si trova al 148° posto nell’Indice di Sviluppo Umano e il 63% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà. Se nelle principali città e località turistiche tutto sembra perfetto, nelle aree rurali, dove abitano l’80% degli swazi, sembra un altro mondo. Secondo gli ultimi dati disponibili, un cittadino su quattro è disoccupato e il dato aumenta nella fascia d’età tra i 25 e i 29 anni, a cui si raggiunge il 40% di inoccupazione. Nel 2013 il Pil è cresciuto del 4,6%, ma l’anno scorso il Paese è addirittura andato in contrazione registrando un -0,6%. La causa principale del crollo è stata la grave siccità provocata dal fenomeno climatico El Nino che ha interessato l’Africa australe e orientale. In una Nazione la cui economia si basa prevalentemente su agricoltura, turismo e aiuti internazionali, un fenomeno di tale portata ha avuto effetti drammatici. Nel luglio del 2016 circa 316mila persone soffrivano di insicurezza alimentare e molte di esse ne risentono ancora oggi. Inoltre, ha influito l’estromissione nel 2014 dall’African Growth and Opportunity Act (il piano statunitense di collaborazione e assistenza economica e commerciale nei confronti dei paesi dell’Africa Subsahariana), per non aver adempiuto a una serie di richieste fatte da Washington in termini di riforme politiche e sociali.
Occorrerebbe anche che Mswati III e il suo Governo differenziassero in qualche modo l’economia e attirassero investimenti. La scelta del sovrano di investire nelle infrastrutture è positiva, anche se ha prodotto aumenti fiscali e nuovi indebitamenti, ma altre lo sono state meno come quella del nuovo aeroporto internazionale a cui è stato dato il nome del re. Un scalo più grande di quello di Durban in Sudafrica, che è costato più di 150 milioni di dollari ma che ora ospita tre aerei al giorno perché la sua posizione geografica è strategicamente sfavorevole.
Controversa è anche la questione del ruolo diretto del re nelle proprietà di molte delle aziende che forniscono servizi essenziali nel Paese. Uno dei casi più eclatanti è quello della compagnia di telefonia mobile MTN Swaziland della quale Mswati III possiede il 10% e che fino a pochi mesi fa aveva il monopolio nel Paese. Forse è per questo che gli investitori stentano ad arrivare. A quanto pare nulla si muove se la famiglia reale non è nell’affare.
Lo Swaziland ha fatto notevoli passi avanti in altri campi. Il primo è quello dell’istruzione, in cui si è raggiunto il 94,5% di accesso alla scuola primaria e il secondo riguarda la lotta all’HIV. Il regno ha la più alta incidenza del virus al mondo e, secondo gli ultimi dati relativi al 2015, il 28,8% della popolazione adulta ne è affetta, ma grazie ad aiuti, programmi di prevenzione e trattamenti antiretrovirali, dal 2011 l’incidenza è stata praticamente dimezzata. “Abbiamo ottenuto grandi risultati con campagne in tutto il Paese. Pensiamo di riuscire a debellare questo male entro il 2022. Gli ostacoli maggiori ora sono gli uomini adulti, restii a farsi fare il test, e il sesso in età precoce per le donne”, afferma ottimista Nokwazi Mathabela, Strategic Manager di Unaids e Nercha in Swaziland.

Dilemma
Alla fine da quello che è un piccolo angolo d’Africa si esce confusi. Da un lato si è colpiti dalla sua calma accogliente, da un popolo fedele ai propri usi e costumi, dall’altro ci si chiede come sia possibile che nonostante le tante criticità la cittadinanza non punti al cambiamento. È possibile che gli swazi abbiano trovato un equilibrio socio-politico che permetta di continuare a conservare la tradizione pur perseguendo la modernità e che uno straniero non sia in grado di coglierlo?
Marzio D’Orsi, nonostante sia da molti anni console onorario italiano a Mbabane, confessa di trovare ancora aspetti arcani e indecifrabili nel regno. “È possibile che gli swazi abbiano trovato un loro modo di interpretare la democrazia e che la cosa sia funzionata fino ad ora, trattandosi di uno Stato piccolo e con un background storico singolare. Nelle aree rurali forse non c’è ancora un’emancipazione tale dalle tradizioni da consentire un pluralismo politico”, e aggiunge “il re col tempo dovrà cedere parte del sua sovranità al popolo…io la prevedo nell’arco di 15 anni”.
Interessante a tal proposito l’opinione del caporedattore dello ‘Swazi Observer‘, quotidiano vicino alla monarchia, che fa il confronto tra le scelte politiche fatte dal Lesotho, piccolo enclave del Sudafrica e il suo paese: “Sono entrambe delle monarchie, solo che hanno scelto due percorsi diversi. Mentre lì è stata scelta la monarchia costituzionale e il multipartitismo, qui si è deciso di aspettare. La scelta del Lesotho è stata prematura e oggi ne vediamo le conseguenze con colpi di stato e instabilità. Verrà il momento anche per noi, ma lo faremo con i nostri tempi”.
Se profondamente gli swazi desiderano il cambiamento, non hanno però stimoli che li spingano ad agire. Si chiedono quale sia l’alternativa politica che ha la loro Nazione, ma ciò che osservano nei Paesi vicini considerati democratici non è certo attraente. Forse per questo la situazione attuale ai loro occhi sembra comunque migliore. Se fosse così non ci sarebbe nulla di male. Il dubbio è questo: e se quel momento fosse arrivato ma il timore di rinnegare le proprie origini fosse così forte da fargli optare per il quieto vivere invece di avanzare lecite richieste? La pace è qualcosa a cui ambire sempre, ma se è frutto dell’ignavia perde la sua anima.