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Hola Catalogna, ci siamo. Indipendenza sì, ma quale?

10 Ottobre 2017

Oggi sarà il giorno più lungo della crisi catalana, per la Catalogna e per l’intera Spagna. Giornata che si concluderà alle 18, quando il Presidente dell’Esecutivo della Catalogna, Carles Puigdemont, interverrà davanti al Parlamento di Barcellona, ufficialmente per «informare della situazione politica locale», nel corso dell’intervento potrebbe fare la dichiarazione di indipendenza.

Madrid impedirà con ogni mezzo l’indipendenza catalana, ha ribadito la numero due dell’Esecutivo spagnolo, Soraya Saenz de Santamaria, avvertendo che se il leader catalano dichiarerà l’indipendenza della regione, «bisogna essere pronti a tutto» per «il ripristino della legge e della democrazia».
«Se sarà proclamata l’indipendenza, la dichiarazione non avrà effetti. E se questo signore», ha scandito la vice del premier Mariano Rajoy, riferendosi a Puigdemont, «dichiarerà unilateralmente l’indipendenza, bisognerà prendere delle misure e questa sarà la decisione del Governo spagnolo, una risposta ci sarà».

Il dibattito non è più tanto sul ‘se’ l’indipendenza sarà dichiarata, bensì il punto dirimente è il ‘come’ Puigdemont la dichiarerà, quale tipo di indipendenza sarà dichiarata. Per la coalizione al potere in Catalogna, l’indipendenza è lo sbocco obbligato del referendum nel suo programma elettorale del 2015, è quanto prevede la legge sul referendum; Puigdemont sembra non poter tornare indietro, la crisi ha raggiunto il punto di non ritorno. Ma il prosieguo dipenderà da quelle che sembrerebbero sfumature e non lo sono affatto. La consultazione popolare proibita di domenica 1 ottobre ha portato ai seggi 2,26 milioni di elettori catalani (42% degli aventi diritto), nonostante le iniziative di dissuasione di Madrid prima del voto e il pesante intervento della Polizia durante la giornata elettorale. L’esito del voto (oltre il 90% dei voti espressi hanno detto ‘SI’ all’indipendenza) non può essere ignorato; come non può essere ignorato il fatto che la maggioranza dei catalani è contraria all’indipendenza -e lo si è visto domenica.
Puigdemont oggi, sulla carta e secondo gli analisti, ha tre opzioni.
La prima è la dichiarazione ‘unilaterale’ di indipendenza. Per Madrid la dichiarazione unilaterale non ha alcuna base legale. La legge che indice il referendum, e che prevede, appunto, la dichiarazione di indipendenza, è stata sospesa dalla Corte costituzionale perchè viola il principio fondamentale dell’unità indissolubile della Spagna sancito dall’articolo 2 della costituzione del 1978. La Catalogna si avvale del ‘diritto dei popoli all’autodeterminazione’, principio di diritto internazionale che ha permesso ad alcuni Stati di dichiararsi indipendenti dopo essere stati colonizzati, come la Rhodesia, oggi Zimbabwe, od oppressi, come il Kosovo. Ma il principio non è mai stato applicato a Stati democratici, secondo i costituzionalisti tale principio non può essere valido per il caso catalano, inoltre la definizione di popolo catalano è complessa.
Insieme alle legge sul referendum a settembre il Parlamento catalano ha varato una legge di transizione per preparare la fondazione di una Repubblica catalana, sganciata dalla monarchia spagnola. La legge instaura tutti i caratteri di uno Stato, compresa l’indipendenza fiscale. La nazionalità verrebbe concessa a tutti gli iscritti nelle liste elettorali nel 2016 (con la possibilità di mantenere anche la nazionalità spagnola) e i dipendenti pubblici sarebbero automaticamente integrati nella nuova amministrazione. Entro sei mesi verrebbe eletta un’Assemblea costituente incaricata di redigere una costituzione che sei mesi dopo, a ottobre 2018, dopo verrebbe approvata per referendum.
La seconda carta in mano a Puigdemont è una dichiarazione di indipendenza ‘simbolica’, senza alcun effetto immediato, nessuna dichiarazione di indipendenza effettiva, con un nuovo appello per il dialogo con Madrid.
Terza opzione è l’indipendenza ‘sospesa’. Esiste il precedente della Slovenia, che proclamò l’indipendenza dall’allora Federazione jugoslava nel 1991 dopo un referendum non autorizzato, ma aspettò mesi prima di dare un seguito operativo a quella dichiarazione. Sarebbe l’unico scenario in grado di disinnescare almeno per il momento la mina-Catalogna senza che nessuno perda la faccia: Carles Puigdemont, in questo caso, proclamerebbe l’indipendenza sospendendola contestualmente. Gli esperti in diritto parlano di «proclamazione d’indipendenza della regione autonoma ma con effetto sospensivo», cioè rimandandola di alcuni mesi durante i quali dialogare con Madrid, una finestra temporale, la sospensione, durante la quale il Governo centrale e quello autonomo hanno la possibilità di cercare un accordo, in particolare sul regime fiscale che è l’elemento che sta più a cuore agli indipendentisti. Una soluzione di questo tipo potrebbe essere gradita a Madrid.
La quarta opzione sembra essere una non-opzione: nessuna dichiarazione, con un nuovo appello per il dialogo con Madrid.

Se proclamerà l’indipendenza unilaterale, il Presidente della Generalitat rischia l’arresto per sedizione -insieme al suo Governo è già indagato per disobbedienza, abuso d’ufficio e malversazione. Il vice segretario alla comunicazione del Pp, Pablo Casado, al termine di una riunione del partito presieduta dal Primo Ministro, ha detto che il Presidente Puigdemont rischia fino a 25 anni di carcere. «Puigdemont deve parlare con il suo avvocato: noi impediremo l’indipendenza con tutte le misure necessarie, senza rinunciare a nessuno strumento della Costituzione nè del Codice Penale», ha detto Casado, richiamando poi il caso di Lluis Company, che nel 1934 dichiarò l’indipendenza catalana e fu subito arrestato per ordine di Madrid. «Speriamo non venga dichiarato nulla, perchè chi la dichiarerà finirà come chi l’ha dichiarata 83 anni fa», ha detto, riferendosi a Company. Paragone che ha suscitato la reazione dell’opinione pubblica, perché, quattro anni dopo l’arresto, avvenuto prima della guerra civile, Company fu fatto fucilare da Francisco Franco.

Il Governo di Madrid sul ‘come’ reagire in caso di rottura unilaterale dell’integrità territoriale ha diversi strumenti che si riconducono comunque tutti alla coercizione. La risposta, secondo gli esperti di diritto, potrebbe combinare l’applicazione dell’articolo 155 (che di fatto sospende l’autonomia regionale) con misure straordinarie volte a portare sotto il suo rigidissimo controllo la regione.
L’articolo 155 della Costituzione è quella che in queste settimane è stata definita ‘l’arma nucleare’, la sospensione totale o parziale dell’autonomia della Catalogna. Per attivarlo, il premier Mariano Rajoy ha bisogno della maggioranza assoluta del Senato: il suo Partito Popolare ha i numeri, ma Rajoy avrebbe bisogno di un consenso allargato: oltre a Ciudadanos, che invoca l’art.155 da giorni, anche il Psoe. Il leader del Partito dei lavoratori socialisti, Pedro Sanchez, ha affermato che il suo partito sosterrà le azioni del Governo nel caso di annuncio unilaterale dell’indipendenza della Catalogna. L’articolo 155 non è mai stato applicato e il Governo vorrebbe abbinarlo ad altri strumenti.
Uno di questi strumenti è lo ‘stato di crisi’. Secondo la legge di sicurezza nazionale, il Governo può decidere per decreto, in una «situazione di interesse per la sicurezza nazionale», la nomina di una «autorita’ funzionale» per «dirigere e coordinare» le amministrazioni. E’ un dispositivo di risposta perfetto in caso di attentati o catastrofi naturali, in cui le varie autorità si mettono a disposizione per farsi coordinare. Lo è meno in caso di un conflitto tra distinte autorità perché la legge non chiarisce se la nuova autorità possa impartire ordini nè le conseguenze di una disobbedienza.
Altro strumento è lo ‘stato di allarme’. Il Governo può dichiarare, al massimo per 15 giorni, lo stato di allarme con il quale assume il comando diretto di tutti i funzionari e le polizie autonome e locali. La proroga richiede l’autorizzazione del Congresso. Puà anche essere limitato a una sola Comunità Autonoma e, sempre secondo gli esperti, sarebbe il più vantaggioso per il Governo.
Lo ‘stato d’emergenza’ è considerato una delle vie percorribile più adatte alla crisi catalana. E’ previsto quando risultano «gravemente alterati» l’esercizio dei diritti e delle libertà, il funzionamento delle istituzioni democratiche e l’ordine pubblico. E’ quello che, secondo gli esperti, si attaglia meglio al braccio di ferro attuale tra Madrid e Barcellona. Lo stato di emergenza sospende i diritti fondamentali, permette fermi per 10 giorni, perquisizioni domiciliari, intercettazioni, vieta scioperi e manifestazioni, consente la chiusura di media senza autorizzazione giudiziaria. Richiede l’approvazione del Congresso con un voto a maggioranza semplice.
Infine vi è lo ‘stato d’assedio’. E’ previsto in caso di «una insurrezione o un atto di forza contro la sovranità, indipendenza o integrità territoriale» della Spagna. Alle limitazioni già previste dallo stato d’emergenza aggiunge la sospensione dei diritti del detenuto (compreso il diritto alla difesa) e l’istituzione di tribunali militari. L’autorità governativa è sostituita da quella militare. La misura richiede il voto a maggioranza assoluta del Congresso e appare come lo strumento meno probabile al momento.