General

L’Italia in Somalia? I molti errori di un disimpegno

19 Ottobre 2017

Cosa abbiamo, cosa non abbiamo e cosa avremmo dovuto fare per la Somalia. Ne parliamo con Bernando Venturi e Massimo Alberizzi

La Somalia continua, ancora oggi come in passato, ad essere terreno di scontri violenti, mostrandosi al mondo come un Paese che non possiede un Governo stabile, pronto a contrastare la minaccia terroristica, e che non è in grado di assicurare una pace duratura alla sua popolazione.

Annuncio: 0:03
Il 14 ottobre 2017 più di 300 persone sono state uccise e almeno 500 ferite durante un attacco terroristico, che ha visto esplodere un camion-bomba in un incrocio affollato a Mogadiscio, capitale della Somalia. Tra le vittime anche 15 bambini che erano a bordo di uno scuola bus. L’attacco è stato definito il peggiore nella storia della città, una statistica particolarmente allarmante, considerando che la capitale, dopo il crollo dello Stato somalo nel 1991, è stata vittima di ripetuti conflitti violenti.

”La Somalia è in guerra dal 30 dicembre 1990 ed è continuamente in preda a violenze generalizzate in tutto il Paese. Prima è avvenuta la guerra con il contingente delle Nazioni Unite, che prevedeva anche la presenza degli Stati Uniti e dell’Italia, dopo sono avvenuti attacchi terroristici, che hanno alimentato lo stato di tensione presente da molti anni. Questo è l’attentato più grave che ha subito la Somalia dal 2007 ad oggi. Il Paese è un profondo Far West, senza autorità che facciano rispettare la legge e con una comunità internazionale che ha certamente riconosciuto la presenza di un Governo, che però controlla a malapena una parte di Mogadiscio e i suoi territori limitrofi”, ci dice Massimo Alberizzi, Direttore di ‘Africa-Express.info‘, quotidiano panafricano in lingua italiana.

Nessuno ha ancora dichiarato ufficialmente la responsabilità dell’attacco, anche se si ipotizza che il responsabile possa essere il gruppo terroristico Al-Shabaab,  che sta combattendo contro il Governo federale della Somalia dalla fine del 2006. È un gruppo islamista estremista che ha legami con Al-Qaeda, che spera di includere la Somalia in una jihad internazionale. Dal 2011, quando ha messo in scena quello che è stato chiamato un ‘ritiro tattico’ da Mogadiscio, le sue attività nella capitale sono state principalmente costituite dall’esplosione di bombe suicida, detonazioni di esplosivi e dall’uccisione di figure politiche di spicco.

Il gruppo terroristico è tenuto sotto controllo dalle forze militari della missione dell’Unione africana in Somalia AMISOM (African Union Mission to Somalia) e dalle forze di sicurezza federali somale, ma ciò non è stato sufficiente a fermare l’attentato, dato che l’esercito della Somalia è notevolmente debole perché contrastato dalle milizie locali, completamente distaccate dal Governo centrale, che controllano il territorio.

Appare evidente, quindi, che la Somalia non riesca da sola a sconfiggere la minaccia terroristica. A questo punto quale potrebbe essere la sua ‘exit strategy’? ”Le istituzioni somale hanno fatto notevoli passi avanti negli ultimi anni in termini di ‘state-building’ e lavoro per l’unità nazionale. Si pensi, per esempio, che, nel 2016, si sono tenute le prime elezioni parlamentari a suffragio allargato con più di 14 mila delegati (nel 2012 erano solo 135 anziani) che poi hanno eletto il Presidente nel 2017. Le forze di sicurezza somale si stanno rafforzando, ma persistono ancora mancanze rilevanti dovute a corruzione, instabilità nei pagamenti degli stipendi delle forze dell’ordine e credibilità del Governo centrale tra la popolazione. Un ruolo centrale è, quindi, ancora svolto dalla missione AMISOM dell’Unione Africana, e non è pensabile un passaggio di consegne al Governo a breve ”, ci dice Bernardo Venturi, ricercatore presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI).

 C’è da dire che, nel maggio 2017, il Governo stava cercando di mettere in atto un nuovo piano di sicurezza, che prevedeva il ritiro delle truppe di AMISOM dalla Somalia nel 2018, ma è molto probabile, visto ciò che è accaduto, che non venga realizzato.

Grande solidarietà è stata espressa dal Governo italiano in merito all’attacco terroristico. Il Ministro degli Esteri italiano, Angelino Alfano, si è detto «sconvolto dall’attacco orribile contro gente innocente», ed ha espresso vicinanza e condoglianze al popolo e al Governo della Somalia. «Nella lotta contro la cieca violenza del terrorismo la Somalia potrà sempre contare sull’amicizia e sul fermo sostegno dell’Italia», ha affermato il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella in un messaggio al Presidente della Repubblica Federale di Somalia, Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo, «Da questa dolorosa prova uscirà rafforzata la determinazione del popolo somalo a consolidare i risultati del processo di riconciliazione per costruire un futuro di pace e stabilità», ha concluso il Presidente Mattarella. Ma perché l’Italia e la Somalia sono così strettamente legate?

Nel 1936 è stata colonizzata dall’Italia e fu fatta confluire nell’Africa Orientale Italiana fino al 1941, quando poi passò sotto il controllo militare inglese. Dopo la Seconda guerra mondiale, il nord del Paese rimase protettorato britannico, mentre la restante parte fu affidata ad una amministrazione fiduciaria italiana. Nel 1960, le due Regioni furono unite nella Repubblica somala e, nel 1969, il Maggiore Mohammed Siad Barre, con un colpo di Stato, si insediò come Presidente-Dittatore, rimanendo in carica fino allo scoppio della guerra civile del 1991.

Da allora, nonostante numerosi tentativi, nessuna autorità o fazione è riuscita a imporre il proprio controllo su tutto il Paese, che risulta, ancora oggi, una Nazione frammentata e governata da una pluralità di entità statali, più o meno autonome, che hanno esercitato ciascuna un diverso grado di controllo sul territorio.

Negli anni molte operazioni militari e missioni di pace italiane si sono susseguite per risollevare le sorti della Somalia e ridurre i conflitti interni, ma ”non hanno avuto grande successo, anzi hanno fatto in modo che la situazione peggiorasse. Ci sono stati solo sei mesi di pace in questi anni e sono stati sei mesi dove hanno governato le corti islamiche”, sostiene Alberizzi, “e la popolazione somala ha vissuto molto male questa condizione perché in Somalia non c’è economia, quindi non ci sono posti di lavoro, non c’è futuro per i giovani e l’unico lavoro disponibile è quello di arruolarsi in qualche milizia. Adesso, finalmente, l’esercito somalo permette l’arruolamento e il pagamento dei soldati, ma fino a pochi anni fa il pagamento dei soldati finiva nelle tasche dei leader somali. Le famiglie, inoltre, non hanno niente da mangiare e allora le numerose moschee, sorte in questi anni in Somalia, sono servite a questo. La donna va in una moschea con i bambini, coperta col burqa, impara il Corano a memoria e poi si reca in mensa, dove può mangiare, altrimenti non potrebbe nutrirsi. Questa è la condizione di vita in Somalia”.

Verrebbe da chiedersi, a questo punto, perché l’Italia non è riuscita nel suo intento?

”La realtà è che l’Italia si è disimpegnata dal Corno d’Africa, perdendo il vantaggio comparato da ex Paese colonizzatore, non ha più mantenuto legami forti con la Somalia e non ha più agito da mediatore. Un segnale, in questo senso, è che la diaspora somala si è diretta principalmente verso altri Paesi. L’Italia, adesso, sta rilanciando il suo ruolo in Africa, ma da sola non può farcela. Conviene agire, quindi, nel quadro più ampio europeo”, ci dice Venturi.

Dunque, la Somalia è carente sotto molti punti di vista e, a quanto ci dicono gli esperti, l’Italia non sta reagendo prontamente per poterla aiutare.

In particolar modo, ci sono due aspetti da considerare, soprattutto in ambito della sicurezza. Il primo è che l’Italia fa parte dell’Unione Europea e che in Somalia c’è una missione militare di addestramento europea, che prima era in Uganda ed ora è stata spostata in Somalia, all’interno della quale la maggior parte degli addestratori sono italiani. L’Italia ha anche fornito un consulente strategico al Ministero della Difesa e Italia e Somalia hanno firmato un accordo di cooperazione per la difesa. Quindi, da un lato l’Italia sta appoggiando il settore sicurezza somalo, dall’altro è stato firmato un accordo bilaterale dove l’Italia aiuterà la riorganizzazione della sicurezza della Somalia. Una delle ragioni per cui è stato firmato l’accordo è che nel 1960 la Somalia stava diventando una Nazione indipendente e le prime forze armate di sicurezza erano state create e preparate dall’Italia, dunque ciò che il Governo aspirerebbe è che siano nuovamente gli italiani a poter aiutare il Paese.

”In particolare sulla sicurezza il problema della Somalia è la corruzione, guarda caso un problema simile a quello dell’Italia, quindi bisognerebbe evitare di investire ingenti somme di denaro che finanzino i vari gruppi dai quali si possono acquistare armi e ottenere la fedeltà delle milizie. Più che fare, quindi, bisognerebbe non fare per evitare di favorire la nascita di gruppi terroristici che continuano a fare violenza a questi Paesi africani, compresa la Somalia”, afferma Alberizzi.

A questo punto c’è da capire cosa ha fatto l’Italia in passato, cosa non ha fatto e cosa avrebbe dovuto fare per aiutare la Somalia?

”Nel periodo coloniale l’Italia ha creato delle infrastrutture importanti in Somalia. Per esempio, ha fatto una serie di canalizzazioni per irrigare le zone desertiche, ha migliorato di molto la produzione agricola, ha creato delle fabbriche e una mini ferrovia per sfruttare le risorse agricole del Paese. L’università a Mogadiscio funzionava abbastanza bene, molti dei docenti provenivano dall’Italia e si parlava italiano che, ancora oggi, è la lingua più parlata dalle persone che hanno dai 40 ai 70 anni. Il periodo post-coloniale, invece, è stato un disastro perché l’Italia, nonostante i benefici apportati alla Somalia, ha anche permesso il dilagare della corruzione italiana esportata in territorio somalo. E’ stato un dramma non aver creato una classe dirigente come, invece, hanno fatto alcune colonie inglesi. Questo può essere considerato l’antefatto per la condizione che vive oggi la Somalia”, continua Alberizzi.

Ad oggi, l’Italia e la Somalia non hanno preso accordi politici ed hanno bisogno del sostegno attivo dell’Unione Europea per poter risollevare le sorti del Paese. ”Gli unici accordi che sono stati presi sono di tipo umanitario e riguardano forniture mediche e la ristrutturazione di ospedali militari, come quello di ‘Xoogga’ situato nel distretto di Hodan. Credo che la comunità internazionale non abbia ben chiaro come si viva qui e l’Italia dovrebbe impadronirsi della sovranità somala per ottenere dei risultati concreti, ma questo non è ‘politically correct’ ed è per questo motivo che assistiamo ad una situazione disastrosa. La comunità somala è ben felice di accogliere gli italiani, ma la verità è che la sovranità è in mano a piccole élite dirigenti che sono peggiori dei colonialisti occidentali di una volta ”, conclude Alberizzi.