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Unione Europea e Corea del Nord: gli effetti delle sanzioni

19 Ottobre 2017


Nel Consiglio dei ministri degli esteri europei riunitosi ieri, 16 ottobre, nel Lussemburgo sono state adottate «nuove e più dure misure dell’Unione europea in aggiunta a quelle delle Nazioni Unite» contro la Corea del Nord, come ha affermato l’alto rappresentante per la politica estera Ue, Federica Mogherini. Ciò avviene in linea con l’ultima risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite dell’11 settembre, in reazione alle attività nucleari e dei missili balistici condotte da Pyonyang. In particolare, come si legge in un comunicato ANSA, la risoluzione prevede divieti di vendere al Paese gas naturale liquido e di importare prodotti tessili.

Le nuove misure comprendono anche limiti alla vendita di prodotti petroliferi raffinati e grezzi. Inoltre, gli Stati Ue non rilasceranno nuovi permessi di lavoro a cittadini della Corea del Nord, poiché potrebbero generare profitti utilizzati per sostenere i programmi nucleari. Per capire quali siano i possibili effetti di tali scelte, quali le possibili ripercussioni a livello generale, quale posizionamento per l’Ue nel contesto internazionale in relazione alla Corea del Nord abbiamo intervistato il professor Luciano Monzali, docente associato di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Bari e il professor Gianluca Borzoni, associato di Storia internazionale e delle relazioni internazionali all’Università di Cagliari. Si ringrazia l’avvocato Federica Giandinoto, attualmente non operativa, per il supporto all’ideazione di questa intervista.

Quali quindi gli effetti delle sanzioni europee? Afferma Monzali: ”Non mi pare che l’Ue sia un major player in Estremo Oriente o che abbia particolari rapporti con la Corea, quindi gli effetti delle sanzioni europee sono minimi. La Corea del Nord ha soprattutto rapporti con i Paesi della Regione. L’Europa in campo internazionale ha un ruolo molto debole e si è indebolita ulteriormente con la Brexit, con l’uscita di uno Stato membro che aveva forti rapporti con l’Asia e una tradizione di forte impegno internazionale, forte anche militarmente. Nell’Ue si è fermato il processo di integrazione e di attrazione, è purtroppo iniziato un processo di distacco dalla stessa. L’Ue inoltre ha una più forte influenza se c’è collaborazione con gli Usa e questo non sta succedendo con Trump. A sua volta, se gli Usa non ottengono consenso sulla politica estera da parte degli Alleati, si indeboliscono e questo è un fattore preoccupante, perché la forza degli Usa è stata un elemento di stabilità per il mondo intero”. Il professor Borzoni pone invece l’accento sul contesto della decisione, in cui l’Europa mostra una vicinanza al Consiglio di sicurezza dell’ONU: “La posizione dell’Ue è abbastanza precisa: è conforme alle linee generali delle scelte politiche dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. Sembra che tale linea sia stata seguita dall’Ue già dal 2006 – le posizioni del Consiglio di sicurezza ONU già allora venivano riprese in pieno dal Consiglio europeo – e oggi con maggior precisione e severità da parte dell’Ue. Ci sono diversi problemi per gli europei di fronte a questa crisi e si ritiene quello dell’Ue un posizionamento di compromesso tra le istanze al proprio interno, che finivano per avere meno voce all’esterno. Lascia meno tranquilli la diversità di posizioni rispetto all’amministrazione americana. C’è da dire inoltre che, in sede al Consiglio di sicurezza ONU, si è raggiunta una risoluzione sanzionatoria nei confronti della Corea del Nord; nei media essa è stata veicolata come inadeguata rispetto alla minaccia, ma dal punto di vista diplomatico è stato comunque un successo: si temeva infatti l’astensione cinese. In realtà il Consiglio è arrivato preparato a questo appuntamento. Si ha ora da un lato l’esigenza di riaffermare la voce dell’Europa, che in questo caso ha guadagnato peso, anche a seguito della mediazione da essa svolta sul dossier iraniano, dall’altro si assiste ad un’azione di traino da parte di alcuni Paesi, in primis la Germania, che ha premuto perché l’Europa si facesse sentire”.

Un’altra questione rilevante è quella di cercare di prevedere per quanto possibile come potrà reagire la Corea del Nord e in particolare se potrà arrivare a delle ritorsioni contro l’Europa. Secondo Monzali  “La Guerra minacciata dalla Corea è in buona parte di propaganda: è un regime che usa molto le crisi interne per rafforzarsi  politicamente, fa riferimento al nazionalismo, punta molto sulla tradizione antigiapponese (il dominio coloniale del Giappone in Corea è stato durissimo) ed è sopravvissuto grazie anche al consenso della popolazione. Oggi si ha anche al suo interno un dilemma ideologico: il regime nasce infatti con l’obiettivo della Corea unitaria contro i colonialisti giapponesi ed oggi invece cerca di impedire l’intensificazione dei rapporti con la Corea del Sud. Oggi la Corea del Nord gioca alle guerre di propaganda con i Paesi occidentali e il Giappone per rispondere a tale crisi. In questo contesto, la tensione internazionale aiuta quindi il regime nordcoreano più che indebolirlo. In questo contesto, la crisi può essere risolta dai grandi attori internazionali, cioè Usa, Russia, Cina e i Paesi dell’area. Anche in questo caso, non vedo un grande ruolo per l’Unione europea”.

Secondo Borzoni invece “Buona parte del gioco è mediatico, come si apprende dagli esperti e dagli spin doctor. Ma, con riferimento alla minaccia nucleare, si sa anche che è un gioco che può sfuggire di mano. È quindi importante la questione in sé, più che il suo contenuto politico o eventuali ritorsioni. Con riferimento a ciò, l’Europa ha assunto una posizione ferma e, soprattutto con Merkel e Macron, si è molto spesa. La Germania sulle questioni della difesa ha necessità ancor di più di avere al suo fianco Parigi. Tuttavia per l’Europa, non c’è soltanto la partita nei confronti direttamente della Corea del Nord, ma anche probabilmente un gioco di sponda rispetto alla stessa diplomazia statunitense. Va ricordato che in tutto il percorso diplomatico relativo alla Corea del Nord, se guardiamo anche solo al periodo degli anni ’90 e Duemila, si nutrivano grandi auspici: sulla ripresa del dialogo Nord-Sud Corea, tra Corea del Sud con la Cina e la nuova Russia, sulla denuclearizzazione della penisola coreana, fino all’accordo quadro del 18 ottobre 1994 con gli USA. Tale accordo è poi fallito e, da lì in poi, la ripresa negoziale nei primi anni Duemila non ha visto la presenza dell’Ue, ma tra le grandi potenze e gli attori regionali. Ora l’Europa gioca di sponda rispetto agli USA, là dove si evidenzia oggi la posizione forte di Trump – che vorrebbe costringere il regime nordcoreano a tornare al tavolo delle trattative attraverso un gioco al rialzo – e la possibile funzione di mediazione da parte dell’Ue, preoccupata dalle scelte della presidenza statunitense. Si può notare comunque sulla Nord Corea una certa assonanza tra Ue e USA”.

Quello dell’allineamento Usa – Ue sulla Corea del Nord è un altro tema su cui concentrarsi, perché si colloca in una situazione di generale distacco dell’amministrazione Trump dall’Europa. Infatti, secondo il professor Monzali, “nel complesso negli ultimi vent’anni mi sembra ci sia stato un allontanamento tra le élite politiche europee e americane. Per spiegare però, nello specifico, la vicinanza di posizioni tra Usa e Ue rispetto alla Corea del Nord, c’è da considerare che questa Commissione è fortemente influenzata dalle posizioni tedesche. L’interesse in Medio Oriente per la Germania è soprattutto economico e commerciale e di sostegno al libero scambio. I leader tedeschi sono comunque consapevoli della loro fragilità militare e l’unico possibile schermo protettivo rispetto a tale debolezza è in un buon rapporto con gli Stati Uniti: non c’è alternativa ad avere un buon rapporto con gli Stati Uniti, anche se si hanno divergenze di vedute. E comunque, sembra che sulla Corea del Nord le posizioni dominanti in Europa siano più vicine a quelle dei russi e dei cinesi che a quelle degli USA”.

Punto di vista complementare quello del professor Borzoni, maggiormente orientato a cogliere i punti in comune tra Ue e Usa: “Non c’è dubbio che gli europei vadano verso l’alleanza; siamo stati e rimaniamo alleati degli USA. Tuttavia, la prosecuzione della linea estera statunitense, di non condivisione con gli Alleati, nelle ultime amministrazioni repubblicane, porta ad estremizzazioni abbastanza preoccupanti per gli europei. Si scelgono le coalizioni e questo va a discapito rispetto al legame storicamente attestato. Gli USA vorrebbero una maggiore incisività degli Alleati e, non avendola trovata, procedono seguendo la linea del perseguimento del proprio interesse nazionale. A volte i due interessi (statunitense ed europeo) hanno modalità politiche e diplomatiche diverse di manifestarsi, come si vede sull’Iran e sulla Corea del Nord”.

Speranza o timore dunque? Si può comprendere il quadro solo contestualizzando il ruolo della Corea del Nord rispetto alle altre principali parti in causa. In merito a cioò, secondo il professor Manzali “Una delle ragioni della sopravvivenza della Corea del Nord è il sostegno cinese. La Cina può indurla al ritorno ad una politica più moderata; la sopravvivenza della Corea del Nord allontana gli americani dai suoi confini e per questo è molto importante per la Cina: è uno stato cuscinetto fondamentale. L’elemento chiave per risolvere la questione è quindi il rapporto Cina-Stati Uniti. Inoltre, la politica estera americana ha avuto conseguenze in ambito internazionale di non poco conto in questi ultimi anni, con il mancato rispetto delle convenzioni ONU e il mancato rispetto dei diritti umani”.

L’interpretazione del professor Borzoni è mossa invece da una maggiore fiducia nelle possibilità di negoziazione che coinvolgano anche l’Europa: “Più volte il contrasto relativo alla Corea del Nord è stato sul punto di non lasciare speranza, come agli inizi del Duemila. Il segretario di Stato Margareth Allbright però trovò un accordo quando vi si recò; anche stavolta si può trovare un sentiero diplomatico positivo e di ciò si devono rendere conto le leadership nordcoreana e statunitense di oggi, seppur consapevoli di un incancrenimento dei toni e della lungimiranza preoccupante. Di ciò l’Europa deve capacitarsi, far sentire la propria voce e agire per riportare la questione su un binario di trattativa. Se l’Ue riuscirà a giocare la sua voce con la forza e la capacità diplomatica che la contraddistingue, potremo aspettarci qualcosa di buono”.