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L’11 settembre della Somalia

19 Ottobre 2017

Un funzionario ha definito l’attentato del 14 ottobre a Mogadiscio “l’11 settembre somalo”, un’affermazione pesante ma non fuori luogo. Molti si chiedono perché i principali giornali di tutto il mondo abbiano mostrato così grande avarizia nel fornire notizie su un evento di simili e orrende proporzioni.

Non è la prima volta che le persone sentono parlare di terrorismo o attentati nella capitale somala. Gli attentati commessi dal gruppo Al Shabaab, affiliato ad Al Qaeda, sono diventati un evento così consueto da produrre un effetto simile a quello che proviamo quando sentiamo parlare di attentati a Baghdad, in Nigeria, a Bamako o a Kabul. Ma l’attentato di sabato, avvenuto presso un trafficato incrocio di Mogadiscio, è stato definito il più grave attacco terroristico nella storia della capitale somala.

Morte nelle strade
Almeno trecento persone sono morte nell’esplosione di un camion bomba fuori dall’hotel Safari, a un incrocio in cui si trovano vari ristoranti frequentati da funzionari governativi. Due ore dopo, nel quartiere della Medina, c’è stata un’altra esplosione.

La situazione sul campo era terribile. Oltre ai trecento morti, ci sono stati centinaia di feriti. Ci sono certamente altre vittime che ancora non sono state conteggiate. Il numero sarà stabilito alla fine dei difficili e lunghi soccorsi e dei tentativi di estrarre i corpi dalle macerie. Gli ospedali che si stanno occupando dei feriti hanno lanciato appelli urgenti a donare sangue. L’Associated press ha riportato le parole di un’infermiera, secondo la quale il personale è stato testimone di “orrori indicibili”, mentre i dottori hanno dovuto lavorare giorno e notte tra le urla dei feriti.

In questa situazione, in molti si sono rivolti ai social network per capire perché gli eventi di Mogadiscio non stessero ricevendo la stessa copertura stampa riservata ad altri attacchi terroristici.

Lo scrittore Marwan M. Kraidy ha scritto su Twitter: “Cercasi disperatamente #camionbombaMogadiscio. 276 morti non abbastanza per copertura stampa #IosonoMogadiscio”.

Anche il professore di diritto Khaled Beydoun ha usato Facebook per scrivere: “Odio fare paragoni tra le tragedie umane, ma i mezzi d’informazione ci obbligano a farlo. Non c’è traccia di slogan su Mogadiscio o di immagini commoventi sui social network in segno di solidarietà”.

Questo assordante silenzio, o l’assenza di una solidarietà paragonabile a quella mostrata durante gli attentati di Manchester o Londra, ha suscitato grande sdegno.

Su Twitter l’hashtag #IamMogadishu è stato usato per esprimere il proprio cordoglio e la propria rabbia per gli attentati, e anche per condividere notizie. Ma il modo in cui questi eventi sono stati raccontati su scala globale non è stato, per le persone comuni, all’altezza della gravità degli eventi.

Non c’è ancora stata un’esplicita rivendicazione dell’attentato da parte di Al Shabaab, né una conferma da parte del governo. Il gruppo somalo alleato di Al Qaeda sembrerebbe aver mantenuto la propria promessa d’intensificare la campagna terroristica contro i civili e le infrastrutture statali. Appena due settimane e mezzo fa, il 29 settembre, Al Shabaab aveva compiuto un attentato contro una base militare, prendendone il controllo e uccidendo almeno otto soldati. La cosa assume un valore importante alla luce del divieto d’ingresso negli Stati Uniti per i cittadini somali annunciato dal presidente Donald Trump: in realtà, sono proprio questi cittadini le prime vittime del terrorismo.