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Stati Uniti: debiti da carte di credito ai massimi dal 2008

25 Agosto 2017

Il fenomeno rischia di produrre pesanti ripercussioni

Negli Usa, alla fine dello scorso giugno, il debito da carte di credito ha raggiunto 3.800 miliardi di dollari, una quota che segna il nuovo record fin dai tempi dal crack del 2008. Lo si evince dai dati forniti dalla Federal Reserve, secondo i quali il credit revolving, nel cui computo rientrano anche le passività registrate dalle carte, è arrivato a toccare quota 1,02 miliardi di dollari. Nella fattispecie, le cifre indicano che, nel solo primo trimestre del 2017, si è assistito a un incremento dell’8% circa  dei ritardi superiori ai tre mesi sull’estinzione del credito. Synchrony Financial ha annunciato un aumento del 30% degli accantonamenti, giunti a quota 1,3 miliardi di dollari, in previsione di un notevole aumento delle insolvenze da parte dei propri clienti. Il colosso American Express, dal canto suo, si è limitato a mettere da parte ‘soltanto’ il 26% in più rispetto all’anno precedente, mentre Capital One ha reso noto che la percentuale dei saldi non recuperati è passata dal 4% di fine 2016 a 5,1% nel secondo trimestre del 2017.

Si tratta delle naturale conseguenze della crescita del debito delle famiglie, che negli ultimi anni hanno fatto ricorso in maniera crescente alle carte di credito per acquistare case e automobili. Cosa che ha indotto gli analisti più avveduti a ‘prendere con le molle’ il record storico della ricchezza familiare raggiunto negli Usa a luglio, attestatosi a quasi 95.000 miliardi, con un incremento di oltre 40.000 miliardi rispetto al picco negativo raggiunto nel 2009, in piena fase recessiva.

Alla base del picco vi sono infatti la crescita inarrestabile degli indici azionari, dovuta in primo luogo alla politica iper-espansiva della Federal Reserve, e la valorizzazione del patrimonio immobiliare. Il contributo offerto all’aumento della ricchezza dal reddito da lavoro, in altre parole, è stato pressoché nullo, a differenza di quello apportato «da società anche di piccole dimensioni, ovvero con un solo addetto, il proprietario». Di queste ultime, stando ai dati della Fed, «solo il 35% dell’80% […] produce profitti. Da ciò ne deriva che il 72% delle aziende è in perdita». A molti addetti ai lavori, tra cui l’economista David Rosenberg, questo trend è apparso ‘strano’, specialmente se raffrontato all’andamento del tasso di disoccupazione, abilmente mascherato da astrusi metodi di calcolo concepiti allo scopo deliberato di occultare il reale stato delle cose, ma in verità rispecchia la situazione vigente in cui la presunta ripresa economica è stata trainata da un crescente indebitamento, vista l’incapacità a realizzare una reale crescita dei salari, i quali rimangono inchiodati ai livelli capitalizzati negli anni ’70.

Tutto ciò si è naturalmente riverberato sull’andamento del debito da carte di credito. Come ha rilevato l’addetto ai lavori Matt Schultz: «non possiamo», ha dichiarato l’esperto Matt Schultz, «continuare a sottoscrivere debiti da carte di credito in eterno senza causare grossi problemi al sistema […]. È probabile che il record raggiunto in questi giorni non coincida con il punto di non ritorno, ma si deve concludere che quest’ultimo si presenterà a breve se la situazione non muterà radicalmente». In una situazione del genere, un sensibile aumento dei tassi da parte della Federal Reserve potrebbe provocare risultati catastrofici, come testimoniato dai precedenti storici che vedono nei rapidi incrementi dei debiti i segnali premonitori di una crisi imminente, con conseguente inaugurazione di lunghe fasi recessive.