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Colombia, la coca intralcia i negoziati di pace

2 Agosto 2017

Nonostante il Paese abbia iniziato un percorso di negoziazione pacifica da ben tre anni, la coltivazione sembra essere un problema persistente

Coltivazioni di coca: è forse questa la questione più problematica per la Colombia e per i suoi negoziati di pace. La Colombia è il principale Paese esportatore e produttore di cocaina nel mondo, basta pensare che secondo alcuni dati pubblicati dal Governo statunitense, in Colombia nel 2016 erano presenti circa 188 mila ettari dedicati alla coltivazione di coca.

Nonostante il Paese abbia iniziato un percorso di negoziazione pacifica da ben tre anni, la coltivazione di coca sembra essere un problema persistente. Infatti, secondo alcuni dati dalla JIF, Junta Internacional de Fiscalizacion de Estupefacientes, nel biennio compreso tra il 2014 e il 2016, la coltivazione di coca in Colombia sarebbe aumentata del 39% (69,000 ettari nel 2014, 96,000 ettari nel 2016). Partendo da questo dato, si può quindi dedurre che la coltivazione di coca è una produzione troppo importante per la sopravvivenza della maggior parte dei contadini colombiani, che neanche gli ultimi sviluppi politici nel Paese sono riusciti ad arrestare.

Anche se i coltivatori colombiani generalmente non traggono notevoli benefici o vantaggi economici dalla coltivazione e dal mercato di coca, questo tipo di produzione ha però rappresentato per moltissimo tempo l’unico mezzo di sostentamento che ha garantito loro uno stile di vita dignitoso, permettendogli così di sopravvivere. Infatti, la coltivazione della coca nelle regioni periferiche del Paese ha rappresentato per centinaia di famiglie per diverse generazioni l’unica fonte di mantenimento economico.

La coltivazione di coca ha delle radici molto profonde nel Paese, che la rendono un aspetto tradizionale. La ‘storica’ consuetudine colombiana relativa alla coltivazione di coca rappresenta un aspetto fondamentale per comprendere il motivo per cui questo mercato e la rispettiva produzione siano così difficili da arginare. Quindi, una delle motivazioni alla base di questa sua forte presenza nel Paese risiede principalmente nelle tradizioni colombiane. Il che che rende difficile l’abbandono di tali colture da parte dei contadini colombiani.

In secondo luogo, la difficoltà nell’arginare tale produzione è dovuta anche alla mancanza di una produzione alternativa da proporre ai contadini. Una delle proposte più controversie discussa nei negoziati di pace nel Paese con le Farc (Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia) concerne l’idea di una coltivazione sostituiva e uno sviluppo alternativo in queste regioni. Lo stesso UNODC, United Nation Office of Drugs and Crime, organismo delle Nazioni Unite, da circa due anni ha attuato numerose iniziative per garantire uno sviluppo alternativo in Colombia – cacao, caffè, miele ….-. L’organismo avrebbe fornito assistenza tecnica a oltre 100.000 famiglie cui reddito era strettamente dipendente da coltivazioni illecite. Il problema però risiede nella scarsa accessibilità per queste famiglie ai mercati legali internazionali. I produttori locali più poveri, infatti, non sono in grado di vendere il loro prodotto a un prezzo che effettivamente ricopra i costi di produzione, ovvero terra, lavoro e capitale. Il problema risiede, infatti, nella questione delle sovvenzioni economiche garantite dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per i mercati agricoli. Queste ultime sono utilizzate da diversi Governi per sovvenzionare gli agricoltori e agli agroalimentari, in modo da pote integrare i redditi dei coltivatori, gestendone la fornitura di prodotti agricoli e influenzando il costo e la fornitura di materie prime.

A tal proposito, occorre sottolineare che i Paesi che attuano questa politica di sovvenzioni, sono soprattutto Paesi ricchi, o comunque già sviluppati. Questo ha fatto sì che né la Colombia, né altri Paesi andini potessero, e possono permettersi tali sovvenzioni. Di conseguenza, i produttori locali colombiani o andini non hanno la possibilità di competere con le importazioni a basso costo. Nel 2002, infatti, la FAO ha riconosciuto che le sovvenzioni agricole nei Paesi ricchi hanno comportato l’esclusione dei produttori provenienti da Paesi in via di sviluppo. Tutto questo ha così permesso agli agricoltori e all’agro business di distorcere il prezzo di mercato, offrendo prodotti a buon mercato, vendendoli a meno del costo di produzione, eliminando così la concorrenza dei produttori dei Paesi più poveri. Non è, infatti, una coincidenza che la coltivazione della coca in Colombia, e nei Paesi andini, sia iniziata quando sono aumentate le sovvenzioni agricole per i Paesi più ricchi.

In un mondo globalizzato, le colture illegali come la coca, la cannabis e i papaveri sono una risposta razionale dei poveri agricoltori ai prezzi ridotti dei prodotti agricoli sovvenzionati. Anche se i progetti promossi dalle organizzazioni delle Nazioni Unite cercano di aiutare gli agricoltori a vendere i loro prodotti in mercati nazionali e internazionali competitivi – basta pensare l’aiuto fornito a circa 100,000 famiglie, al fine di iniziare a coltivare cacao, caffè o miele, anziché foglie di coca – , rimane però necessaria in primis un’iniziativa economica internazionale atta a rendere più accessibili i mercati legali ai piccoli produttori colombiani. È necessario, poi, che i margini di profitto relativi ai prodotti legali come il caffè, il miele e il cioccolato, siano più alti rispetto a quelli attuali.

Il problema strategico centrale che ostacola l’attuazione di una produzione sostituiva alternativa alla foglia di coca in Colombia risiede in queste due grandi sfide economiche. Fino a quando il mercato agricolo internazionale non vedrà l’elargizione di sovvenzioni a Paesi andini, Colombia inclusa, i mercati legali rimarranno inaccessibili ai produttori locali, così che la foglia di coca rimarrà sempre la migliore coltura per i contadini colombiani. Per oltre 35 anni il mercato illegale di droghe ha arricchito ‘los carteles colombianos’, ed è stato anche la fonte di espansione della guerriglia delle FARC nelle aree più remote del Paese. I recenti accordi di pace tra il Governo colombiano e le Farc hanno comportato una trasformazione radicale nell’economia del narcotraffico nel Paese. Il 70% delle piantagioni di coca si trovavano, infatti, sotto il loro controllo.

Nonostante gli accordi di pace firmati lo scorso novembre dal Governo colombiano e le Farc prevedano una nuova proposta sostitutiva in termini di produzione – ovvero un piano alternativo per sostituire la produzione di coca dei piccoli coltivatori colombiani – , hanno però lasciato la guerriglia dell’Esercito di Liberazione Nazionale colombiano ed alcuni gruppi criminali a contendersi questo mercato, rendendolo così ancor più difficile da controllare. Secondo quanto affermato da Josè Angèl Mendoza, Generale colombiano direttore della polizia anti-narcotici, in un servizio di ‘Internazionale‘ pubblicato lo scorso aprile, le forze di polizia stanno portando avanti un’iniziativa oltre che di sostituzione di produzione, anche di sradicamento forzato di queste piantagioni.

Benché l’unità anti-narcotici colombiana sia consapevole che il business dietro queste piantagioni non appartenga ai piccoli coltivatori indigeni colombiani, ma al narcotraffico e alle organizzazioni criminali, ha deciso comunque di portare avanti lo sradicamento forzato di numerose piantagioni, come nella località di Tumaco (una delle zone dove si concentra la maggior parte dei campi di produzione di coca in Colombia). Non si considera però il fatto che sradicare una piantagione di coca non comporta un danno immediato per il narcotraffico o il crimine organizzato, ma mette in serie difficoltà solo i poveri coltivatori colombiani, i quali non possiedono alcuna alternativa per sopravvivere. Le organizzazioni dei ‘cocaleros’ – coltivatori di coca – in Colombia non sono, infatti, contrari a un piano di produzione sostitutivo, ma chiedono dei tempi brevi di una sua applicazione. Se le forze governative continuano a sradicare le piantagioni di coca, senza però fornire un’alternativa reale ed efficiente, i contadini colombiani, nel mentre, di che cosa vivranno? Serve, quindi, un piano alternativo che sia innanzitutto plausibile, e che sia inoltre in grado di fornire nell’immediato un’attività di produzione alternativa per i coltivatori colombiani.

Oltre ciò, è necessario un cambio di mercato a livello internazionale volto ad agevolare l’accesso al mercato legale per questi coltivatori. Senza questi due fondamentali fattori, per la Colombia risulta impossibile arginare la problematica relativa alla produzione di coca, o comunque, cotinuare sulla linea degli sradicamenti forzati, si rischia solo di alimentare un sentimento di rabbia e disappunto tra i coltivatori locali.

Oltre ciò, il Paese si trova in un momento alquanto critico da gestire. Sono, infatti, diverse le questioni che il Governo colombiano sta affrontando quest’anno, come l’introduzione delle Farc nel panorama politico nazionale, un processo delicato, che richiederà tempo, impegno e dialogo. Bogotà deve, inoltre, affrontare l’ormai ‘eterno’ problema del narcotraffico, per non parlare dell’enorme flusso di migranti venezuelani in fuga dalla dittatura di Nicolas Maduro, che cercano rifugio nel Paese. Secondo ‘El Nacional‘, circa 25mila venezuelani oltrepassano ogni giorno il confine, e ad oggi si parla di circa 150 mila immigrati venezuelani che arrivano e si stanziano illegalmente in Colombia. L’immigrazione venezuelana – se non esodo – è un’ulteriore sfida che il Governo colombiano si trova ad affrontare da tempo, sfida da non sottovalutare, visto il suo notevole impatto sociale e sull’economia del Paese ospitante. Una volta elencate le molteplici sfide per il Governo di Juan Manuel Santos, c’è da chiedersi se la Colombia riuscirà a gestirle e ad affrontarle contemporaneamente e soprattutto in maniera equa ed efficiente.