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Il peso di Boko Haram nella crisi della Nigeria

18 Luglio 2017

L’influenza del gruppo terrorista sull’economia nigeriana sta diventando sempre più devastante

La Nigeria sta affrontando una delle peggiori crisi che la mette al 169° posto di 190 Paesi in una classifica che la World Bank fa in relazione alle attività lavorative e alla crescita economica di vari Paesi del mondo.

L’influenza di Boko Haram sull’economia nigeriana sta diventando sempre più devastante. Milioni di persone sono state costrette a lasciare le proprie abitazioni nell’area del Lago Ciad che include parti del Camerun, del Ciad, del Niger e della Nigeria e milioni stanno affrontando la crisi provocata dalla scarsità di cibo. Nel 2016 la World Bank ha pubblicato un’analisi in cui stima che la rivolta del gruppo terroristico, i raid, i bombardamenti e la distruzione delle comunità ha causato ben 9 bilioni di dollari in termini di distruzione.

La crisi che ha assorbito la zona intorno al Lago Ciad ha cambiato di molto il modo in cui le famiglie e le comunità vanno avanti. L’agricoltura ha subìto un crollo gravissimo, rispecchiatosi in primis sulla popolazione. Ma lo scenario di distruzione e di devastazione è anche la conseguenza dell’azione del Governo nigeriano e dei suoi tentativi di affrontare Boko Haram e il peso che l’organizzazione ha avuto sulla popolazione, aggiungendo ostacoli al risollevamento dell’economia e delle attività come l’agricoltura e il commercio.

Nella città di Yola, la capitale dello Stato Adamawa a nord-est della Nigeria dove la lotta contro Boko Haram ha registrato punti positivi, i commercianti e i civili sfollati mostrano tutti i loro problemi e quelli delle loro comunità nel tentativo di rimettersi in piedi, soprattutto in un momento in cui il cibo scarseggia e i pericoli sono sempre dietro la porta. Il risanamento dell’agricoltura e del commercio non trova un valido aiuto nemmeno dal Governo; le normative, infatti non fanno che rendere ancora più difficoltoso il tentativo di rendere più sicure le terre e di far ripartire quell’economia così in fase di stallo.

D’altronde è chiaro che finché l’insurrezione di Boko Haram continuerà ad essere una piaga per il Paese, lo sviluppo sociale ed economico non sarà uno scenario facilmente prospettabile. Anche nelle zone dove l’organizzazione è stata allontanata, la situazione non sta migliorando; le persone fanno un’enorme fatica anche a ricostruire le proprie abitazioni, a riprendere in mano la propria vita e a tornare al ‘punto di partenza’. Se non si riparte dalla ricostruzione del piccolo, è ancor più arduo pensare ad un miglioramento generale nel Paese.

Il Governo nigeriano si è mosso contro l’insurrezione del gruppo jihadista ma lo ha fatto in maniera probabilmente discontinua, irregolare; in alcuni territori l‘instabilità è ancora talmente forte da non poter pensare che la presenza statale sia tornata ad essere dominante. Nella zona del lago Ciad Boko Haram ha reso la vita davvero difficile agli agricoltori, privati dei loro beni primari di sopravvivenza. Perfino le strade di comunicazione e di circolazione dei beni sono state interamente distrutte. Per tre intere stagioni tutto si è fermato.

L’organizzazione si è anche stabilita all’interno dei territori lucrando delle reti interne di commercio, servendosi ad esempio del commercio di pesce e dell’allevamento di bestiame; in risposta, il Governo nigeriano ha posto un freno a questo attraverso un controllo dei trasporti via mare di vari beni, provvedendo a chiudere le rotte e persino a bombardare le imbarcazioni e i mezzi di trasporto ritenuti sospetti. Nello scorso anno il colonnello dell’esercito nigeriano, Sani Usman, accusò pubblicamente alcuni rivenditori di fornire beni ai membri di Boko Haram e annunciò di voler frenare questi commerci pericolosi.

La strategia del Governo per combattere Boko Haram prevede un regime di sicurezza rigido e contempla il blocco delle vie del commercio e questo, però, fa si che sia più difficile per tutti trovare cibo, non solo per gli insorti. Chiudere le vie per il commercio frena inevitabilmente anche chi di commercio ci vive e impedisce il rifornimento di beni di prima necessità. Molte perplessità sull’azione governativa anche perché l’organizzazione terroristica non sembra essersi arrestata con questo freno statale; stanno, infatti, servendosi delle vie del contrabbando preesistenti, rendendolo attrezzate.

Ma occorre fare un’altra precisazione: Boko Haram ha denaro. Ed il denaro conta sempre e ancora di più se ad averne bisogno è gente disperata. Questo il retroscena commerciale, ciò che si cela dietro quello che il Governo intende bloccare in quel modo. E’ così che alcuni si ritrovano a commerciare con i membri del gruppo jihadista beni vari come riso e carburante. Loro pagano ciò che chiedono i commercianti. Per la compravendita di beni che potrebbero destare sospetto, l’organizzazione si serve delle donne e le paga per farle recare nei luoghi di scambio e comprare i beni richiesti. Queste hanno una ricompensa che si aggira, secondo fonti locali, nel casi della compravendita di benzina, tra i 25.000 e le 50.000 naira, ovvero tra gli 80 e i 160 dollari.

Il Governo cerca di fare anche altro: ad esempio, chiede ai commercianti della città di Yola di riportare ogni avvistamenti di membri di Boko Haram e mette in giro poster di membri ricercati. Certamente, è agevole comprendere che le denunce di avvistamenti sono poche: le persone sono spaventate e temono anche che il governo possa pensare che tra loro e il gruppo criminale esista qualche relazione sospetta. Si sceglie la via dell’omertà dinanzi ad una soggezione troppo grande e ad un senso di disperazione che semina paure e insicurezze.

Nel 2015, viene riportato un intervento delle forze di sicurezza statali nei pressi del mercato della città di Pela; ad attirare l’attenzione il comportamento sospetto di un uomo che dichiarò di essere pagato dai membri di Boko Haram il 75% in più rispetto al prezzo solito dei beni venduti. Dinanzi all’assenza di modi alternativi di guadagno, è comprensibile l’attrattiva della proposta di contrattazione con l’organizzazione.

Insomma, il compito dei Governi locali presso le zone del lago Ciad è tutt’altro che agevole: cercare di promuovere il rilancio dell’economia locale, cercando contemporaneamente di far sì che gli insorti criminali non si approprino dei benefici del risollevamento dell’economia. La mano dura dello Stato nella repressione del commercio sospetto e delle attività lavorative, in realtà, si è dimostrata una strategia che ha messo sullo stesso piano insorti e civili, finendo per discriminare le attività di questi ultimi. Ora la giusta mossa dei Governi dovrebbe forse essere riconoscere la giusta importanza alle economie locali e ripartire (diversamente) dalla promozione di una strategia di cooperazione che non impedisca più ai cittadini di risollevarsi da una crisi, finora, senza fine.