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L’Opec (e i sauditi in particolare) sotto scacco dei fracker Usa

8 Giugno 2017

I produttori non convenzionali rialzano la testa

Si registra ormai da tempo un grande attivismo attorno al mercato del petrolio, specialmente da parte dell’Opec, impegnata nel tentativo di rialzare il prezzo del greggio attraverso una serie di tagli di produzione il cui effetto naturale rischia però di essere vanificato dalla straordinaria caparbietà dei fracker statunitensi, la cui inaspettata resilienza è fortemente suscettibile di determinare una nuova caduta della quotazione del greggio. Contrariamente alle stime della stessa Organizzazione che riunisce al suo interno buona parte dei Paesi produttori di petrolio, secondo le quali l’output di petrolio non convenzionale statunitense sarebbe dovuto declinare di oltre 160.000 barili al giorno nell’arco del 2017, i produttori Usa sono riusciti a estrarre greggio in quantità del tutto inaspettate, al punto da indurre l’Opec a rivedere radicalmente le aspettative a non meno di 600.000 barili al giorno di produzione aggiuntiva.

Ma la cifra potrebbe essere ulteriormente corretta al rialzo nel corso dell’anno corrente. Così, dopo un periodo assai difficile, «gli americani dello shale oil […]», riporta ‘Il Sole 24 Ore‘, «il miracolo l’hanno fatto a colpi di efficienza, tecnologia e taglio dei costi. Nel settore, che col petrolio a 100 dollari riusciva a sopravvivere solo gonfiando a dismisura i debiti, oggi diverse compagnie esibiscono una crescita dei profitti a doppia cifra percentuale e qualcuna è addirittura vicina a coprire spese e dividendi con i flussi di cassa». Tale stupefacente ripresa è stata resa possibile dalla decisione presa dall’Opec nella riunione del novembre 2016, in occasione della quale l’Organizzazione ed alcuni grandi produttori esterni avevano decretato di comune accordo tagli alla produzione per far risalire la quotazione del greggio, così da permettere a ciascuno dei Paesi membri di raggiungere la soglia minima di remunerazione (breakeven); per il Kuwait, l’Iraq e l’Iran, tale soglia corrisponde a una quota compresa tra i 49 e i 55 dollari al barile, mentre per l’Arabia Saudita si parla di livelli molto più alti.