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Lasciare o restare? Gli Stati Uniti e il dilemma del COP 21

1 Giugno 2017

Le ricadute economiche sono secondarie, si tratta di una scelta politica

La frattura emersa durante il G7 di Taormina sulle questioni del clima e dell’ambiente, unita alle voci di un possibile ritiro degli Stati Uniti dal Protocollo di Parigi (COP21) del 2015, ha destato molti timori a livello internazionale. Secondo i dati dell’Agenzia federale per la protezione dell’ambiente (EPA), nel 2015 gli Stati Uniti hanno prodotto circa 6,6 miliardi di tonnellate di gas effetto serra (GHG), un valore che – per quanto inferiore rispetto ai 6,8 miliardi di tonnellate del 2014 – rappresenta, in ogni caso, una quota significativa del totale mondale delle emissioni derivanti da combustibili fossili. Nel 2014, gli USA contribuivano, infatti, per il 15% circa al totale mondiale di queste emissioni, ampiamente distanziati dal 30% della Cina, prima in classifica, ma ancora lontani dal 9% dell’Unione Europea. Nonostante i provvedimenti adottati negli ultimi anni (e nonostante l’impatto avuto dalla crisi economica del 2007-2008), le emissioni statunitensi sono, inoltre, oggi del 4% superiori al livello del 1990, mentre il target che l’amministrazione Obama ha fissato a suo tempo per il 2020 prevede una riduzione del 17% rispetto ai valori del 2005 (7,3 miliardi di tonnellate).

In termini complessivi è quindi facile comprendere quale potrebbe essere l’impatto di un eventuale ritiro di Washington dal protocollo ratificato meno di un anno fa. La lista degli impegni presi dagli Stati Uniti a Parigi (INDC – Intended Nationally Determined Contribution) prevede una riduzione delle emissioni variabile fra il 26 e il 28% rispetto ai livelli 2005; questo obiettivo (da conseguire entro il 2025, con ‘i migliori sforzi’ per raggiungere il massimo risultato) si aggiunge a quello assunto per il 2020 e prevede un tasso di riduzione delle emissioni fra il 2,3 e il 2,8% annuo, valore grossomodo doppio rispetto all’attuale e in linea con l’ambizioso risultato di ‘deep, economy-wide emission reductions’ dell’80% o oltre entro il 2050. Il perseguimento di questi obiettivi si allinea, inoltre, con le previsioni contenute in una lunga serie di misure assunte o emendate nel corso degli anni dalle diverse amministrazioni democratiche o repubblicane (primo fra tutti il Clean Air Act del 1963 e successive modifiche, l’Energy Policy Act del 2005, e l’Energy Independence and Security Act), che contribuiscono, oggi, a definire il quadro giuridico di riferimento della politica ambientale statunitense.