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Kenya, il business delle scommesse sulla pelle dei poveri

2 Giugno 2017

Tra il 2014 e il 2016 gli introiti fiscali sono schizzati a 41 mln di euro. Le agenzie di betting si moltiplicano. E attirano una fetta sempre più consistente della popolazione indigente. I ricavi? Finiscono all’estero.

Una corsa all’oro sulle spalle degli ultimi. In Kenya quasi metà della popolazione vive sotto la soglia di povertà, il Pil pro capite è di circa 30 volte inferiore a quello italiano, il tasso di disoccupazione è del 40%. Nella capitale Nairobi tre quarti della popolazione vive in slum e in bidonville. Ed è proprio la popolazione più povera il motore di un business che sta crescendo a livelli esponenziali, diventando una delle industrie più fiorenti del Paese. Quello delle scommesse sportive online.

CRESCITA SENZA FRENI. L’industria mondiale del betting in questi anni ha sfiorato un valore complessivo di 450 miliardi di dollari. Secondo le stime del centro Research and Markets di Dublino, mantenendo gli attuali livelli di crescita nel 2022 raggiungerà i 635 miliardi di dollari (596 miliardi di euro), pari al prodotto interno lordo di una nazione sviluppata. Questo boom globale è anche sostenuto dai Paesi in via di sviluppo e da un mercato in crescita formidabile che sta coinvolgendo sempre più persone che sopravvivono a stento o vivono con redditi di sussistenza. Lo scorso febbraio l’autorità responsabile della tassazione del Kenya, la Kenya Revenue Authority, ha rivelato di aver raccolto in due anni, dal 2014 al 2016, 41 milioni di euro (4,7 miliardi di scellini keniani) in tasse provenienti dalle scommesse e di prevedere per il solo periodo 2016-2017 un introito di 30 milioni.