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Ispi: «Adesso l’Egitto rischia una nuova rivoluzione»

11 Aprile 2017

A sei anni dalla caduta di Mubarak, il malcontento torna ad agitare il Paese. Stretto tra crisi economica, autoritarismo e terrorismo. L’analista Dentice: «Le proteste per la carenza di pane sono il primo segnale».

L’Egitto, il Paese più popoloso del mondo arabo, è anche l’unico che a sei anni dalle cosiddette “primavere” sembra essere tornato al punto di partenza. In piazza Tahrir al Cairo, dove nel 2011 migliaia di persone riuscirono a far cadere Hosni Mubarak dopo 30 anni di regime, uno degli slogan più ricorrenti era «Non lasciate che vi rubino la rivoluzione». Oggi tutto lascia pensare che quella spinta per la democrazia contro la corruzione del sistema sia stata annichilita dal nuovo regime. Eppure, tra i 90 milioni di abitanti che abitano il Paese, i semi che portarono alla rivoluzione sono ancora lì. Con grande preoccupazione dei governi di tutto il mondo, che vedono nel Cairo l’ultimo baluardo contro il caos imperante nella regione.

«SITUAZIONE ESPLOSIVA». «La situazione è esplosiva», spiega a Lettera43.it Giuseppe Dentice, analista all’Ispi (Istituto per gli studi di politica internazionale), «e ci sono tutti i germi perché possa riesplodere come nel 2011, anche se ad oggi il Paese è un po’ più sotto controllo, perché il regime ha ancora abbastanza potere per controllare determinate dinamiche. Tuttavia non è affatto improbabile che un’evoluzione fuori controllo di certi meccanismi possa portare a una terza rivoluzione».