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La Nato mostra i muscoli in Europa orientale

4 Gennaio 2017

Si acuisce ulteriormente la tensione tra Usa e Russia

Gli Stati Uniti ed altri Paesi membri della Nato stanno trasferendo migliaia di soldati e mezzi militari in un centro di smistamento situato in Germania, da dove il materiale e le truppe saranno inviate (a partire indicativamente dal prossimo 20 gennaio) via treno in Polonia e in altre nazioni dell’Europa orientale per partecipare all’esercitazione Nato Atlantic Resolve, che dovrebbe prolungarsi fino al prossimo settembre. Con oltre 2.000 tra carri armati, cannoni, obici, jeep ed altri automezzi militari di vario genere, si tratta del «più imponente dislocamento di soldati statunitensi in Germania dal 1990», che va così a soddisfare le pretese del senatore repubblicano dell’Arizona John McCain, il quale ha più volte richiesto di rinforzare la posizione della Nato in Europa centro-orientale e fornito ai baltici chiare assicurazioni in tal senso. Il colonnello Todd Bertulis, alto funzionario del Comando Europa (Eucom), ha assicurato che l’esercitazione si propone di far sì che l’Alleanza Atlantica si prepari a mettere in campo la potenza di fuoco necessaria in un’area cruciale come quella dell’Europa orientale.
Sullo sfondo dell’esercitazione si situa l’ancora irrisolta questione Ucraina, che vede i separatisti russofoni del Donbass opporre una resistenza armata alle truppe ucraine guidate da un governo ultra-nazionalista che si propone di rompere definitivamente le relazioni con Mosca e ristabilire l’autorità di Kiev sulle aree orientali del Paese. L’Ucraina è infatti l’ultimo Paese-cuscinetto a frapporsi tra la Federazione Russa e la Nato, che dal crollo dell’Unione Sovietica in poi ha inglobato gran parte degli Stati dell’Europa orientale. Tutto ciò in palese violazione del solenne impegno verbale che George Bush sr. e James Baker (allora segretario di Stato)  avevano assunto dinnanzi a Mikheil Gorbačëv nel 1989, in base al quale gli Stati Uniti si erano impegnati a non espandere l’Alleanza Atlantica ad est dei confini tedeschi in cambio dell’assenso sovietico alla riunificazione tedesca e all’inclusione della Germania unita nella Nato. La guerra contro la Jugoslavia del 1999 culminata con la secessione del Kosovo e l’isolamento della Serbia filo-russa; l’assimilazione nel Patto Atlantico di Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, Estonia, Lettonia, Lituania, Slovenia, Bulgaria, Romania, Albania, Croazia e (probabilmente) Montenegro; la costruzione del cosiddetto ‘scudo anti-missile’ in Europa orientale; il sostegno statunitense al secessionismo ceceno e il corteggiamento della Nato nei confronti di Georgia e Ucraina – investite entrambe da rivoluzioni colorate che hanno portato all’insediamento di governo filo-statunitensi e anti-russi – hanno fatto salire notevolmente il livello d’allerta al Cremlino.
Il punto di rottura si è raggiunto nell’inverno 2014, con il colpo di Stato di Piazza Majdan culminato con il rovesciamento del presidente Viktor Janukovyč, il quale cercava di tenere l’Ucraina in una posizione di equilibrio tra le due grandi potenze, e alla sua sostituzione con una giunta ferocemente ostile alla Russia che sembrava intenzionata sia a riprendere l’iter burocratico di associazione dell’Ucraina all’Unione Europea che Janukovyč aveva sospeso in cambio di finanziamenti russi che ad avviare il processo di adesione del Paese alla Nato. Dal punto di vista del Cremlino, l’entrata dell’Ucraina nella Nato rappresenta una minaccia capitale alla sicurezza nazionale russa, e Putin ha più volte dichiarato che non tollererà in alcun caso che gli interessi del proprio Paese vengano messi così seriamente in discussione. Le ragioni che portarono gli Usa a supportare la pianificazione del colpo di Stato sono esattamente le stesse messe in evidenza dal cancelliere Otto Von Bismarck nel 1870, secondo il quale «la forza della Russia può essere insidiata soltanto attraverso la separazione dell’Ucraina. Quelli che vogliono che ciò accada non solo devono dividerle, ma devono mettere l’Ucraina contro la Russia, aizzare l’una contro l’altra le due parti dello stesso popolo e assistere allo spettacolo del fratello che uccide il fratello. Per realizzare ciò, occorre individuare ed istruire traditori nel seno dell’élite nazionale, e con il loro aiuto cambiare la coscienza di una parte del popolo, a tal punto che essa aborrisca tutto quanto è russo, aborrisca la propria stessa stirpe, senza nemmeno che se ne renda conto. Il resto lo farà il tempo». In alcuni casi, Mosca non ha tuttavia esitato di passare alla controffensiva. Nel 2008, forze armate russe inflissero una cocente sconfitta all’esercito georgiano che aveva attaccato le regioni russofone e secessioniste di Abkhazia e Ossezia del Sud, mentre nel 2014 Mosca ha reagito al colpo di Stato di Piazza Majdan appoggiando sia referendum in base al quale la Crimea ha richiesto il ricongiungimento alla Russia che la guerriglia ingaggiata dalle repubbliche indipendentiste di Donetsk e Lugansk contro il governo centrale ucraino.
Alla luce di tali precedenti, il lancio dell’esercitazione Atlantic Resolve può essere interpretata come l’ennesimo affondo dell’amministrazione guidata da Barack Obama ormai agli sgoccioli mirato a complicare il raggiungimento dell’obiettivo di ricostruire rapporti cordiali con la Russia annunciato da Donald Trump. In Iraq, le operazioni gestite dagli Usa e rivolte a liberare Mosul dalle orde dello ‘Stato Islamico’ sono state praticamente arrestate, al punto che l’Isis ha avuto la possibilità di distaccare forze dalla difesa della città per inviarle in Siria a riconquistare Palmira, aprendo in tal modo un ulteriore fronte di battaglia per l’esercito siriano e le forze russe impegnate a consolidare la riconquista di Aleppo. Solo pochi giorni fa, Washington aveva deciso di espellere dagli Stati Uniti ben 35 membri del corpo diplomatico russo come ritorsione per la presunta intrusione del Cremlino nelle elezioni, ottenendo per tutta risposta gli auguri di Vladimir Putin per un felice 2017. Un colpo di stile attraverso il quale, secondo il politologo Edward Luttwak, «Putin vuole dimostrare che Obama non conta più nulla. Che il suo è il dispetto di un personaggio frustrato e rancoroso. Che non si rassegna ad accettare la sconfitta elettorale della candidata democratica Hillary Clinton. Che vuole compromettere più di quanto abbia già fatto il futuro delle relazioni russo-americane. Che vuole legare le mani al suo successore Donald Trump».