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Cyber propaganda: come funziona e quali sono gli obiettivi russi

1 Dicembre 2016

Dopo gli Usa, anche l’Italia, tramite il M5s, potrebbe essere preda della disinformazione filo-Cremlino? L’esperto digitale Stefano Mele: «Destabilizzano i Paesi, influenzano le elezioni e iniettano i dubbi».

Un network tentacolare di siti, blog e account che diffondono ogni giorno bufale, teorie complottistiche e posizioni pro-Cremlino a milioni di utenti. Questa volta l’accusa al Movimento 5 stelle e alla sua cyber struttura arriva da BuzzFeed. Immediata la reazione dei pentastellati di Camera e Senato sul Blog. «Il M5s ha i suoi account social ufficiali, il suo sito ufficiale e il suo Blog ufficiale, così come i suoi portavoce», si legge nel comunicato. «Altri siti o account social non ufficiali non sono riconducibili al Movimento, come ha dimostrato il caso Beatrice Di Maio».

POI PERÒ C’È TZE-TZE… Come ricordano i portavoce, negli ultimi mesi il M5s ha incontrato «centinaia di figure istituzionali di Paesi stranieri, tra cui quello russo». Per cui «le accuse di fare propaganda pro Cremlino o di diffondere notizie false è ridicola». Non è tutto: il Blog smentisce anche il fatto che i parlamentari M5s abbiano firmato un contratto con la Casaleggio Associati. Riassumendo: nessuna propaganda filo Putin e nessuna cyber-struttura parallela alla rete ufficiale. Restano però i siti della Casaleggio che non può essere considerata estranea al Movimento: La Fucina, La Cosa e Tze-Tze. La linea di quest’ultimo non è certo ostile a Putin e molte notizie sono riprese direttamente da siti come Sputnik o Rt (Russia Today) dichiaratamente filo governative.

BUFALE SENZA FONTI. Notizie diventate virali che però a volte, risalendo con pazienza da link a link, si dimostrano false o senza alcuna attendibilità né fonte. Gli esempi non mancano. Prendiamo la notizia pubblicata da Tze-Tze nell’agosto 2015 dal titolo: «Gli Usa finanziano il traffico di migranti verso l’Italia?» e condivisa 12 mila volte. Bene, l’articolo riprende un altro pezzo proprio di Sputnik Italia: «Neri e scafisti finanziati dagli Usa?». A sua volta Sputnik ha attinto a piene mani da un altro sito: l’austriaco InfoDirekt che dice di «averlo appreso da un rapporto interno dello ‘Österreichischen Abwehramts’ (i servizi d’intelligence militari di Vienna)», specifica Sputnik, «e InfoDirekt è un periodico notoriamente vicino alle forze armate». In realtà, più che alle Forze armate il sito è vicino ai filonazisti austriaci e cavalca antisemitismo, antiamericanismo e teorie complottiste. Come aveva scoperto il sito Stoppt die Rechten, la sede dell’edizione cartacea di InfoDirekt – Dieselstrasse 4/28 – in realtà è un ufficio postale. La società editrice, invece, ha sede in Ellbognerstrasse 60 come l’Österreichische Landmannschaft, associazione di estrema destra che non disdegna i caratteri gotici di bruna memoria. Ecco dunque la fonte originaria della notizia ripresa, in Italia, da Tze-Tze.

Una cosa è certa: dopo le elezioni presidenziali Usa del 2016, e le accuse di hackeraggio e disinformazione in sostegno a Trump, Mosca e la sua potenza di cyber-fuoco è tornata nel mirino. I servizi tedeschi ora temono incursioni per la tornata elettorale del 2017. E il timore è che anche l’Italia alle prese col referendum costituzionale possa diventare facile preda di propaganda filo-Putin. La macchina russa recentemente si è mossa in Repubblica Ceca dove il think tank praghese European Values ha identificato almeno 39 siti di disinformazione pro-Cremlino e nel 2014 in Ucraina dove, stando alle accuse, i tentativi di influenzare la campagna si sono basati su attività di influenza informativa, propaganda e su attacchi informatici.

STRATEGIE VECCHIE, MEZZI NUOVI. In realtà, spiega a Lettera43.it Stefano Mele, avvocato specializzato in cyber security, cyber intelligence, cyber warfare e cyber terrorism, «ciò di cui i russi sono accusati di compiere non è assolutamente niente di nuovo. Oggigiorno grazie alla Rete si hanno strumenti decisamente più efficaci del passato e che raggiungono un pubblico molto più vasto, con tempistiche istantanee e con costi molto contenuti. Concettualmente però parliamo degli stessi tentativi di propaganda realizzati lanciando volantini dagli aerei durante la Seconda guerra mondiale».

Stefano Mele.
Storicamente, aggiunge Mele, «Mosca è sempre stata un attore eccellente nelle attività di influenza, ingerenza, disinformazione e intossicazione informativa. È una sua prerogativa». Va però fatto subito un distinguo tra soft power, in cui per esempio gli Usa sono tra i principali attori, e cioè l’abilità di persuadere, convincere e attrarre attraverso la condivisione di cultura, valori, guadagnando spazi all’interno di università, enti e associazioni, e la psychological warfare, cioè propaganda aggressiva che si avvale di ogni mezzo, anche il più subdolo, per influenzare la popolazione. E non solo del proprio Paese.

L’OBIETTIVO È DESTABILIZZARE. Ma qual è il vero obiettivo della propaganda made in Russia? «La destabilizzazione dell’opinione pubblica», mette in chiaro Mele. «Seminare incertezza all’interno dei Paesi considerati nemici attraverso attività di ingerenza, disinformazione e intossicazione informativa». Mosca, è il ragionamento, è consapevole della sua inferiorità militare e di non essere più la grande potenza della Guerra fredda. Non entrerebbe mai in un conflitto che sa di non poter vincere. Per questo, sottolinea l’esperto, la sua strategia «è di influenza, non di forza. Mira a minare la coerenza interna dei governi, non a distruggerli completamente». Detto altrimenti: se negli Usa avesse vinto Hillary Clinton, paradossalmente l’obiettivo russo sarebbe comunque stato raggiunto, visto che il Paese è uscito dalla campagna elettorale e dalle urne profondamente spaccato. In seconda battuta, poi, attraverso questa strategia così aggressiva la Russia è tornata a far parlare di sé, rivendicando un ruolo strategico a livello internazionale.

IL CYBER WARFARE HA DUE FRONTI. Esattamente come ogni guerra, anche quella informativa si gioca su diversi fronti. Il primo, spiega l’avvocato, è rappresentato dai media tradizionali che sono ancora i più seguiti e ascoltati dall’opinione pubblica. Posizioni e letture filo-Putin sono così veicolate da organi di stampa come Russia Today (Rt), Sputnik. A loro volta ripresi da media mainstream. Il secondo fronte, più nascosto, è la trincea dei social dove profili fake e bot generano e rendono virali notizie false «appetibili per un pubblico meno attento». Lo stesso che si ferma a un titolo a effetto senza verificare la fonte, ed è pronto – anche in buona fede – a farsi megafono della bufala o dell’ingiuria (come ricorda anche l’analisi di Fabio Ghioni sulla disinformazione).

Il meccanismo con cui una notizia fake diventa virale è semplice. Basta un titolo del tipo: «Esplosioni alla Casa Bianca», ribattuto da un sito sconosciuto. L’utente superficiale vedendolo sui social può pensare che sia vero e che questo sito sia semplicemente stato il primo ad avere lo scoop. «A questo punto», continua Mele, «la retwitta o la condivide su Facebook. La bufala quindi si ingigantisce e acquista sempre più “valore” attraverso il meccanismo fondamentale dei social network e cioè la condivisione che a sua volta sfrutta la psicologia degli utenti che sui social vogliono soltanto mettersi in mostra». Molti siti, ricorda poi l’esperto, sono specializzati in notizie false da clickbaiting. Più clicchi più la pagina vende pubblicità e guadagna in posizionamento. «Diverso è se questa semplice tecnica è utilizzata all’interno di un gioco di potere più ampio, magari tra Stati, che ha obiettivi ed effetti ben diversi. Ma il funzionamento logico è il medesimo».

SPAURACCHIO DELLA PROPAGANDA. La propaganda insomma è sempre esistita. Ora si muove su più piattaforme 2.0 e non più su cartelloni e volantini. Allo stesso modo sono sempre esistiti per ogni governo giornali e testate amiche su cui poter contare e a cui passare notizie mirate. Fare propaganda, del resto, non è illegale. Gestire siti o account che supportano apertamente un partito è legittimo in democrazia. Diverso, invece, è diffondere notizie false con lo scopo di danneggiare l’avversario. Così come è ancora differente se un governo interferisce grazie a strategie di disinformazione e intossicazione informativa nella politica di altri Stati per destabilizzarne i governi. O infine, e qui si entra nel diritto internazionale, organizza e paga hacker per violare la sicurezza dei sistemi di voto elettronico per manometterne i risultati.