Se Bergoglio riavvia il pensiero islamico
Roberto Saliba*,
31 Maggio 2016.
“Quello che voi chiamate islam
moderato, e che sarebbe
molto meglio chiamare islam illuminato o non deviato, ha trovato il
suo punto di riferimento morale, globale: è papa
Francesco”.
La
provocazione l’ha lanciata un autorevole teologo musulmano poco
prima dell’incontro “Oriente e Occidente” del 24 maggio scorso
a Parigi, il giorno dopo la storica visita del grande imam
dell’Università Islamica del Cairo, al-Azhar, lo
Sheyk Ahmad al-Tayyib, in
Vaticano.
La frase con cui papa Francesco lo ha accolto, “il
messaggio è il nostro incontro”, ha fatto il giro del mondo.
Ma è il discorso che il Grande
Imam ha pronunciato a
Parigi, nella discussione con il fondatore della Comunità di
Sant’Egidio, Andrea
Riccardi, che spiega
perché il nostro teologo musulmano non ha fatto riferimento solo ai
gesti che hanno reso popolare Francesco anche tra i musulmani, come
la decisione di portare con sé 12 profughi siriani musulmani
tornando da Lesbo. Al fondo della sua “provocazione” forse c’è
qualcosa di più. A Parigi
infatti al-Tayyib ha offerto una visione della globalizzazione che
sembra ripresa da quella enunciata da Bergoglio. No a una
globalizzazione uniformante, un grande Mac Donald globale che annulla
culture e specificità, sì a una
globalizzazione
riguardosa delle peculiarità dei popoli e delle culture.
Questo implicito riferimento a papa
Francesco ha consentito ad al-Tayyib una riformulazione
dell’universalismo
islamico, riguardoso
delle altre identità e culture da cui ha fatto derivare il richiamo
alla regola aurea dell’Islam:
“i non musulmani hanno gli stessi diritti e gli stessi doveri di
tutti i musulmani”. Rivolgendosi agli imam europei al- Tayyib li ha
sollecitati a cambiare discorso, aderendo all’integrazione
positiva. Il discorso non poteva mancare di un riferimento esplicito
e forte al concetto di
cittadinanza: al di là
di identità religiose ed etniche si è cittadini, con pari diritti e
doveri, e questo vale tanto nei paesi del Medio
Oriente come in Europa.
Anche i musulmani europei, ha proseguito, devono considerarsi e
sapersi cittadini dei paesi nei quali sono andati a vivere. E così
se qualcuno davvero volesse costringerli a qualcosa che va contro la
loro morale hanno una strada per far valere i loro diritti;
rivolgersi all’autorità
pubblica, alla
magistratura. E non poteva mancare un invito a distanziarsi una volta
per tutte dal letteralismo, anche in campo
giuridico.
Un discorso articolato, nel quale il
Grande Imam
ha anche tessuto le lodi dell’Illuminismo, e che conferma
l’impressione del teologo citato all’inizio: sempre sulla
difensiva, capace di condannare il terrorismo ma senza mai elaborare
una vera visione o revisione aperta alla modernità, la grande
apertura di papa Francesco
sulla globalizzazione poliedrica e l’invito rivolto ad al-Tayyib ad
andare in visita in Vaticano, nonostante le gravi
incomprensioni del passato,
sembra aver dato fiducia, forse una spinta, a chi nel mondo islamico
avverte l’esigenza di uscire dall’angolo.
Quelli accennati sono
argomenti sorprendenti,
all’apparenza incongruenti con la realtà di questi ultimi decenni.
Ma proprio in quelle ore questi stessi argomenti sono stati al centro
di un importante documento, sottoscritto da cento intellettuali
libanesi, tra i quali molti musulmani.
Il documento, redatto dal noto
fautore del dialogo islamo-cristiano in Libano, il maronita
Samir Frangieh, dal
docente alla Saint Joseph University Anoine Courban e da Michel
Hajji Georgiu, uno degli
editorialisti di punta del quotidiano L’Orient Le Jour, chiama a
raccolta i moderati delle due sponde del Mediterraneo, invitandoli
a organizzare una Convention euro-mediterranea per redigere una
“Carta
del Vivere Insieme”.
Le
firme musulmane sono numerose e tutti i firmatari sottolineano che le
armi non si sono dimostrate idonee a sconfiggere il terrorismo di
ispirazione islamista e le conseguenze possono mettere a repentaglio
la tenuta della stessa cultura dei diritti umani in Europa.
Il documento indica nella ferocia
delle repressioni, a
cominciare da quella siriana, il punto d’origine di questa crisi
estesasi a tutto lo spazio Mediterraneo, ricorda che i popoli del
Mediterraneo hanno saputo scegliere e preservare la cultura del
Vivere Insieme per secoli, sottolinea che il Libano
è l’unico paese dove musulmani sunniti e sciiti, nonostante il
feroce del presente, seguitano a partecipare insieme, e insieme ai
cristiani, alla gestione della Stato, facendo del Libano un esempio
per tutta la regione nella riscoperta del valore imprescindibile di
quella cittadinanza, della quale ha parlato al-Tayyib
e della quale si trova una importante indicazione nel discorso
programmatico sul Medio
Oriente tenuto dal
Segretario di Stato vaticano, cardinale Parolin, durante il
Concistoro sul Medio Oriente: “I cattolici,
uniti tra di loro e con i fedeli delle altre Chiese e confessioni
cristiane, e collaborando con gli appartenenti ad altre religioni,
sono chiamati ad essere artefici di pace e di riconciliazione e,
senza cedere alla tentazione di cercare di farsi tutelare o
proteggere dalle autorità politiche o militari per garantire la
propria sopravvivenza,
devono offrire un contributo alle rispettive società che si trovano
in un processo di trasformazione verso la modernità, la democrazia,
lo stato di diritto e il pluralismo.”
Se papa Francesco abbia
davvero aiutato a “riaccendere” il pensiero
islamico è presto per
dirlo, ma qualche indicazione sembra andare davvero in questo senso.
* giornalista freelance basato a
Parigi