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Come il coronavirus ha risvegliato l’intelligenza collettiva mondiale

Marc Santolini 13/05/2020
Ovunque in tutto il mondo, epidemiologi, professionisti, ingegneri (e tanti altri) sfruttano senza sosta la marea di informazioni sull’epidemia per modellizzare la sua progressione, predire l’impatto degli interventi possibili o sviluppare delle soluzioni alla carenza di attrezzature mediche. 

Tradotto da Silvana Fioresi
Generano così modelli e codici aperti riutilizzabili da parte di altri laboratori.
Il mondo della ricerca e dell’innovazione sembra essere invaso da una frenesia di collaborazione e di produzione di conoscenze aperte altrettanto contagiosa che il coronavirus.
Sarebbe quindi questa la famosa “intelligenza collettiva” che dovrebbe risolvere i nostri problemi planetari più gravi?
La scienza, una rete costruita sulle spalle dei giganti
Nel 1675 Newton scriveva: “Se ho visto più lontano, è perché stavo sulle spalle dei giganti.”
Da allora, il riconoscimento di questa eredità intellettuale collettiva è diventato uno standard nella ricerca scientifica. Tra l’altro, nella scienza e nell’ingegneria, oggi, il 90% delle pubblicazioni sono scritte da equipe di lavoro.
Durante questi ultimi trent’anni l’arrivo di internet prima, e dei social dopo, ha partecipato al cancellamento dei limiti tradizionali dell’intelligenza collettiva, e di società di “sapienti” esclusive con riviste a pagamento, passando attraverso l’opacità del sistema di revisione tra pari (peer-review).
La ricerca accademica vive una situazione tecnologica facilitata e un’apertura senza precedenti che permette a diversi attori di interagire in modo immediato e diffuso tra loro. Si osserva una crescita senza precedenti di riviste ad accesso aperto e di siti di archiviazione di articoli.
Al di fuori del sistema accademico sorgono delle comunità non istituzionali : hackers, bio-hackers o ancora makers si auto organizzano on line e partecipano allo sforzo collettivo di produzione di conoscenze. È questo il terreno fertile che permette una reazione senza precedenti alla crisi del Covid-19.
Il Covid-19 sveglia l’intelligenza collettiva
All’inizio dell’epidemia abbiamo visto la ricerca “tradizionale” accelerarsi e aprire notevolmente i suoi mezzi di produzione. Alcuni giornali prestigiosi, come Science, Nature, o ancora The Lancet, che di solito fanno pagare per accedere ai loro contenuti, hanno aperto l’accesso alle pubblicazioni sul coronavirus e sul Covid-19.
Le informazioni sulla progressione dell’epidemia sono aggiornate continuamente – quelle dell’Università John Hopkins, per esempio, sono il frutto di un lavoro aperto e collaborativo e sono state riutilizzate circa 9.000 volte sulla piattaforma collaborativa Github da parte di altri progetti. 
I risultati sono immediatamente pubblicati su dei server di prepubblicazione con accesso aperto, o sugli stessi siti dei laboratori. Algoritmi e visualizzazioni interattive sono on line su GitHub ; video educativi e di divulgazione su YouTube.
I numeri danno le vertigini, con oggi più di 45,000 articoli accademici pubblicati a questo riguardo.
Recentemente, delle initiative popolari che riuniscono vari attori sono emerse fuori dagli ambienti istituzionali, utilizzando delle piattaforme on line. Per fare un esempio, una comunità di biologi, di ingegneri e di sviluppatori è apparsa sulla piattaforma collaborativa Just One Giant Lab (JOGL) per sviluppare dei sistemi a basso costo e open-source contro il virus. Questa piattaforma, concepita da Léo Blondel (Harvard) e Thomas Landrain (La Paillasse, PILI) durante questi ultimi tre anni, ha come vocazione quella di essere un istituto di ricerca virtuale, aperto e diffuso in tutto il pianeta.
La piattaforma permette alle comunità di auto organizzarsi, per portare delle soluzioni innovanti a delle problematiche urgenti che richiedono delle competenze fondamentalmente interdisciplinari, come anche delle conoscenze “sul campo”. Agisce in effetti come chiave di volta per facilitare la coordinazione mettendo in relazione bisogno e risorse all’interno della comunità, l’animazione dei programmi di ricerca e l’organizzazione dei challenges.
In particolare, l’utilizzo di algoritmi di raccomandazione permette di filtrare l’informazione per fare in modo che i contribuenti possano seguire l’attività e i bisogni della comunità in modo più pertinente, fluidificando la collaborazione e facilitando la formazione di un’intelligenza collettiva.
Quando il primo progetto legato al Covid-19, un test di diagnosi open source e a basso costo, vi è nato un mese fa, abbiamo assistito a una vera e propria corsa sulla piattaforma. Il numero di contributi al minuto non smetteva di aumentare… centinaia di interazioni, creazioni di progetti, scambi… Così tanto che il server che ospita la piattaforma non teneva più! In un mese soltanto ci furono più di 60 mila visite da 183 paesi, tra cui 3 mila contribuenti attivi che hanno generato più di 90 progetti, dal design delle mascherine di protezione a prototipi di ventilatori a basso costo.
Questa comunità massiva si è rapidamente organizzata in piccoli gruppi di lavoro, unendo diverse competenze e universi: data scientists di grandi imprese, ricercatori antropologi, ingegneri e biologi lavorano insieme in questo universo virtuale.
La persona più attiva, coordinatrice emergente della comunità, è stata… una liceale di 17 anni di Seattle! Questa iniziativa oggi è diventata un programma di ricerca a tutti gli effetti. OpenCOVID19, con i suoi 100 mila euro di finanziamento della Axa Research Fund da ridistribuire ai progetti emergenti secondo un sistema di controllo da parte della comunità, in partenariato con l’AP-HP [consorzio pubblico degli ospedali universitari dell’area di Parigi]. per facilitare la valutazione e la validazione dei designs destinati ad un uso ospedaliero, e diversi assi importanti: diagnosi, prevenzione, trattamento e ancora analisi dei dati e modellizzazione.
L’auto organizzazione delle comunità è stato l’appannaggio del mondo open-source e l’origine di un progetto massivo come quello di Linux. Diventa oggi evidente per la soluzione di problemi globali e multidisciplinari, mettendo la diversificazione delle competenze al servizio della complessità.
L’intelligenza collettiva, che cos’è?
Se riusciamo a misurare l’intelligenza individuale attraverso la riuscita di diversi compiti e riusciamo così a calcolare un “quoziente d’intelligenza” individuale (il famoso QI), allora perché non misurare l’intelligenza di un gruppo di individui grazie alla loro riuscita di compiti collettivi?
Alcuni ricercatori hanno dimostrato , nel 2010, l’esistenza di un « fattore c » d’intelligenza collettiva, predittivo della riuscita di gruppo in base a diversi compiti.
Perché un gruppo massimizzi la sua intelligenza collettiva, non c’è bisogno di riunire persone con un alto QI. Quello che conta è la sensibilità sociale dei membri, cioè la loro capacità a interagire in modo efficace, la loro capacità a prendere parola in modo equo durante le discussioni, o anche la differenziazione dei membri, in particolare la proporzione tra uomini e donne in seno al gruppo.
Per dirla diversamente, un gruppo intelligente non è un gruppo formato da individui intelligenti, ma da individui diversi che interagiscono in modo adeguato. Gli autori aggiungono: “Sembrerebbe più facile aumentare l’intelligenza collettiva che quella di un individuo. Potremmo aumentare l’intelligenza collettiva, per esempio, grazie a migliori mezzi collaborativi in rete?”
Questo era lo spirito alla creazione della piattaforma JOGL: si può misurare in tempo reale l’evoluzione della comunità e l’avanzamento dei progetti, e in questo modo si può creare una migliore coordinazione dei diversi programmi, tra cui ovviamente i programmi Covid-19.
I dati offrono anche uno standard quantitativo di “buone pratiche” che facilitano l’intelligenza collettiva, e che permettono l’avanzamento delle ricerche di base sulle collaborazioni che esistono in seno della mia équipe di ricerca al Centro di Ricerche Interdisciplinari di Parigi. Infatti, attivando i mezzi scientifici dei social, studiamo come queste dinamiche collaborative sottintendano l’avanzamento delle conoscenze.
Risveglio effimero o sconvolgimento a lungo termine?
Come riuscire a perennizzare queste rivoluzioni? Se possiamo trarre anche un solo insegnamento dagli “hackathons”, quegli eventi che applicano i principi dell’intelligenza collettiva per produrre dei progetti in un paio di giorni, è che è difficile stabilizzare l’attività di questi progetti nel tempo, dopo l’effervescenza dell’evento.
Nonostante sia troppo presto per trarre delle conclusioni a questo proposito nel caso dell’OpenCOVID19, esistono diverse piste per immaginare il futuro di tali collaborazioni massive.
Un punto comune delle comunità che diventano in poco tempo immense è che ci si trova subito persi ! Chi contattare per risolvere un problema o rispondere a una domanda? La soluzione: un’ “architettura dell’attenzione” che permetta di guidare gli individui dove i loro talenti sarebbero più adatti per il progresso del progetto. In altro modo, è nel sistema di raccomandazioni, questi stessi algoritmi che hanno fatto il successo di social come Twitter, Instagram o Facebook, che risiede il Graal di queste comunità.
Un tale approccio, basato sui fondamenti della scienza delle equipe e della scienza delle reti, permette di utilizzare le tracce digitali lasciate dalla comunità (interazioni, discussioni, progetti realizzati, competenze dichiarate) per presentare in un flusso di attività quale sarebbe la migliore persona da contattare, il progetto più pertinente da aiutare, o anche il compito più logico da produrre in seguito.
Al centro dell’architettura del JOGL, tali algoritmi permettono così di favorire questi incontri casuali che si rivelano essere, in modo inatteso, benefici alla realizzazione di un progetto.
Lo sviluppo di tali algoritmi di raccomandazione a profitto di collaborazioni massive necessita l’apporto di varie discipline, che vanno dall’informatica alle scienze sociali, passando dalla matematica e l’etica. Alla fine, il futuro dell’intelligenza collettiva si volge su se stesso: perché è proprio l’intelligenza collettiva che dovrà mettersi al servizio del suo stesso divenire.