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Le rivolte sono globali, repressione ovunque: 58 detenuti uccisi, 43 in America Latina

Simone Scaffidi 10/04/2020
Il virus della repressione colpisce le carceri: 58 detenuti morti in tutto il mondo all’indomani delle misure di contenimento per l’emergenza coronavirus

Colombia. Per giustificare i 23 detenuti uccisi e gli 83 feriti del carcere La Modelo di Bogotà la ministra della giustizia colombiana Margarita Cabello ha dichiarato que “non è stato un problema sanitario a originare le rivolte” e che semplicemente si “è trattato di un piano d’evasione criminale che è stato represso”. La ministra, almeno per quanto concerne l’emergenza coronavirus, non ha detto il falso, a generare le rivolte in dicassette carceri del paese non è stato infatti il virus in sé. L’incertezza, la paura di morire e l’impossibilità di immaginare un futuro differente da quello prima della detenzione sono condizioni che appartengono alla vita quotidiana della maggioranza dei detenuti e delle detenute, il 21 di marzo del 2020, giorno del massacro, come ogni altro giorno dell’anno. Se si aggiungono le violenze, il sovraffollamento, le umiliazioni e l’assenza di percorsi di formazione degni si può facilmente dedurre che privare le persone recluse della possibilità di ricevere visite sia stata la goccia che ha fatto straripare le carceri.
Rivolte globali. Praticamente tutti i paesi a rischio hanno adottato, tra le misure eccezionali per contenere l’espansione del coronavirus, la limitazione dei diritti fondamentali dei detenuti e delle detenute, dalla proibizione delle visite, alla limitazione degli spazi ricreativi e del regime di semilibertà. Tali misure hanno innescato ammutinamenti, fughe e rivolte e il sistema penitenziario ha risposto con la consueta violenza, normata dai meccanismi storici di repressione statale e biopotere. Il caso colombiano, a riprova che il modello carcere andrebbe ripensato radicalmente e/o abolito in tutto il mondo, non è affatto isolato. Le rivolte si sono verificate in ogni continente del pianeta: dall’Europa (Italia, Francia, Spagna, Belgio) all’America Latina (Colombia, Venezuela, Argentina, Brasile, Uruguay, Perù, Cile), dall’Africa (Mauritius, Uganda) all’Asia (Sri Lanka, Iran, India), dall’America del Nord (Stati Uniti) all’Oceania (Samoa).
Italia. Dal 7 marzo in Italia, all’indomani delle misure per contenere l’espansione del virus – sospensione delle visite con i familiari, del regime di semilibertà e dei permessi premio – si sono verificate sommosse in ventisette carceri. Erano decenni che non si assisteva a rivolte tanto capillari sul territorio con più di seimila persone recluse che si sono sollevate. Il bollettino di guerra recita 13 detenuti morti, “per cause che dai primi rilievi sembrano per lo più riconducibili ad abuso di sostanze sottratte alle infermerie durante i disordini”, ha dichiarato il Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, aggiungendo che “è un momento difficile per il Paese ma lo stato italiano non indietreggia un centimetro di fronte all’illegalità”. Mentre l’omertà e il silenzio calavano sulle sporadiche e goffe dichiarazioni istituzionali, i mezzi di comunicazione ignoravano o sminuivano i fatti, senza approfondire o indagare. La disumanizzazione dei detenuti seguiva inesorabile nell’Europa che esporta diritti umani: privati della libertà, della vita e ora anche dei propri nomi, mai pronunciati dalle istituzioni o dai media. “Chiamatemi col mio nome”, chiedeva il filosofo Paul B. Preciado qualche anno fa, a nome di tutti corpi marginali, storicamente oppressi e imprigionati da un sistema escludente e volontariamente smemorato.
America Latina. E se si torna dall’altro lato dell’oceano, in America Latina, le rivolte sembrano non volersi placare. A seguito della proibizione alle visite dei familiari in Venezuela, il 18 di marzo, 84 reclusi sono riusciti a evadere dal carcere di Santa Barbara e durante la repressione dodici detenuti sono stati uccisi. In Argentina, tra il 23 e il 24 di marzo, i penitenziari di Florencio Varela, Coronda e Las Flores sono stati teatro di ammutinamenti e il bilancio della repressione è stato di cinque detenuti uccisi e diversi feriti, sei dei quali sono stati trasferiti all’ospedale per la gravità delle ferite riportate. In Perù il 22 di marzo le sommosse nel carcere di Trujillo sono state annichilite, tre detenuti sono stati uccisi e più di trenta sono rimasti feriti e trasferiti all’ospedale. In Brasile, il 16 di marzo, dopo le restrizioni al regime di semilibertà e il divieto di uscire dai centri penitenziari, 1375 reclusi sono riusciti a evadere da quattro prigioni dello stato di San Paolo e all’incirca la metà sono stati ricatturati dalle forze di polizia due giorni dopo. In Uruguay non è chiaro se la repressione delle rivolte nel carcere di Concepción abbia provocato morti o meno mentre in Cile, il 19 di marzo, circa 200 detenuti hanno provocato disordini nel più grande carcere del paese, il complesso Santiago 1, incendiando materassi e tentando la fuga.
Sposandoci in Asia, il 21 di marzo, in Sri Lanka, la repressione delle proteste nel carcere di Anuradhapura ha provocato la morte di due detenuti.
Il bilancio mondiale, all’indomani delle misure di contenimento per l’emergenza coronavirus adottate nelle carceri, delle rivolte che ne sono susseguite e della repressione scaturita è per il momento di 58 morti accertate tra i detenuti, in tre differenti continenti, in meno di venti giorni, tra il 7 e il 24 di marzo. In considerazione dell’invisibilizzazione del problema, della tendenza delle autorità a omettere informazioni di fronte all’opinione pubblica e dello scarso interesse dei media nell’affrontare la questione carceraria non si può escludere che il numero potrebbe già essere superiore a quello riportato. Inoltre la repressione nei centri di detenzione è ampiamente legittimata dalle istituzioni statali che sembrano volersi nutrire di essa per rafforzare la propria posizione intransigente di fronte all’emergenza. La velocità di diffusione delle rivolte sembra viaggiare al ritmo della diffusione del virus, nei Paesi dove si registrano casi e si adottano misure restrittive nelle carceri, le proteste non tardano ad accendersi. Il così significativo numero di morti a seguito della repressione, in un così ristretto lasso di tempo, rappresenta un dato preoccupante. Il peggioramento della situazione sanitaria, la difficoltà nell’attivare reti di solidarietà e sostegno “da fuori” e l’impossibilità di osservare e denunciare gli abusi all’interno dei centri penitenziari potrebbe generare scenari ancora più drammatici nelle prossime settimane.
I nomi dei detenuti morti in seguito alla repressione delle rivolte:
Colombia (23)
Pedro Pablo Arevalo Rocha, Jesús Hernesto Gomez Rojas, Cristian David González Linares, Jhon Fredy Peña Jimenez , Daniel Alfonso Gonzalez Espitia , Miguel Angel Lemos Roa, Fredy Alberto Díaz Rodríguez, Édgar Alejandro Gómez Romero, Milton Yesid Rodríguez Álvarez, Cirus David Rojas Ospina, Diego Fernando Rodríguez Peña, András Felipe Melo Sánchez, Michael Alexander Melo Cubillos, Brandon Eduardo Avendaño Quevedo, Euclides José Pérez Espinoza, Yeison David Galvis Forero, Campo Elías Carranza Sanabria, Diego Andrés Rodríguez Fuentes, Joaquín Mejía Aguirre, Henry Humberto Gómez Méndez, Eberzon Palomino Hernández, José Ángel Hernández Páez, Daniel Humberto Carabaño Plazas
Italia (13)
Marco Boattini, Salvatore Cuono Piscitelli, Slim Agrebi, Artur Iuzu, Hafedh Chouchane, Lofti Ben Masmia, Ali Bakili, Erial Ahmadi, Ante Culic, Carlo Samir Perez Alvarez, Haitem Kedri, Ghazi Hadidi, Abdellah Rouan
Venezuela (12)
Luis Ángel Ibáñez López (23), Yerferson José Mendoza Churion (21), José David Sánchez Zambrano (26), Gervin Joel Pacheco Villegas (25), Ángel Alberto Chourio Olmos (24), Luis Carlos Dita Jiménez (26), Eugli José Prado Figueroa (35), César Emilio Guerrero Urdaneta (23), Erson Jail Rojas Pabón (26), Roger Fran Figueroa (44). Mancano due nomi che le autorità devono rendere pubblici.
Argentina (5)
Alan Matías Miguel Montenegro (23), Matías Gastón Crespo (31), Andrés Ezequiel Behler (23), Rolando Duarte (60), Jonatan Exequiel Coria (29), en Las Flores.
Perù (3)
Mauricio Fernández Antagory, Juan Garcia Melendez, Marino Fernandez Guatacaré
Sri Lanka (2)
Questo articolo è uscito in versione leggermente ridotta su Il Manifesto