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La mafia muta Lettera da Roma

Gorka Larrabeiti 27/01/2020
Il termine “mafia” evoca qualcosa di italiano, molto violento, illegale, spettacolare, perversamente politico e morbosamente letterario. Oggi, senza aver smesso di essere quello di una volta, è anche globale, europeo ed europeista, silenzioso e altamente competitivo.

A Barbara Sargenti e a chi, come lei, ha sacrificato molto in questa lotta.

Tradotto da Alba Canelli

La mafia non è più quella di una volta. Potrebbe essere il titolo di un film e, in effetti, lo è (La mafia non è più quella di una volta, Franco Maresco, 2019). È anche una realtà molto sottovalutata. In Spagna si parla molto poco di mafia, e quando lo si fa, si parla o di finzione o di informazioni spettacolari che si percepiscono come straniere: il primo narco-sottomarino europeo, le misteriose balle di cocaina purissima lasciate dalle maree sulle spiagge delle Lande, il regolamento di conti tra mafie straniere sulla Costa del Sol, la guerra tra giovani camorristi a Napoli, o il recente colpo di rete gigante in Italia contro la ‘Ndrangheta. Ciò che il termine “mafia” evoca è qualcosa di prevalentemente italiano, più precisamente meridionale, molto violento, illegale, spettacolare, politicamente perverso e morbosamente letterario. Non è più così o non solo così. Oggi questa realtà, senza aver cessato di essere quella che era, è anche globale, europea ed europeista, sempre più nordica, imprenditoriale, legale, ricercata, stabilizzante e altamente competitiva. La mafia, come ogni organismo vivente, è un sistema che cambia con la storia. La mafia, singolare o plurale, muta. Il magistrato italiano Roberto Scarpinato parla di darwinismo mafioso e di almeno tre specie di mafia: la mafia primitiva, la mercatista e la massomafia.

Fino agli anni Novanta, le diverse specie di mafia (Cosa Nostra, ‘Ndrangheta, Camorra…) si inseriscono bene nel quadro di questo stereotipo criminale e primitivo che ancora lotta per la sopravvivenza. Celebre è la definizione di Leonardo Sciascia, sulla rivista Tempo Presente (1957), che in un articolo del 1982 ha ricordato perché l’ha sempre considerata “di sintetica precisione”. Scriveva quindi Sciascia: “La mafia è un’associazione con lo scopo di commettere reati per l’arricchimento illecito dei suoi associati, che si presenta come un intermediario parassitario e imposto con mezzi violenti tra il bene e il lavoro, la produzione e il consumo, il cittadino e lo Stato”. Si noti la forza dei termini utilizzati: “delitti”, “illeciti”, “parassiti”, “violenti”. Inoltre, secondo Sciascia, la mafia svolgeva anche le funzioni di “sub-polizia e di avanguardia reazionaria”, in cambio della quale era esentata da alcune imposte. In tempi di guerra fredda, la definizione non avrebbe potuto essere più rilevante.Vediamo di seguito la mutazione “mercatista”. Un colletto bianco, un mafioso in cravatta bianca lo descriveva così al magistrato Scarpinato: “Veniamo da un mondo in cui la politica governava l’economia. Oggi l’economia governa la politica, e noi siamo una delle anime dannate dell’economia. Non possiamo riassumere meglio l’accelerazione della storia dagli anni Ottanta in poi, dovuta a tre rivoluzioni – spaziale, globale, politico-economica, neoliberale e tecnologica – che ci ha portato a una “intensificazione dei ritmi di vita e di lavoro”, quella che alcuni chiamano “rapidità” (LS, 18). Inoltre, dopo la caduta del Muro di Berlino, il ruolo di sub-polizia anticomunista delle mafie ha perso il suo significato. A partire dagli anni ’80, ma soprattutto negli anni ’90, la cocaina è diventata un prodotto di consumo massiccio e globale da cui è derivato un flusso di cassa. Ascoltate ora la trasformazione dalla mafia primitiva alla mafia del marketing dalla bocca di un ‘ndranghetista intercettato: “Non facciamo più bang bang, ma clic-clic”. La corruzione è preferita come metodo operativo al sangue, perché è silenziosa e discreta, la sua punizione è più debole e il suo perseguimento più difficile. Nel quadro del neoliberismo, che tutela il libero sviluppo del potenziale e la libertà imprenditoriale dell’individuo da ogni restrizione, la corruzione riesce sempre a fare spazio a se stessa, a stabilire un metodo, a ottenere il consenso.
Con la crisi del 2008, la mafia del marketing è improvvisamente salita ai vertici del sistema finanziario. Il direttore dell’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (UNODC), l’italiano Antonio Maria Costa, ha rivelato nel 2009 che, durante la crisi bancaria del 2008, la terribile mancanza di liquidità che ha seguito il crollo dei prestiti interbancari ha fornito l’opportunità alla criminalità organizzata, ricca di liquidità, di penetrare nel sistema finanziario. La mafia del marketing è diventata così un fattore di stabilità finanziaria. “Non è la mafia che cerca la finanza, ma il contrario”, ha detto a Costa un magistrato antimafia. Le soglie tra l’illegale e il produttivo si sono offuscate. Il caso della Wachovia Bank, che tra il 2006 e il 2010 ha riciclato 380 miliardi di dollari del cartello di Sinaloa, è ancora in fase di richiamo. Confiscare il denaro del cartello comportava un rischio sistemico, quindi il tutto si è concluso con una vaga promessa di “non commettere più crimini in futuro” e una multa di 160 milioni di dollari – un’inezia. Droga e prostituzione sono annoverati nel PIL da Eurostat dal 2014, e la rivista Times – ricorda Scarpinato – ha inserito Lucky Luciano nella lista dei più importanti imprenditori della storia degli USA.
Negli anni ’80 il giudice Falcone parlava di “multinazionali del crimine”, e i reati attuali delle multinazionali sono inseparabili da questo perché si è verificata un’altra mutazione: la mafia massonica o i sistemi criminali integrati. La Grande Disuguaglianza ha colpito anche la mafia: il divario tra il popolo e le élite mafiose si è allargato; le classi medie mafiose sono diventate precarie, mentre le élite mafiose formano una sorta di aristocrazia che si confronta con le élite imprenditoriali e politiche in circoli ristretti, segreti, lontani dal controllo democratico. Lo rivela il boss della ‘ndrangheta Luigi Mancuso in un’eloquente intervista telefonica: “La ‘Ndrangheta non esiste più! La ‘Ndrangheta fa parte della Massoneria! Diciamo che è dominata dalla muratura… Cosa resta ora? Ora c’è la Massoneria e qualche pazzoide che crede ancora nella ‘Ndrangheta. Prima la ‘Ndrangheta era per i ricchi; poi la lasciavano ai poveri, ai contadini. Dobbiamo modernizzare, non attenerci alle vecchie regole. Il mondo sta cambiando e noi dobbiamo cambiare tutto. Oggi si chiama Massoneria, domani si chiamerà P4, P6, P9”.
Di fronte a una mafia legalizzata e a un capitalismo sempre più corrotto e incline all’evasione fiscale, di fronte a una mafia massonica, che si sente al di sopra della legge grazie alla prescrizione quasi automatica dei reati di corruzione, anche la legislazione antimafia avanzata dell’Italia non è adeguata. I magistrati antimafia ammettono, rassegnatati, che il loro lavoro riesce solo a contenere il fenomeno, e gridano nel deserto globale, chiedendo nuovi strumenti che definiscano meglio questi nuovi crimini in cravatta bianca e camicia bianca.
E nel frattempo, si sente parlare di qualcosa in Spagna? Non si è parlato della visita in Spagna dell’ultima Commissione parlamentare antimafia italiana. La stampa e i politici hanno mostrato scarso interesse. La Spagna – lo sappiamo ma lo dimentichiamo facilmente – è un paese fondamentale per le mafie: una “zona franca”, secondo Roberto Saviano, che serve come rifugio per chi fugge dalla giustizia, e che sembra essere il luogo ideale per il riciclaggio in settori come il turismo o l’edilizia. Come osserva la suddetta Commissione parlamentare, “la loro infiltrazione nelle istituzioni non desta ancora particolare preoccupazione, anche se ci sono molti segnali di tentativi di sfruttarle”. La Spagna, ammette il rapporto della Commissione, sta collaborando efficacemente nella lotta alle mafie, anche se manca ancora di strumenti legislativi specifici adottati in Italia, come il reato di appartenenza a un’organizzazione mafiosa. Il problema è che la lotta alle mafie non è una priorità assoluta a causa di una certa “arretratezza culturale della magistratura”. Inoltre, secondo il rapporto, l’opinione pubblica spagnola non è ancora “pienamente consapevole dei rischi che corre un’economia contaminata dal capitale mafioso”. Va ricordato che Roberto Saviano è dovuto venire a spiegarci che la bolla immobiliare catalana non può essere compresa senza la liquidità iniettata nella costa mediterranea dai clan camorristi.
L’ultima volta che il termine mafia è stato usato seriamente in Spagna è stato per il caso Gürtel. “Il PP (Partito Popolare, destra post-franquista) ha avuto un modo di operare mafioso”, ha accusato l’allora segretario politico di Podemos Iňigo Errejón.
Il complotto Gürtel era un complotto mafioso o no? Senza dubbio aveva molte caratteristiche che ci permettono di definirlo tale: l’organizzazione, i fini, il parassitismo, l’intimidazione, la “capacità di influenzare” o di “pressione” che si traduceva in “licenziamento dei funzionari pubblici che non rispettavano i desideri di questa amministrazione parassitaria, e l’ascesa fulminea di coloro che si mostravano docili”. Qualunque sia il caso di Gürtel, la politica spagnola farebbe bene a inasprire le pene per i reati contro la Pubblica Amministrazione in modo che un caso del genere non si ripeta. Né sembra complicato stabilire il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. Dovremmo dare immediatamente significato e utilità a queste auto sportive o edifici che si stanno deteriorando in un limbo giuridico, di fronte all’impotenza delle forze di polizia i cui sforzi si stanno rivelando inutili.
In conclusione, la mafia silenziosa sta vincendo perché non se ne parla. Durante l’ultima campagna elettorale europea, il magistrato Nino de Matteo ha denunciato il silenzio che copre una delle maggiori minacce per l’Unione Europea. Un altro magistrato antimafia, Nicola Gratteri, una delle massime autorità mondiali per la ‘Ndrangheta, sostiene ancora oggi che non c’è istituzione più europea delle mafie, che sappiano sempre stabilirsi dove la legislazione antimafia è più debole, cioè sempre più lontano dal Sud Italia, e sempre più nel Nord e nell’Est dell’Europa. La lotta alle mafie è scesa al tredicesimo posto tra le 26 che compongono l’attuale accordo del governo italiano. E nell’accordo progressivo PSOE-Podemos, mentre si fa esplicito riferimento alla lotta alla frode fiscale e all’impegno a guidare la lotta all’evasione fiscale internazionale, non si parla del problema delle mafie. È come se le mafie non esistessero. C’è una foto senza immagini che illustra questa sfuma informativa nera nelle informazioni sulle mafie non sanguinarie. Su richiesta dell’interessato, le immagini della comparsa di Silvio Berlusconi l’11 novembre nel processo sulle trattative tra Stato e mafia hanno brillato per la loro assenza.
Esiste quindi una sorta di omertà politica e mediatica globale, forse dovuta al fatto che nessuna forma di capitalismo obbedisce alla massima capitalistica del massimo profitto in un tempo minimo così rigoroso come le mafie. Per di più, oggi separare il capitalismo dalla mafia si sta rivelando quasi impossibile. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che, come ha denunciato Pasolini, “anche se possono avere prove, indizi certi, giornalisti e politici non danno i nomi”. Così le mafie continuano a derubarci in silenzio. Hanno sempre il vantaggio. Ora sono interessati a controllare Internet, e controllano, in abito a tre pezzi, interi stati nel cuore dell’Europa.
È quindi un imperativo democratico affrontare la questione in modo legale, politico e culturale. Legalmente, elaborando strumenti giuridici comuni, almeno a livello europeo, secondo il modello italiano; occorre cioè sviluppare una comune concezione giuridica della criminalità organizzata, e stabilire la confisca dei beni che “sono stati utilizzati o sono stati destinati a commettere il reato, e le cose che ne costituiscono il prezzo, il prodotto, il profitto, o che ne costituiscono l’uso” (art. 416 bis). Dal punto di vista politico, le ambiguità dovrebbero essere eliminate nel quadro europeo: non è accettabile che la lotta alla criminalità organizzata appaia e scompaia dalle priorità dell’agenda politica della Commissione europea, come se fosse un accessorio di moda. L’attuale piano quadriennale di lotta alla criminalità grave e organizzata in vigore fino al 2021 non considera prioritaria la lotta alle mafie, mentre il piano quadriennale dell’Agenzia europea per la sicurezza (2015) lo ha fatto. Analogamente, la decisione quadro del Consiglio relativa alla lotta contro la criminalità organizzata (2008/841/GAI) deve ancora essere integrata e aggiornata.
Se puntiamo ancora più in alto, sarà necessario – “Mentre a Roma si parla” (1) – informare seriamente e sollevare una volta per tutte, come dice papa Francesco, “l’immenso problema di una finanza che è già al di sopra delle regole democratiche”. E, anche se questo sembra essere un punto minore, culturalmente, sarà necessario essere vigili contro qualsiasi banalizzazione del termine “mafia” nei marchi, come è successo con la catena di ristoranti La Mafia se sienta a la mesa, già condannata dall’EUIPO [Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale]. Dovremo essere creativi e costanti nella legislazione. Arriveremo sempre troppo tardi e sarà difficile ridefinire il mutante. Dovremo ricorrere al darwinismo, alle congiunzioni disgiuntive, come ha fatto La Torre, alla teologia mistica degli Pseudo-Dionisi, come Sciascia nella misteriosa citazione che apre Todo Modo (2). La vera battaglia sarà quella di garantire che le mafie non siano redditizie per nessuno. Nulla cambierà finché non faremo progressi in questa nuova coscienza civica. Perché le mafie, come nel film di Scorsese L’Irlandese, continueranno a lasciarci sempre soli davanti alla nostra coscienza, tenendo la loro porta sempre socchiusa.
Note della traduttrice
(1) Espressione tratta da Tito Livio: Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur (mentre a Roma si discute, Sagunto è espugnata) usata dall’arcivescovo di Palermo ai funerali del generale Dalla Chiesa.
(2) Questa lunga citazione, che è la prefazione di un romanzo sulla collusione tra terrorismo e mafia nelle élite religiose, politiche ed economiche, è una definizione della Divinità che può essere applicata anche alla mafia: Lo Pseudo Dionisio scrive “che non è né un concetto né una concezione, che non può essere detto o concepito…, che nessuno lo conosce così com’è…, che non si può avere una conoscenza razionale, un concetto, una scienza… ».
Nota di Tlaxcala
L’argomentazione dell’autore sembra in qualche modo contraddittoria e ingenua: come possono le istituzioni di Bruxelles combattere efficacemente le mafie quando in realtà ne hanno favorito la crescita e lo sviluppo?