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Bolivia: un golpe “per Cristo” o per gas, litio, cobalto, uranio, oro, ecc.?

Achille Lollo 21/11/2019
Tutti i media europei e statunitensi hanno usato le patetiche immagini di Luis Fernando Camacho e Jeanine Añez che impugnano la Bibbia come fosse un’arma, per mascherare e occultare la responsabilità strategica del governo degli Stati Uniti in questo colpo di Stato.

Prima di entrare nel merito specifico dei responsabili del colpo di stato, è necessario definire alcuni parametri economici e politici del governo di Evo Morales, per capire perché in un paese come la Bolivia, – dove il PIB è passato da 9 miliardi (2007) a 40 miliardi di dollari (2018), mentre l’inflazione è scesa al 4,5% e la povertà è stata ridotta dal 38% fino al 15% -, è stato organizzato e realizzato il 10 novembre un colpo di stato, nonostante il presidente Evo Morales avesse annunciato la realizzazione di nuove elezioni prima della fine del suo mandato (22/01/2020), proprio come aveva richiesto il segretario dell’OEA, Luis Almagro e anche la stessa Unione Europea attraverso Federica Mogherini.
In realtà il colpo di stato realizzato dal Comandante in Capo delle Forze Armate, generale Williams Kaliman, insieme al Comandante Generale della Polizia, Vladimir Yuri Calderón, non poteva più essere fermato o tanto meno ritardato in attesa di nuove elezioni.
Questo perché i gruppi paramilitari (Milicias) finanziati, organizzati e diretti dal cosiddetto Comité Civico de Santa Cruz, erano entrati in azione prima del referendum e cioè il 19 ottobre, creando, con azioni di autentico terrorismo, una situazione di crescente instabilità. Azioni terroristiche che poi si son moltiplicate nelle principali città della Bolivia, subito dopo l’annuncio della vittoria elettorale di Evo Morales.
Quindi, a partire da questa connotazione di fatti è possibile ricostruire la metodologia e analizzare come questo colpo di stato è stato costruito e come e perché l’amministrazione degli Stati Uniti ha dato il suo avallo al progetto cospirativo, senza ripetere gli errori del passato, quando il suo ambasciatore, Philip Goldberg, fu espulso il 12 settembre 2008, accusato di appoggiare il movimento separatista della Mezza Luna di Santa Cruz, di cui, il lìder era proprio Luis Fernando Camacho!
Dalla nazionalizzazione del gas all’industrializzazione dei minerali
La decisione politica e costituzionale che aveva permesso al primo governo di Evo Morales d’imporre una nuova definizione politica per la gestione dell’economia e delle ricchezze minerarie nazionali, fu la nazionalizzazione del gas con il “Decreto Supremo” e la conseguente centralizzazione produttiva nell’impresa statale YPFP (Compañía Yacimientos Petrolíferos Fiscales Bolivianos).
In questo modo le imprese boliviane che rappresentavano o erano intermediarie delle multinazionali persero l’opportunità di continuare a spadroneggiare sulla vendita del gas in Bolivia ed alle imprese argentine e brasiliane.
Il gruppo che ha maggiormente sofferto con questa nazionalizzazione fu la SERGAS, che, in pratica, monopolizzava la vendita del gas a Santa Cruz e che popolarmente era conosciuta come “Compañia Camacho”, di proprietà del padre de Luis Fernando Camacho. Quindi non è stato per caso che Luis Fernando Camacho dal 2005 integrò oscuri piani sovversivi.
Dopo, dal 2006 fino al 2009, Camacho “patrocinò”, insieme ai membri della setta “Los Caballeros del Oriente”, la formazione delle “Milicias” (gruppi paramilitari), principalmente nella provincia di Santa Cruz, con l’obbiettivo di scatenare un movimento di guerriglia separatista.
Però con la creazione di UNASUR il progetto eversivo di Camacho rientrò, anche se la polizia boliviana non è mai riuscita a smontarne l’organizzazione e la struttura logistica. Infatti, secondo alcune fonti boliviane, Luis Fernando Camacho ha riattivato con molta facilità l’organizzazione sovversiva delle “Milicias” fin dal 2016, quando Evo Morales dichiarò che si sarebbe ricandidato nelle elezioni di ottobre del 2019.
L’altra decisione politica determinante del terzo governo di Evo Morales fu la legge che sviluppava la Estrategia Nacional de Industrialización (Strategia Nazionale di Industralizzazione) che, nel 2016, prevedeva la realizzazione di grandi progetti industriali relazionati con la trasformazione industriale dei prodotti minerali, in particolare il litio e il cloruro di potassio e l’estrazione dei nuovi minerali strategici, vale a dire il cobalto, il torio, l’uranio e il gallio.
È opportuno ricordare che quasi tutti questi minerali sono associati all’oro, di modo che la Bolivia, oltre ad essere diventata il principale produttore mondiale di litio, con una riserva di 9 milioni di tonnellate metriche, secondo il Servizio Geologico degli Stati Uniti (USGS), diventerà un potenziale produttore dei 35 minerali che l’USGS considera cruciali per l’economia statunitense!
Infatti, Caspar Raweles, analista delle Benchmark Mineral Intelligence, nel passato mese di febbraio dichiarava: “…nel caso del cobalto il prezzo è salito dai 20 dollari ai 40 per poi stabilizzarsi a 32 dollari, confermando le previsioni degli analisti del settore, secondo i quali nel 2022 ci sarà scarsezza di cobalto se non saranno aperti nuovi punti di produzione. Per questo ogni compagnia legata al sistema economico globale sta cercando di ridurre i rischi geopolitici per i suoi progetti di esplorazione”.
Il più classico dei “rischi geopolitici” è la presenza di un governo “non collaborativo” con le multinazionali del settore, ovviamente.
Per confermare le previsioni fatte dal CRU di Londra e dall’USGS, il presidente della statale mineraria boliviana COMIBOL (Corporación Minera de Bolivia), Marcelino Quispe, nel mese di marzo del 2018 dichiarava all’agenzia ABI che “…I primi sondaggi minerari nelle regioni di Oruro, La Paz, Potosì e Santa Cruz, hanno rivelato nuovi grandi giacimenti di argento, oro, galio, cobalto, rame, zinco, torio e soprattutto uranio. Quest’ultimo, localizzato nel nordest della provincia di Santa Cruz, dovrà essere estratto nei primi mesi del 2019…”
Per questo il governo di Evo Morales stava preparando la bozza di possibili accordi di cooperazione con Argentina, Russia, Francia e Iran, per arricchire in questi paesi l’uranio estratto in Santa Cruz. Poi nel 2025 con il “Programa Civil de Energia Nuclear” il governo prevedeva investire 2 miliardi di dollari per la costruzione di due centrali nucleari nelle province del nordest.
Così facendo la Bolivia, senza la presenza delle multinazionali statunitensi, si sarebbe trasformata nell’Eldorado minerario dell’America Latina, con un governo che, certamente, avrebbe reinvestito nel sociale gli immensi guadagni ottenuti con la vendita e l’industrializzazione dei minerali strategici.
Da ricordare che nei grandi progetti delineati dal presidente Morales figurava l’installazione di una fabbrica di batterie al litio per le auto elettriche di tutto il mondo, ma anche una fabbrica di auto elettriche per coprire il mercato latino-americano.
Nei mesi che hanno preceduto le elezioni di ottobre, i grandi media non hanno mai rivelato che Luis Fernando Camacho – questa volta senza Bibbia – avrebbe avuto incontri “riservati” con rappresentanti di varie multinazionali minerarie statunitensi, vale a dire ALCOA, ASARCO, Newmont Mining Corporation, Southern Copper e Anaconda Copper.
Per poi, nella prima settimana di maggio di quest’anno, sbarcare senza molta pubblicità nella capitale brasiliana, per incontrarsi con il ministro degli Esteri, Ernesto Araujo. Sempre secondo alcune fonti “riservate” Camacho, avrebbe anticipato la sconfitta di Morales richiedendo a Ernesto Araujo la promessa di un immediato riconoscimento del nuovo governo. In cambio, Camacho offriva la ridefinizione del nuovo contratto di vendita del gas (32,35 milioni di metri cubici diari).
Non è una casualità, ma il presidente brasiliano, Jair Bolsonaro, è stato il primo a riconoscere l’autonominazione a presidente interino di Jeanine Añez ed a dire che avrebbe inviato La Paz “…una persona per seguire l’andamento della situazione boliviana…”.
La stessa fonte brasiliana ricorda che Camacho avrebbe garantito al ministro Ernesto Araujo la realizzazione di un programma di privatizzazione come quello brasiliano, primo fra tutti la privatizzazione della YPFB, la statale del gas.
La necessità della rielezione di Evo e il golpe
Alcuni settori della sinistra hanno criticato la decisione del presidente Evo Morales di ricorrere al Tribunale Costituzionale per ottenere quello che non aveva raggiunto con il referendum, vale a dire l’opportunità di poter concorrere alle elezioni presidenziali per la quarta volta. Per altri Evo avrebbe peccato di testardaggine, oltre ad essere stato sedotto dal potere….
Giudizi veicolati dai grandi media boliviani, statunitensi ed europei che all’unisono nel 2016, in occasione del referendum, personalizzarono la campagna mediatica contro Evo Morales, creando Fake News assurde, che furono accolte e recepite soprattutto dalla classe media, in particolare quella di La Paz.
La stessa che, nel mese di ottobre ha appoggiato il colpo di stato pensato e promosso a Santa Cruz de la Sierra dal locale Comité. Infatti, il referendum del 2016 fu volgarmente manipolato con il caso “Gabriela Zapata”.
Costei, presentata dai media come “l’amante” di Evo, guadagnò migliaia di dollari realizzando interviste in cui descriveva Evo Morales come il più sordido, il più corrotto, il più squallido individuo della Bolivia. Per poi “dulcis in fundo” accusarlo anche della morte di un figlio mai esistito. 
Purtroppo, soltanto il 23 maggio 2017, la magistratura scopri la verità, condannando Gabriela Zapata a dieci anni di prigione per falsità ideologica, uso di documenti falsificati, associazione a delinquere e uso indebito di beni pubblici. Purtroppo, nel 2017, i boliviani avevano già votato contro Evo!
Quindi, per Evo e per i dirigenti del MAS (Movimiento al Socialismo), era evidente che il referendum era stato manipolato dai media con il caso di Gabriela Zapata, di modo che la richiesta al Tribunale Costituzionale sembrava ampiamente giustificata.
Nello stesso tempo i servizi di informazione boliviani avevano rivelato al presidente che in caso di vittoria del leader dell’opposizione, Carlos Mesa, tutti i progetti strategici creati dal governo sarebbe stati dissolti e le imprese statali privatizzate. Prime fra tutte la statale del gas, la YPFB e quella mineraria COMIBOL, responsabile dell’industrializzazione del litio e dell’uranio.
è imperativo ricordare che Carlos Mesa divenne presidente della Bolivia nell’ottobre del 2003 a causa delle dimissioni e della fuga negli USA del presidente Gonzalo Sánchez de Lozada. Infatti, per evitare di essere processato per la drammatica repressione dei manifestanti che protestavano contro gli aumenti dei prezzi del gas dopo le privatizzazioni (80 morti e 523 feriti), Lozada fuggi grazie all’aiuto dell’ambasciata statunitense.
Inoltre, che fu proprio Carlos Mesa, nella qualità di vicepresidente, ad aver negoziato le privatizzazioni con le multinazionali, autorizzando, in seguito, l’aumento delle tariffe del gas per uso civile. 
Comunque, la grande problematica che ha notevolmente pesato sulla decisione di Evo Morales di concorrere a tutti i costi per la quarta volta riguarda il cambio politico che un’eventuale vittoria di Carlos Mesa avrebbe imposto al popolo boliviano con il ritorno delle privatizzazioni, distruggendo tutto quello che era stato costruito durante i tre governi. In pratica quello che Moreno sta facendo in Ecuador e quello che Bolsonaro ha già fatto in Brasile.
Un’altra constatazione che ha influenzato notevolmente la decisione di Evo è che il suo vicepresidente, Alvaro Garcia, pur essendo un antico leader della sinistra boliviana, non è indigeno. Un elemento che nella società andina ha una grande importanza.
Infatti, secondo la Divisione federale di Ricerca della Biblioteca del Congresso (USA), la Bolivia è un paese dove il 58% della popolazione è etnicamente indigeno (28% sono Quechuas, 19% Aymaras e 11% di altri gruppi etnici indigeni), poi il 30% è formato dai “Mestizos” (figli di europei con indigeni) e solo il 12% è di origine europea.”
Purtroppo, gli altri dirigenti e parlamentari del MAS, tra cui Victor Borda, ex presidente della Camera dei deputati, non avevano una dimensione nazionale capace di sostituire l’immagine di Evo Morales. In secondo luogo, non avevano la stessa capacità di dialogo con le masse e la disposizione di affrontare la destra e i media nelle elezioni di ottobre.
Nel campo dell’opposizione, la certezza che Evo Morales si sarebbe presentato alle elezioni di ottobre, nonostante il risultato negativo del referendum del 2016, ha permesso a Luis Fernando Camacho di trasformare il suo Comité de Santa Cruz nella centrale operativa del colpo di stato e quindi dell’azione terrorista e sovversiva delle Milicias. Gruppi paramilitari ormai pronti ad agire in quasi tutto il territorio della Bolivia, grazie, soprattutto alla copertura della polizia e al “silenzio” dell’esercito.
Infatti, subito dopo le forzate dimissioni di Evo Morales, per evitare che Victor Borda assumesse l’incarico di presidente ad interim, in quanto Presidente della Camera dei deputati, le “Milicias” di Camacho hanno attaccato la residenza di Victor Borda e poi sequestrato il fratello, minacciandolo di morte.
Di fronte a questo ricatto Victor Borda ha dato le dimissioni in cambio della vita del fratello! 
La Bolivia di Evo, le relazioni con gli Usa e la presenza della Cina
Dopo l’espulsione dell’ambasciatore statunitense Philip Goldberg, il 12 settembre 2008, le relazioni diplomatiche e politiche tra Bolivia e Stati Uniti hanno vissuto momenti difficili. Basti pensare che nello stesso anno fu espulsa tutta la delegazione della DEA, accusata di “cospirazione”. Poi, nel 2013, fu l’USAID ad essere espulsa dal governo boliviano.
Solo negli ultimi anni le relazioni diplomatiche tra i due paesi si erano stabilizzate, soprattutto con l’arrivo di Bruce Williamson in qualità di Incaricato d’Affari. Invece, negli Stati Uniti, il Dipartimento di Stato e la CIA decidevano di ampliare gli effetti della “guerra ibrida” contro il governo bolivariano di Nicolas Maduro, anche contro il governo di Evo Morales.
Per questo motivo varie entità governative, ONG e fondazioni statunitensi hanno moltiplicato le relazioni con le forze dell’opposizione boliviana, cercando, in questo modo di ripetere il processo d’infiltrazione già perfettamente realizzato in Brasile, in Venezuela e in Ecuador.
Basti pensare che nel gennaio di quest’anno la deputata repubblicana Ileana Ros-Lehtinen, dichiarava nel Congresso che “il presidente Morales non poteva perpetuarsi nel potere, per questo il popolo della Bolivia necessitava dell’aiuto degli Stati Uniti…”
In seguito, l’ambasciatrice degli Stati Uniti all’ONU, Nikki Haley, nel mese di agosto, durante la sua “missione diplomatica” in Colombia dichiarava “…La Bolivia, dopo il Venezuela, è il paese che dobbiamo seguire con attenzione…”.
Un’infiltrazione che è coordinata da agenzie e subagenzie del Dipartimento di Stato. Infatti, la NED (Fondazione Nazionale per lo Sviluppo) realizza i suoi programmi appoggiandosi a 30 ONG boliviane e due istituti privati statunitensi, l’Istituto Repubblicano Internazionale e il Centro per l’Impresa Privata Internazionale, con i quali porta avanti il progetto “Governo e Società Civile”. Un progetto che forma i nuovi quadri dirigenti per i partiti di opposizione, secondo le norme del liberalismo statunitense.
È necessario ricordare che il governo di Evo Morales, non è mai riuscito a tagliare il cordone ombelicale che lega la polizia boliviana alla CIA/DEA e gli ufficiali superiori delle Forze Armate al Pentagono.
Questo perché l’esercito della Bolivia, insieme a quello della Venezuela, a partire dal 1962, furono completamente ristrutturati in base alle norme dell’accademia militare statunitense. Basti pensare che in America Latina il primo battaglione di “Rangers”, specializzato nella contro-guerriglia, fu creato dal Pentagono in Bolivia, appositamente per circondare ed eliminare il foco guerrigliero montato da Che Guevara con il nascente ELN.
In realtà, il governo socialista-progressista di Evo Morales, come pure quelli di Rafael Correa e di Lula, non sono mai riusciti ad avere il pieno riconoscimento da parte degli ufficiali superiori. Una situazione che ha sempre permesso l’infiltrazione da parte delle antenne delle CIA, della DEA e del Dipartimento di Stato.
Evo, Correa e Lula hanno sempre creduto che facendo pesare sui militari l’istituzione del governo, la carta costituzionale e le vittorie elettorali, in un certo senso, avrebbero ottenuto relazioni di rispetto, che però non sono state mai di fedeltà da parte dei militari e della polizia.
Infatti, se l’esercito, i servizi d’Intelligence e la polizia federale brasiliana fossero stati realmente compromessi con la governabilità e i concetti costituzionali, non avrebbero permesso l’organizzazione dell’Impeachment nei confronti del presidente Dilma Rousseff.
Lo stesso si può dire per l’Ecuador, dove i servizi segreti e i servizi di l’intelligence dell’esercito hanno praticamente sostenuto il tradimento del neopresidente Moreno, cospirando per provocare l’arresto del vicepresidente Jorge Glas.
In Bolivia, bisogna riconoscere che Evo Morales non ha mai represso gli avversari politici usando la forza di chi è stato eletto con il 67%. Basti pensare che quando fu scoperto e sgominato il progetto secessionista della Mezza Luna, nella provincia di Santa Cruz de la Sierra, il governo e lo stesso Evo Morales lasciarono alla magistratura il compito d’investigare e di processare i pochi responsabili degli atti di terrorismo presentati dalla polizia.
In pratica il governo boliviano si accontentò della vittoria politica, convinto che le poche condanne dei tribunali e la convivenza democratica nel Parlamento avrebbero educato l’opposizione.
Un altro problema che collega direttamente il colpo di stato in Bolivia con il governo degli Stati Uniti è la nuova e profonda relazione politica, economica e finanziaria che il governo di Evo Morales stava sviluppando con la Cina.
Infatti, per l’ex ministro degli esteri brasiliano Celso Amorim “… In termini geo-strategici la Bolivia è il centro dell’America Latina, che in questi anni è cresciuta moltissimo, scoprendo un potenziale di ricchezze minerarie non indifferente. Per questo, quando gli Stati uniti si sono resi conti che il governo di Evo Morales si stava aprendo ad altre forze mondiali, in particolare la Cina, hanno deciso di agire. Non ci sono dubbi. L’influenza degli Stati Uniti in Bolivia è permanente e le forze dell’opposizione sono tendenzialmente portate alla cospirazione sovversiva. E dico questo perché nel 2008 io stavo lì e conosco il contesto di Santa Cruz che nel 2008 stava gettando la Bolivia nel vortice della guerra civile…- “
Seguendo le constatazioni di Celso Amorim è imperativo ricordare che negli ultimi anni la Bolivia è diventato uno dei principali esportatori mondiali di antimonio, stagno, tungsteno e boro di cui le industrie degli Stati Uniti hanno assoluto bisogno. Inoltre, dal 2016 la Corporación Minera de Bolivia (Comibol), a iniziato a sostituire le fonderie statunitensi con quelle spagnole e soprattutto le cinesi, per processare e commercializzare in lingotti i minerali estratti negli altipiani boliviani.
Una dipendenza cui, comunque, Evo Morales pensava di metter fine grazie alla “cooperazione finanziaria” cinese (pari a sette miliardi di dollari), con la costruzione in Bolivia d’impianti siderurgici per la raffinazione dello zinco, da cui si estrae l’indio, che è un altro materiale strategico di cui le industrie statunitensi hanno un assoluto bisogno.
Sempre con l’apporto e la cooperazione di imprese cinesi, russe, francesi, canadesi e tedesche, il governo di Evo Morales aveva progettato il potenziamento e l’estrazione di tutti i minerali strategici presenti nel sottosuolo boliviano, tali come il litio, il cobalto, il palladio, l’antimonio, il bismuto, il cadmio, il cromo e il volframio, oltre ad aumentare i volumi produttivi dei minerali tradizionali, vale a dire: oro, stagno, manganese, zinco, argento, platino, potassio, nickel, ferro, rame e soprattutto uranio.
Un contesto che non sfuggiva agli analisti compenetrati negli sviluppi economici della Bolivia. Infatti, Axel Arías Jordan, il 20 settembre 2018, anticipando l’interesse degli Stati Uniti per un cambio in Bolivia così scriveva:” Lo scontro elettorale che si realizzerà in ottobre del 2019, si preannuncia come uno delle grandi sfide per un eventuale cambio politico in Bolivia. Motivo per cui bisogna stare molto attenti a come il governo e il settore privato degli Stati Uniti prendono in mano questo processo e se decideranno di attuare in funzione di determinati interessi politici ed economici relazionati con la Bolivia. Infatti, oltre ai tradizionali interessi per il controllo di un paese divenuto mondialmente famoso per la sua potenzialità mineraria, gli Stati Uniti hanno altri interessi fondamentali legati alla difesa e ai vincoli commerciali esistenti tra la Bolivia e la Cina. In definitiva, pur continuando a mantenere il mirino sul Venezuela, è molto probabile che il governo degli Stati Uniti indurirà le differenti forme di pressione sul governo boliviano…”
Purtroppo, l’indurimento dell’imperialismo c’è stato con un colpo di stato, pensato nel gennaio di quest’anno per poi essere pianificato a partire da maggio. Un colpo di stato che vuole essere mascherato con una Bibbia, per non dire che è l’ennesima soluzione imperialista per arricchirsi espropriando le immense ricchezze minerarie boliviane.