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Riyadh-Doha, due anni dopo sempre nemiche

Michele Giorgio 10 giugno 2019
I recenti segnali di disgelo non indicano la fine dell’offensiva contro il piccolo ma ricco regno dell’emiro Tamim accusato dai Saud di sostenere i Fratelli Musulmani e di non aver troncato le relazioni con Tehran.

Al Jazeera trasmette senza alcun problema. E a Doha, a pochi chilometri dalla sede della nota emittente tv, la bandiera iraniana sventola sempre sulla sua ambasciata.
Basterebbe solo questo per dimostrare come il Qatar sia riuscito a saltare un buon numero di ostacoli due anni dopo quel 5 giugno 2017 in cui l’Arabia Saudita e i suoi alleati Emirati, Bahrain ed Egitto decisero di isolarlo e sanzionarlo con l’accusa di «favoreggiamento del terrorismo», ossia di sostenere (assieme alla Turchia) i Fratelli musulmani (nemici di Riyadh e il Cairo), e di fare l’occhiolino all’Iran.
La chiusura di al Jazeera e dell’ambasciata iraniana a Doha rientrava nella lista di 13 diktat presentati dai quattro alleati ai regnanti qatarioti. Condizioni capestro che il Qatar ha ignorato. Anzi, grazie alle enormi ricchezze generate dai giacimenti di gas, il giovane emiro Tamim bin Hamad al Thani alla guida del Qatar Investment Authority, il fondo sovrano del Qatar, ha investito miliardi dollari in ogni angolo del mondo per rafforzare, anche attraverso lo sport, l’immagine internazionale del suo paese, piccolo ma con una politica estera da gigante. Al Thani qualche mese fa si è anche tolto la soddisfazione di vedere la nazionale di calcio vincere la Coppa d’Asia a casa degli Emirati e si prepara ad ospitare i prossimi Mondiali che saranno una vetrina eccezionale per il suo regno.
Il Qatar, contro ogni pronostico, ha vinto le prime battaglie di quella che appare come una lunga guerra di trincea? «Non parlerei di vincitori – dice al manifesto l’analista Mouin Rabbani – Per l’Arabia saudita la vittoria è rappresentata dalla resa di Doha e dalla sua accettazione delle 13 condizioni. Non è accaduto e questo senza dubbio è un successo per il Qatar. Ma l’emiro Tamim potrà dire di aver vinto solo quando saranno revocate le sanzioni e l’isolamento imposto da Riyadh. Sul lungo periodo le sanzioni renderanno più difficile la vita al suo regno».
Due anni dopo, il boicottaggio continua. Il recente aumento delle tensioni tra Stati Uniti e Iran e i conseguenti appelli a una maggiore unità del Consiglio di cooperazione del Golfo (Ccg, le sei petromonarchie sunnite) non hanno portato i risultati che il Qatar sperava. Doha è stata invitata a partecipare ai vertici arabi e islamici tenuti in Arabia saudita nei giorni scorsi – il premier Abdullah bin Nasser Al Thani è stato al summit alla Mecca – e sarà presente alla conferenza economica organizzata dagli Usa (per tentare di liquidare la causa palestinese) che ti terrà il 25 e 26 giugno in Bahrain. Ma oltre a ciò non è cambiato nulla.I cittadini del Qatar non possono viaggiare in altre parti del Golfo per lavoro o per visitare i parenti e i voli della compagnia aerea qatariota devono seguire rotte molto più lunghe per aggirare gli spazi aerei dei suoi avversari.
«Non è semplice azzardare previsioni in una regione complessa come il Medio oriente ma non credo che lo scontro in atto tra le monarchie sunnite sia destinato a terminare presto, l’unità del Ccg è lontana – dice Mouin Rabbani – Gli Stati uniti, alleati di Qatar e Arabia saudita spingono (su Riyadh, ndr) affinché si metta fine alle misure punitive e sia data priorità al conflitto con l’Iran. Ciò nonostante le sanzioni contro Doha non saranno revocate tanto presto dai quattro paesi alleati».
La pensano allo stesso modo altri analisti che sottolineano come l’emiro Tamim stia provando a contrastare nella regione l’influenza strategica dell’Arabia saudita, in crescita. Forte dell’appoggio diretto di Trump e del sostegno dietro le quinte di Israele, il potente erede al trono saudita Mohammed bin Salman ha esteso il suo raggio di azione in Libia dove ora appoggia apertamente il generale Khalifa Haftar che prova a prendere il controllo di tutto il paese a danno del premier el Sarraji appoggiato e finanziato da Qatar e Turchia. E la mano saudita si è sentita anche nelle ultime vicende sudanesi e nella caduta di Omar al Bashir.
Doha in risposta ha forgiato legami ancora più forti con la Turchia e non chiude la porta all’Iran. A inizio anno è uscita dell’Opec controllata dai sauditi e ha aumentato la produzione di gas naturale. Allo stesso tempo ha stretto i legami con Washington e l’Europa acquistando 36 F-15 americani, 12 aerei da combattimento francesi Rafale e 24 velivoli Eurofighter Typhoon. Il Pentagono ha reagito positivamente inviando alla base aerea di Al-Udeid i suoi bombardieri B-52 e confermando in Qatar, tra i malumori di Riyadh e Abu Dhabi, il suo comando centrale per la regione mediorientale.