Onu e Iraq al lavoro per identificare le vittime dell’Isis
7 giugno 2019, Nena News |
Le squadre forensi di Baghdad e delle Nazioni Unite hanno iniziato il processo per identificare i cadaveri nelle fosse comuni di Sinjar, primo passo per restituire dignità alle vittime del genocidio yazidi e per raccogliere le prove contro i miliziani dello Stato Islamico: “E’ la nostra Norimberga”.
“Questa è la nostra Norimberga”. Questo ha detto l’avvocata Amal Clooney martedì al Consiglio di Sicurezza dell’Onu presentando il lavoro in corso per portare a giudizio i miliziani dell’Isis responsabili del genocidio della comunità yazidi a Sinjar in Iraq.
Da mesi si discute della gestione dei miliziani prigionieri delle autorità irachene e delle Sdf, le Forze Democratiche Siriane, nel nord della Siria con i paesi europei che mostrano una pericolosa apatia nell’accettare il ritorno dei propri foreign fighters. Di lavoro da fare ce n’è moltissimo anche in Iraq. Se a Mosul sono squadre di volontari che da due anni, dalla liberazione della città dal giogo islamista, scavano tra le macerie per recuperare migliaia di cadaveri, a Sinjar è l’ufficio forense di Baghdad insieme all’Onu ad aver avviato il processo di identificazione dei corpi trovati nelle fosse comuni.
A novembre le Nazioni Unite, in un rapporto, riportavano del ritrovamento di oltre 200 fosse comuni con un numero di cadaveri stimato in oltre 12mila. A Ninive, Salahddin, Anbar e Kirkuk. All’epoca il rappresentante Onu in Iraq, Jan Kubis, aveva spiegato l’obiettivo: “Determinare le circostanze relative a queste uccisioni sarebbe un importante passo per il processo di elaborazione del lutto da parte delle famiglie, per la verità e giustizia”, perché le fosse potrebbero “contenere materiale forense fondamentale per fornirci forse i dettagli di queste violazioni [compiute dall’Is] così come per identificare le vittime” e “per condurre indagini credibili, tenere processi e comminare pene in accordo con gli standard giuridici internazionali”.
Al momento l’identificazione è iniziata per i resti di 141 persone a Sinjar: “I resti saranno prima esaminati e il Dna sarà utilizzato per compararlo con quello dei familiari”, ha spiegato Zaid al-Yousef, capo dell’ufficio forense di Baghdad. Non mancano i problemi: tanto vasto è stato il massacro, spiega al-Yousef, che per ogni sopravvissuto si contano 4-5 morti, rendendo difficile identificare il Dna con rapidità. Lo stesso processo era stato avviato dall’Onu un anno fa, nella stessa area. Un mese il team delle Nazioni Unite aveva fatto sapere di aver riesumato i cadaveri da 12 delle 16 fosse comuni di Kojo.
L’identificazione delle vittime è un passo in avanti importante. Sia nell’individuazione delle prove contro i miliziani dell’Isis, sia nella definizione – ormai accertata – di quel massacro come genocidio. Sinjar fu attaccata dallo Stato Islamico appena un mese dopo la dichiarazione della nascita del “califfato” da parte di Abu Bakr al-Baghdadi a Mosul. Era agosto 2014, gli islamisti attaccarono i villaggi dopo la fuga dei peshmerga curdi: uccisero migliaia di uomini e rapirono migliaia di donne e bambini per farne i loro schiavi negli anni successivi. Chi riuscì a fuggire raggiunge il monte Sinjar, in pieno agosto: il caldo torrido e l’assenza di acqua e cibo uccisero altri centinaia di persone, fino all’arrivo dei combattenti curdi di Pkk e Ypg che riuscirono ad aprire un corridoio e a liberare decine di migliaia di yazidi.
Lo scorso 7 aprile il presidente iracheno Barham Salih ha inviato al parlamento un disegno di legge per riconoscere ufficialmente il genocidio degli yazidi e prevedere per le donne vittime dell’Isis, schiavizzate per anni, un assegno mensile e una terapia di riabilitazione.