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Illiberali e fascisti indossano abiti nuovi, ma restano degli estremisti

Andrea Mammone 13/05/2019
Bisognerebbe sempre considerare le caratteristiche principali dell’epoca storica in cui si vive.

Per questo motivo era effettivamente preoccupante la decisione di concedere alcuni spazi nel Salone del Libro di Torino ad Altroforte, la nuova casa editrice vicina al movimento neofascista Casapound. Sembra che (quasi) tutto sia accettabile oggi: la storia non esiste, cancellata come in un palinsesto televisivo che non conosce il significato del termine “ieri”.

Eppure, sorprendentemente, questa volta non abbiamo assistito all’accettazione passiva di una scelta alquanto dubbia. Wu Ming, Zerocalcare, lo storico Carlo Ginzburg e gli altri, decidono di boicottare la manifestazione letteraria innescando una reazione a catena. Sono seguiti da chi ha davvero a cuore la memoria della Shoah o ha subito sulla propria pelle l’antisemitismo fascista. Non intendo qui fomentare polemiche sulla necessità o meno di creare un presidio antifascista al Salone o se era meglio boicottare. “Se le questioni tattiche monopolizzano la discussione, si finisce per perdere di vista gli obiettivi strategici”, scrive il collettivo Wu Ming, “disquisire se sia più «culturalmente efficace» andare o non andare a Torino ha rischiato di far uscire dal mirino i veri bersagli, cioè la presenza di Altaforte al Salone e le responsabilità del comitato d’indirizzo”.
Non è nemmeno una questione di libertà di parola se considerata nella sua accezione più astratta e teorica. Il punto chiave è se sia ammissibile accettare il confronto con idee illiberali, se il fascismo è solo un ricordo del secolo scorso e se esistono rischi per la tenuta della democrazia. Il primo errore è stato quello di affidarsi esclusivamente ai magistrati per accertare la matrice estremista/fascista e/o “illegale” di una casa editrice o di un gruppo politico:“se non si è stati condannati per reati legati all’odio razziale o all’apologia del fascismo, si può acquistare uno spazio”, affermava inizialmente il comitato d’indirizzo del Salone. Forse una breve consultazione preventiva con chi da anni si occupa di questi fenomeni politici e culturali sarebbe stata utile. All’estero i liberal e i progressisti cercano di “decolonizzare” i curriculum scolastici, si valutano le radici razziste o schiaviste di alcune politiche o di prestigiose sedi universitarie e si chiede la rimozione dai posti pubblici di chi ha affiliazioni con la destra xenofoba. In Italia da più parti si grida alla censura. La nostra penisola forse gioca a credere di essere immune da certe cose: come se fossimo sempre stati solo liberali, moderati o centristi e, in fin dei conti, brave persone.Esistono, invece, questioni di sensibilità politica e culturale e di opportunità storica da valutare.
L’editore di Altaforte non nega affinità ideologiche col fascismo, qualche simpatia mussoliniana e suggerisce che l’antifascismo è il “vero male” dell’Italia. È possibile far finta che sia pienamente democratico? La casa editrice si propone di ampliare “una offerta culturale che per troppo tempo … è stata in Italia rappresentata con uno strabismo ideale monodirezionale”. Varrebbe la pena ricordare che lo strabismo in questione è quello che ha costruito la democrazia e gli strabici sono quelli che garantiscono la libertà imprenditoriale di un editore estremista. Mettendo da parte la loro nostalgia per le cose buone che avrebbe fatto un dittatore, perché combattere la presenza di Altaforte? La risposta sarebbe semplice: il razzismo e l’antisemitismo esistono anche oggi in tutto l’Occidente e non si può percepirli solo se si è di origine ebrea o di colore.
In Italia l’approccio xenofobo camuffato da patriottismo o nazionalismo è fomentato dall’estrema destra. I processi di estremizzazione di alcuni movimenti, inclusa la Lega, li portano a usare porti temi anti-UE, anti-Islam e anti-immigrazione. Politici della comunità missina (anche quella che fa capo a Fratelli d’Italia) sono “ritornati” a destra, finanche da un punto di vista simbolico. Il vocabolario in uso è (neo)fascista: nazione, patria, popolo, tradizione e famiglia.
L’idea quindi che la destra odierna sia completamente diversa dal fascismo, e magari solo “sovranista”, è sbagliata. Il sovranismo è un concetto vuoto. I richiami a tematiche (“tradizionali”) come la difesa dello stato-nazione e la purezza etnica non sono lontani dall’universo fascista. Molti di questi gruppi politici sono comparabili a uno Giano bifronte: uno sguardo è sempre rivolto al passato.
Il fascismo non è pertanto finito nel 1945, mentre il neofascismo è riuscito (lentamente) ad adattarsi offrendo (recentemente) protezione individuale e difesa di comunità chiuse. È errato pensare che l’accettazione del momento elettorale o della politica parlamentare conferisca una patente di continua democraticità. Chi si sognerebbe oggi di arrivare al potereattraverso colpi di stato o marce in camicia nera?L’adattamento alle nuove specificità geopolitiche è stato una questione di sopravvivenza. Lo stesso fascismo non era un’entità monolitica. Non è neanche solo “italiano”: era, come dimostrato da nuovi studi, un fenomeno transnazionale, forse globale, era un insieme di strategie, pratiche e idee che sono, in parte, sopravvissute e, in alcuni casi, si sono evolute. Quello che cambia oggi, rispetto agli anni cinquanta o sessanta, è il favorevole contesto storico. Il risultato, dall’Ungheria agli Stati Uniti, è il tentativo di implementare soluzioni demagogiche e spesso illiberali sfruttando la percezione di abbandono del cittadino e le paure collettive e modificando l’assetto democratico attraverso pratiche o azioni (semi)autoritarie e xenofobe.
Assistiamo, inoltre, ormai a un’escalation settimanale di violenza (a volte solo psicologica), di blitz al grido di “camerata presente!”, di minacce al giornalista Paolo Berizzi, di insulti, di odio razziale che non risparmia neanche i bambini, di antisemitismo, di presidi non autorizzati davanti a case legittimamente assegnate, di rincorsa a sfruttare pericolosamente i disagi di qualche periferia, di accaparramento artificioso dei valori cristiani, di striscioni rimossi contro un ministro e di quelli contro il Papa lasciati sfilare (e dove Bergoglio diventa “Badoglio”, ovvero un traditore per la sua politica cristiana a favore dei migranti), di attacco all’istruzione e alla libertà di ricerca, di derisione e delegittimazione dell’opposizione (“casta”, “zecche”, “moscerini”) e di poliziausata per sequestrare filmati. Cosa c’è di “liberale” in tutto questo? “C’è poi una copertura, oramai chiara, dei gruppi di estrema destra”, afferma il politologo Gianluca Passarelli, il coautore di un libro messo al bando dai leghisti emiliano-romagnoli.
A questo stato culturale e politico contribuisce il problema di memoria pubblica nazionale che offusca qualche analisi – e non mi riferisco a quelli che strumentalizzano la diatriba fascismo-antifascismo o la declassano a un ormai superato “derby” tra comunisti e anticomunisti. La nostra memoria collettiva ha comprensione spesso bizzarra del fascismo, della dittatura e del razzismo coloniale e antisemita. Anche a livello istituzionale si è portato avanti un processo di revisionismo storico (spesso con finalità politiche: per l’accettazione dei neofascisti al governo) e di rimozione collettiva. Riflettiamo: che peso si è dato nel biennio 2018-19 al 25 Aprile, all’anniversario delle leggi razziali o a quello della creazione dei primi fasci? Il clima attuale permette la presenza in politica dei nipotini del Duce, cosa che risulterebbe oltraggiosa nell’altro grande ex regime fascista, la Germania, ma comprensibile nell’ottica di una nostra atavica convinzione: “cattivo tedesco vs bravo italiano”. È evidente come il concetto di Italiani brava gente (riferito al passato fascista) sia un mantra ben radicato. Il nazionalismo non è pertanto una pagina lontana raccontata nei libri di storia (quelli veri). In questo contesto, ha senso fare i conti con il ritorno di ideologie autoritarie, illiberali e fascisteggianti. Hanno abiti nuovi, ma restano comunque estremisti e hanno un’idea di democrazia, libertà e relazioni etniche diverse da quelle che abbiamo conosciuto fino a oggi.