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Gantz, il generale che bombardò Gaza sfida Netanyahu

Michele Giorgio 6 febbraio 2019
L’ex capo di stato maggiore appare in grado di intercettare consensi sufficienti per sfidare Netanyahu quando il 9 aprile gli israeliani andranno alle urne. Per i palestinesi sotto occupazione in ogni caso non cambierebbe nulla.

Forse è esagerato parlare di «colpo di stato» dei militari contro Benyamin Netanyahu, come faceva la scorsa settimana Carolina Landsmann su Haaretz. Ma ci sta. Sono anni che i capi delle forze armate e dei servizi d’intelligence israeliani, o almeno alcuni di essi, si mostrano insofferenti nei riguardi del primo ministro. E uno di questi, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, appena entrato in politica, appare in grado di intercettare consensi sufficienti per poter sfidare Netanyahu quando il 9 aprile gli israeliani andranno alle urne per eleggere la nuova Knesset. A maggior ragione se si tiene conto delle voci, sempre più insistenti, che vorrebbero il procuratore generale Avishai Mandelblit approvare prima del voto l’incriminazione di Netanyahu per corruzione richiesta dalla polizia.
Gantz, leader del neonato Hosen L’Yisrael (Resilienza di Israele), si è alleato con un altro ex capo di stato maggiore, Moshe Yaalon, e diversi sondaggi, dopo il primo vero discorso elettorale pronunciato la scorsa settimana, lo danno in forte ascesa, già alla pari con il premier nel gradimento degli elettori israeliani. Vola anche Hosen L’Yisrael, 6 – 9 seggi dietro al partito Likud, guidato da Netanyahu, accreditato di 30 seggi. Tutti ne sono convinti. Nei prossimi due mesi la campagna elettorale israeliana con ogni probabilità vedrà i fuochi d’artificio.
Gantz accusa Netanyahu di aver spaccato Israele. Afferma di voler creare maggiore unità tra tutti i cittadini, tra laici e religiosi, tra le varie componenti ebraiche della popolazione. E promette di “correggere” la legge su Israele-Stato del popolo ebraico, approvata lo scorso luglio e tanto voluta dal premier e dalla sua coalizione di destra, che ha sancito nero su bianco lo status di cittadini di serie B per i palestinesi e i drusi nello Stato ebraico. Ma i “buoni” propositi si fermano alla politica interna. Se parliamo di occupazione militare dei Territori palestinesi, di sicurezza e di diplomazia Gantz è decisamente spostato a destra. L’ex generale si presenta sorridente e conciliante, spesso appare con la camicia aperta sul collo come i vecchi leader sionisti per darsi una immagine di “pioniere” e “combattente” contrapposto al politico scaltro e navigato che incarna Netanyahu. «Per me – ripete – Israele viene prima di tutto. Unisciti a me e insieme percorreremo nuove strade. Perché abbiamo bisogno di qualcosa di diverso e insieme faremo qualcosa di differente». Strade nuove ma non nei confronti dei palestinesi.
L’ex generale, 60 anni, capo dell’esercito dal 2011 al 2015, ha guidato due offensive contro Gaza: “Colonna di nuvola” (2012) e “Margine Protettivo” (2014). E della seconda ha usato per la sua campagna elettorale – in modo illegale – immagini girate da palestinesi che mostrano distruzioni immense a Gaza con scritte che ricordano il numero dei “terroristi” uccisi e la “lezione” data ad Hamas (che in realtà hanno pagato i civili). Una famiglia palestinese intende portarlo in giudizio all’Aja per uno dei tanti massacri di civili avvenuti in quella guerra. Gantz non ha espresso la volontà di voltare pagina rispetto all’idea di “sicurezza” prevalente in Israele. Anzi, insiste sul pugno di ferro e afferma una linea intransigente: Valle del Giordano, Gerusalemme Est e vaste porzioni di Cisgiordania rimarranno sotto il controllo di Israele, così come il territorio siriano delle alture del Golan occupate nel 1967. Con lui al potere la posizione di Israele verso i palestinesi resterà la stessa, cambierebbe forse il tono ma non la sostanza.
Netanyahu è in allerta, ha capito che Gantz è il rivale più pericoloso nella contesa elettorale. Così prova a mettere in cattiva luce l’ex capo di stato maggiore dipingendolo come un “uomo della sinistra” che farà “concessioni” ai palestinesi, mentre il suo governo con la “fermezza” e una forte “iniziativa diplomatica” ha stabilito relazioni alla luce del sole o dietro le quinte con paesi arabi ed africani a maggioranza islamica e con il Brasile del presidente di estrema destra Bolsonaro, senza dimenticare il riconoscimento Usa di Gerusalemme come capitale di Israele. Manifesti elettorali giganteschi visibili lungo le arterie stradali di Israele mostrano Netanyahu sorridente assieme al presidente Usa Donald Trump.
Dalla sua parte il primo ministro ha ancora i numeri. Un sondaggio svolto dal quotidiano Haaretz nei giorni scorsi lo vede a capo di una maggioranza di 64 deputati sui 120 della Knesset, mettendo assieme i seggi del Likud e quelli delle formazioni vecchie o appena nate a destra. Gantz al contrario non ha una maggioranza, anche se mettesse insieme una coalizione con i resti del partito laburista (in caduta libera, da 24 a cinque-sei seggi), i partiti centristi Yesh Atid e Gesher, guidati rispettivamente da Yair Lapid e Orly Levy-Abekasis, e la sinistra sionista del Meretz. Al massimo, stanso alla situazione attuale, Hosen L’Yisrael e gli altri partiti di opposizione arriverebbero a 40 seggi. Gantz e i suoi potenziali alleati non avrebbero la maggioranza alla Knesset neppure coinvolgendo i partiti che rappresentano la minoranza palestinese (20% della popolazione), accreditati di 12-13 seggi. In ogni caso una regola non scritta della politica israeliana impone al premier di non includere nel governo formazioni non-sioniste, ossia i partiti arabi. Questi ultimi nel frattempo hanno messo fine all’unità raggiunta prima delle elezioni del 2015 e andranno al voto con almeno due liste diverse.
La Lista araba unita ha riconfermato alla sua guida Ayman Odeh ma ha perduto uno dei suoi tre pezzi, il partito Taal del deputato Ahmed Tibi che, confortato dai sondaggi, ha deciso di andare da solo al voto e di abbandonare le formazioni progressiste Hadash e Tajammo (Balad). Tibi accusa Odeh di non aver dato a Taal posizioni nella prossima lista elettorale che riflettono il consenso reale del partito. Da segnalare che della prossima Knesset non faranno più parte i deputati del Tajammo Hanin Zoabi e Jamal Zahalka che hanno preferito lasciare la scena ad altri candidati. Zahalka, che resta presidente del partito, nelle primarie tenute nello scorso fine settimana, ha affernato che Tajammo “non è un partito della sinistra israeliana ma è parte del movimento nazionale palestinese”.