General

Cinque anni per far sparire l’umanità

Rossella Muroni 21/01/2019
Erano le 6.40 del mattino quel 3 ottobre 2013.

Un’imbarcazione libica si inabissa a poche miglia dal porto di Lampedusa portando con sé 545 persone: sopravvivranno in 155 mentre saranno 366 i corpi recuperati. Inizia lo strazio del riconoscimento delle salme, le file infinite di bare e poi i racconti infernali dei sopravvissuti che avevano pagato 1600 dollari quell’unico biglietto per la vita, per attraversare il Mediterraneo.

Quella mattina la sindaca di Lampedusa, Giusy Nicolini, mi chiama. Chiede aiuto, lo chiede anche a Legambiente, la sua associazione, di cui all’epoca ero direttrice generale. L’Isola è invasa di morti, di sopravvissuti, di giornalisti arrivati da ogni parte del mondo, di politici che atterrano, promettono e ripartono.
Nessuno pensa alle esigenze concrete di una piccola amministrazione comunale travolta dall’evento e così come Legambiente mettiamo a disposizione 4 persone che circondano Giusy e si occupano di pratiche legali, comunicazione, mediazione culturale, organizzazione. Sull’Isola arrivano le Ong con i volontari che aiutano i familiari delle vittime, i sopravvissuti, gli abitanti di Lampedusa.
La sindaca Giusy Nicolini denuncia con il passare delle settimane la solitudine e l’abbandono da parte delle istituzioni sino a rivendicare la “proprietà” di quei morti a cui pochi avevano voglia di dare degna sepoltura e giustizia.
Sulle bacheche social di Legambiente, che in quelle settimane organizzava iniziative e raccolte fondi per Lampedusa, qualche flebile critica ed uno o due tessere stracciate (ringraziando il cielo) perché “gli ambientalisti non si devono occupare di migranti”. Certo online si leggevano insulti e bestialità ma ancora un certo pudore sopravviveva: i ratti stavano ancora nelle fogne, per parafrasare uno slogan antifascista, ancora ci si preoccupava di non esprimere ad alta voce l’indicibile crudeltà e il razzismo più becero.
Sono passati poco più di 5 anni eppure ne abbiamo fatta di strada verso l’inferno. Siamo a metà gennaio 2019, nei giorni scorsi 117 sono stati i morti individuati in mezzo al mare. Li ha avvistati un aereo della Ong Sea Watch. Chissà quanti altri si sono inabissati nelle tenebre della notte e delle nostre coscienze. Nel frattempo, proprio in queste ore, un’imbarcazione in avaria e con 100 persone a bordo chiede di essere salvata. Dall’Italia e dall’Europa nessun aiuto, nessuna parola di circostanza, nessun rimorso.
In “soccorso” dei 100 migranti arriva un cargo della Sierra Leone, che li porterà a Misurata, in Libia. Ma come denuncia in un tweet l’inviato speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo Centrale, Vincent Cochetel, commentando l’intervento: “Il ritorno delle persone da acque internazionali verso la Libia è contro il diritto internazionale. Oggi non c’è alcun porto sicuro in Libia”.
Un silenzio assordante quello dell’Europa che ci chiede contemporaneamente di credere in un progetto politico comune. L’Italia non può più essere lasciata sola, stiamo andando alla deriva nel silenzio e nell’ottusità delle istituzioni europee.
In Italia cresce intanto un odio becero e crudele che passa dalla bocca di un uomo importante, il ministro dell’Interno Matteo Salvini, che continua a proclamare essenzialmente due cose: i porti sono chiusi e la colpa è delle Ong che incoraggiano i migranti a provare ad attraversare il mare. Nulla su quanto avviene in Libia tra torture e stupri, nulla sugli armamenti e i soldi che l’Italia ha fornito ai torturatori. Sulla scia del “ministro dell’Inferno” migliaia di nostri connazionali si lasciano andare all’odio puro augurando morte e sofferenza ad altri esseri umani.
Chissà quanti domenica scorsa, prima e dopo essere andati a battersi il petto in Chiesa, avranno sacrificato la loro pietà sull’altare dei social, sputando in faccia al Dio dei cattolici e sul loro Vangelo. È ora di agire senza più calcolo politico. Basta non vedere la gravità delle cose fatte negli ultimi anni, basta guardare all’andamento dei sondaggi, basta ricercare il consenso.
Quando alcuni mesi fa con Possibile lanciammo la petizione per chiedere le dimissioni di Salvini fummo accusati di fare il suo gioco. Ora come allora io dico che non me importa niente di giocare. Si tratta di resistere alla barbarie, di riconoscere, avere il coraggio di dire e poi affermare che il ministro dell’Interno è una persona pericolosa e andrebbe perseguito per crimini contro l’umanità. Abbiamo paura ma non abbiamo più scuse e neanche troppo tempo.