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OPINIONE. Turchia in Rojava, una guerra per le elezioni

Fehim Taştekin – Tradotto da Rete Kurdistan – 21 dicembre 2018
In vista delle amministrative di marzo, Erdogan imbastisce un nuovo conflitto. Le opposizioni turche fanno propria la stessa narrativa e gli Usa danno il loro via libera.

L’intenzione della Turchia di marciare sui territori del nord della Siria a est dell’Eufrate, negli ultimi mesi ha assunto forme sempre più concrete. Dalla minaccia di Erdogan poco prima dell’Operazione-Afrin nel gennaio 2018, che sarebbero entrati “una notte senza preavviso”, passando per la dichiarazione di alcune settimane fa che i preparativi per un’operazione sarebbero conclusi, fino alle dichiarazioni di Erdogan qualche giorno fa: “Tra alcuni giorni inizieremo l’operazione”.
La situazione militare nella regione e i grandi rischi che accompagnano un ingresso nella Siria del nord rendono molto chiara una cosa: senza accordo degli Usa, che attualmente ancora combattono con le Ypg contro Stato Islamico (Is), un ingresso turco in Siria del nord è impossibile. Fin qui per una valutazione oggettiva della situazione. Ma non ci troviamo in tempi nei quali si giudica e si decide in modo oggettivo. Nell’opinione pubblica turca attualmente viene proclamato: “Proprio come siamo entrati a Cerablus e Afrin interverremo anche a est dell’Eufrate”.
Quando truppe turche nell’agosto 2016 entrarono nella regione di Cerablus, Çobanbey e El Bab in Siria del nord per bloccare alle YPG la strada tra Kobane e Afrin gli Usa non fecero alcun tipo di obiezione. Anche la Russia all’epoca diede il via libera. Nel quadro dei negoziati di Astana si era formata un’alleanza tra Russia e Turchia che spinse la Russia a un’approvazione dell’Operazione-Afrin.
L’intervento turco ad Afrin venne reso possibile da una circostanza molto semplice: l’apertura dello spazio aereo da parte della Russia. Gli Usa proclamarono di sentirsi responsabili solo per le regioni che insieme alle forze curde erano state liberate da Is. Con questo gli Usa rifiutarono una posizione chiara contro gli attacchi turchi ad Afrin.
Pressione costante attraverso minacce costanti
Da diverso tempo Erdogan compie passi per aumentare la pressione sugli Usa. La pressione crescente serve ad entrambe le parti. Le tensioni sono il capitale più grande dell’epoca attuale. Determinanti per le intenzioni della Turchia di marciare su un Paese vicino, sono la dinamica di politica interna del Paese e il tentativo dei potentati di rafforzare la propria posizione.
L’opposizione in Turchia, analogamente a quanto avvenuto durante l’intervento ad Afrin all’inizio dell’anno si schiererà dietro alla “questione nazionale” e sosterrà l’attacco contro l’amministrazione autonoma in Siria del nord. Questa era stata costruita sotto la guida dei curdi negli ultimi anni. Anche l’agenda politica dei prossimi mesi in Turchia probabilmente sarà dominata dalle minacce di guerra turche contro la Siria del nord. Con l’aiuto di un clima di stato di emergenza e della propaganda nazionalista, i potenti in Turchia intendono decidere a loro favore le elezioni amministrative del marzo 2019.Questo attualmente è il loro obiettivo più importante. Dal 2015 le elezioni in Turchia sfortunatamente vengono ormai decise solo attraverso la guerra e la polvere da sparo.
A questo si aggiunge che la Turchia, in particolare rispetto agli Usa, si trova in una posizione negoziale promettente e da ultimo è riuscita ad aumentare il suo margine di manovra. Questo le è riuscito forzando l’acquisto del sistema antiaereo russo S-400 e con l’aiuto della banca statale Halkbank con il quale ha aggirato le sanzioni contro l’Iran, o meglio lo fa fino ad oggi.
Erdogan inoltre riesce a mettere gli Usa davanti alla scelta tra “un partner della Nato o un’organizzazione terroristica” e a costringerli a una decisione. Gli Usa reagiscono a questo con una politica di imbonimento. L’accordo tra gli Usa e la Turchia di eseguire pattugliamenti congiunti a Minbic nel nord della Siria, è parte di questa politica di imbonimento degli Usa. Erdogan in questa situazione cerca di trarre profitto dalla dichiarazione Trump che Is verrebbe battuto del tutto entro i prossimi 30 giorni. Vuole impegnare gli Usa a mettere fine alla loro relazione con le Ypg appena sarà conclusa la lotta contro Is.
Con la loro presenza militare in Siria, gli Usa perseguono tre obiettivi: lottare contro Is, ricacciare indietro l’Iran nella regione e avere influenza politica sul processo di transizione politica in Siria. Si tratta quindi anche di piani a lungo termine. Il capo di stato maggiore Usa Joseph Dunford il 6 dicembre ha parlato del fatto che in Siria verrebbe addestrata un’unità militare di 40mila persone. Finora sarebbe stato raggiunto solo 20% del programma di addestramento. Già a gennaio di quest’anno, e quindi poco prima dell’ingresso turco ad Afrin, gli USA avevano dichiarato che avrebbero addestrato sul posto un esercito di 3mila membri.
Un’operazione militare limitata?
Erdogan ora è arrivato al punto di indicare praticamente una data per l’imminente intervento in Siria del nord. Ora gli Usa secondo la loro politica imbonimento daranno un via libera per un’operazione limitata nello spazio? Nessuno può dire in via definitiva se si arriverà o no a tanto.
Fonti curde con le quali sono riuscito a parlare, hanno espresso tutta la loro preoccupazione. Partono dall’idea di un’operazione militare limitata. Nel caso di un intervento limitato, sono da prendere in considerazione piuttosto territori abitati da una maggioranza di popolazione araba o caratterizzati in parti uguali da arabi e curdi. Città come Kobane, considerate “fortezze curde”, appaiono obiettivi improbabili. Le regioni intorno alle città di Tel Ebyad (Girê Spî) e Ras el Ayn (Serekaniye) sarebbero quindi probabili punti di attacco. Nel corso dei mesi passati, nei media turchi si è riferito ripetutamente di piani di attacco in questi territori. Erdogan ha ancora un conto aperto con entrambe le città.
Nella città di Serekaniye le Ypg tra il luglio 2012 e il febbraio 2013 sono riuscite a respingere diversi attacchi di gruppi islamisti che sotto le insegne dell’Esercito Siriano Libero cercavano di entrare partendo dalla Turchia. Tel Ebyad era sulla linea di approvvigionamento principale grazie alla quale Is negli anni 2014 e 2015 veniva rifornito dalla Turchia. Dopo che le Ypg insieme ai loro partner arabi ebbero liberato la città nell’estate del 2015, Erdogan sostenne che lì sarebbero in corso pulizie etniche contro la popolazione araba e turkmena.
Se negli scorsi mesi si parlava in Turchia di un possibile intervento in Siria del nord, veniva costantemente messa in evidenza l’identità araba di queste due città. A questo si aggiungono i piani turchi di inviare nelle due regioni una parte dei profughi che attualmente vivono in Turchia. Dietro a questo c’è l’intenzione di minimizzare con l’insediamento di popolazione araba lungo il confine turco-siriano la quota di popolazione curda percepita come una minaccia.