General

SUDAN. Otto uccisi nelle proteste contro il carovita

21 dicembre 2018, Nena News
Da due giorni il paese è investito da manifestazioni anti-governative a causa dell’aumento stellare del prezzo del pane e del carburante. 

Il governo promette che non taglierà i sussidi, ma l’inflazione galoppa. Stato di emergenza nelle zone più calde.
Otto uccisi in due giorni: è il bilancio delle proteste in Sudan contro l’aumento del costo del carburante e del pane. Le manifestazioni sono state attaccate dalle forze di polizia e disperse con gas lacrimogeni. Secondo il portavoce del governo, Bishara Jumaa, “in modo civile” ma i numeri raccontano un’altra storia.
L’esecutivo ha subito puntato il dito contro le opposizioni, accusate di “mettere a rischio la sicurezza del paese a fini politici”, e ha parlato di “infiltrati in attività sovversive” che avrebbero dirottato le proteste. Di certo le manifestazioni si sono accese dopo il ritorno nel paese del leader di opposizione Sadiq al-Mahdi, da oltre un anno in autoesilio, ma le ragioni della rabbia della popolazione sono concreti: il governo ha tagliato i sussidi statali e il prezzo del pane è triplicato, in un paese in cui permane una dura crisi economica accesa anche da un’inflazione alle stelle, al 70%. Una crisi strutturale che risale al 2011 e alla secessione del Sud Sudan, che ha fatto perdere a Khartoum due terzi delle riserve petrolifere, fondamentale a garantirsi entrate economiche e valuta straniera.
Le manifestazioni riappaiono con cadenza ormai regolare da un anno, le ultime all’inizio di dicembre avevano spinto il governo a dispiegare più forze di polizia nelle strade. E già lo scorso gennaio si erano contati tre morti.
Ma le proteste non si fermano: oggi sono previsti nuovi raduni, dopo che le manifestazioni si sono allargate alla capitale Khartum. Ieri gruppi di manifestanti hanno appiccato il fuoco a sedi del Ncp, il Partito del congresso, fazione del presidente Omar Bashir. Al Qatarif, riporta la Reuters, è stato dichiarato lo stato di emergenza: è qui che sono morti sei manifestanti, gli altri due a nord, nello Stato del fiume Nilo, ad Atbara che è da due giorni il centro delle proteste che chiedono le dimissioni di Bashir.
Ieri, nonostante lo stato di emergenza, ad Atbara erano migliaia le persone in strada: quella che è chiamata la “città dell’acciaio e del fuoco”, Atbara è il centro del sistema ferroviario statale e dunque la più attiva sul piano sindacale e del movimento del lavoratori. E’ qui che nacque il sindacato dei ferrovieri, smantellato negli anni Ottanta ma rimasto simbolo della capacità di mobilitazione degli operai.
Lo scorso settembre il presidente aveva annunciato una serie di riforme per contrastare la crisi, misure di austerity che però hanno ulteriormente peggiorato le condizioni di vita delle classi più basse del Sudan: non si riesce a compare pane da giorni, diceva ieri un manifestante alla Reuters, perché i negozi sono vuoti. “I prezzi sono aumentati e non sono in grado di ritirare il mio stipendio di novembre – spiega un altro manifestante – a causa della crisi di liquidità. Sono condizioni difficili in cui vivere e al governo non importa”.
Il primo ministro Moussa è intervenuto mercoledì cercando di rassicurare la popolazione: i sussidi per il pane non saranno tagliati, aveva detto, “ma ci saranno nuove politiche dirette ai sussidi”. Per il 2019, aveva aggiunto, nel bilancio sono previsti 1,4 miliardi di dollari in sussidi, di cui 1,1 per pane a carburane. Ma non ci crede nessuno: le ultime proteste sono esplose dopo l’aumento del prezzo del pane, da una sterlina a tre, da 0,02 dollari a 0,06, in un paese dove l’46,5% della popolazione vive sotto la soglia di povertà, con meno di un dollaro al giorno, e il salario medio non supera i 40 dollari al giorno.
A ciò si aggiunge il crollo del valore della sterlina sudanese, che ha perso nell’ultimo anno l’85% rispetto al dollaro. Bashir ha reagito rimpastando il governo e cambiando il governatore della banca centrale, ma la situazione non migliora. Sullo sfondo la situazione economica strutturale del paese, per 20 anni soggetto alle sanzioni statunitensi, ritirate solo due anni fa, ma che ha impedito a Khartoum di accedere ai finanziamenti stranieri.