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ISRAELE. Post anti-Islam, Facebook blocca il figlio di Netanyahu

17 dicembre 2018, Nena News
Chiuso per 24 ore l’account di Yair Netanyahu che chiedeva vendetta per l’uccisione di due soldati e invocava l’espulsione dei palestinesi.

Ma resta il doppio standard: se Israele condanna al carcere giornalisti e attivisti palestinesi per post sui social, la compagnia Usa ha chiuso centinaia di account palestinesi su richiesta di Tel Aviv.
Un giovane falco radicale: è questo il primogenito del premier israeliano Benjamin Netanyahu, Yair, già salito ai disonori delle cronache – l’ultimo caso è dello scorso gennaio: durante le notti brave nei night club di Tel Aviv, pagava prostitute e chiedeva denaro a figli di businessman citando i “favori” del padre.
Stavolta a punirlo è Facebook che ieri ne ha bloccato il profilo per 24 ore per post anti-musulmani e l’appello all’espulsione di tutti i palestinesi. Il riferimento è a un post di giovedì in cui Yair Netanyahu ha scritto che “tutti i musulmani devono lasciare Israele”, a seguito dell’attacco compiuto da un palestinese che ha ucciso due soldati israeliani in Cisgiordania. “Sai dove non ci sono attacchi simili? In Islanda e in Giappone dove non ci sono musulmani”, ha scritto in un altro post mentre invitava a “vendicare le morti”.Dopo il temporaneo blocco ha attaccato il social network definendolo “una dittatura”. Pochi giorni prima, sempre su Facebook, Yair aveva attaccato la stampa israeliana e le ong definendole “traditrici”.
Il figlio del premier non è nuovo a simili attacchi. Nel 2017 pubblicò un disegno in cui il miliardario ebreo George Soros era intento a controllare il mondo insieme a rettiliani e illuminati.
Yair non è popolare in Israele ma non certo per simili posizioni, condivise da una grande parte dell’opinione pubblica israeliana. Non è ben visto per il suo stile di vita: l’ufficio del primo ministro gli ha messo a disposizione la scorta e un’automobile, vive nella residenza del premier seppur non abbia ruoli istituzionali e, secondo i detrattori di Netanyahu, Benjamin lo starebbe preparando alla successione.
Ma al di là della peculiare personalità di Yair, a provocare le critiche da parte palestinese è il doppio standard applicato nelle politiche israeliane di controllo dei social. Giornalisti, attivisti, scrittori palestinesi sono stati condannati al carcere per post su Facebook definiti istigazione alla violenza – è il caso della scrittrice Dareen Tatour, condannata a tre anni di domiciliari e poi alla prigione per una poesia su Gerusalemme – e lo stesso social network blocca abitualmente e a tempo indeterminato gli account di reporter e attivisti palestinesi.
Lo scorso marzo in decine avevano manifestato davanti all’ufficio dell’Onu a Gaza per protestare contro la pratica di Facebook, definita “una grave violazione della libertà di opinione ed espressione”, perpetrata su ordine di Israele: solo all’inizio del 2018 sono stati bloccati oltre 100 account palestinesi, 200 nel 2017.