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IRAN. Attentato nel porto “indiano” di Chabahar, almeno tre morti

6 dicembre 2018, Nena News
Questa mattina un’autobomba è esplosa vicino al quartier generale della polizia nella città che sta diventando una zona economica libera con l’India. Intanto, Teheran condanna a 12 anni e 9 mesi la giornalista e attivista Shahidi.

Il bilancio attuale dell’attentato suicida di questa mattina nella città iraniana di Chabahar è di tre morti e almeno 19 feriti. Un’autobomba è esplosa nella provincia sud-orientale di Sistan e Balouchestan vicino a una stazione di polizia.
Secondo il vice governatore della provincia per la sicurezza, Mohammad Hadi Mara’ashi, l’ordigno si trovava dentro l’auto e ha ucciso due poliziotti: il piano era di far entrare il veicolo dentro il centro di comando della polizia, ma è stato intercettato prima e l’attentatore ha azionato la bomba. Tra i feriti ci sono numerosi civili, tra cui donne, bambini e negozianti.
La città di Chabahar si trova a poca distanza dal confine con il Pakistan ed è la sede di un progetto di porto comune tra India e Iran, tanto da essere ribattezzato “la porta d’oro indiana”: finanziato con fondi di New Delhi, dovrà incrementare i rapporti commerciali tra l’Asia orientale e la Repubblica Islamica, bypassando il Pakistan attraverso la creazione di una zona economica libera.
Otto anni fa, nel dicembre 2010, Chabahar era stata già colpita da un brutale attentato terroristisco che aveva ucciso 41 persone e ne aveva ferite 90. Un kamikaze si era fatto esplodere vicino a una moschea e l’attacco era stato rivendicato da Jundallah, i Soldati di Dio, gruppo sunnita radicale separatista. Da tempo l’Iran accusa il Pakistan di garantire spazio di manovra a gruppi armati.
Dodici anni all’attivista e giornalista Shahidi
È invece di sabato scorso la notizia della durissima pena comminata alla giornalista e attivista per i diritti umani iraniana Hengameh Shahidi, condannata a 12 anni e nove mesi di prigione. Non potrà lasciare il paese né aderire a gruppi politici e media.
Hengameh Shahidi
Le accuse non sono chiare: il suo avvocato, Mostafa Turk, ha parlato di “procedure confidenziali”. Ma sembra che il “reato” commesso sia legato a presunti insulti alla magistratura e allo Stato: al momento dell’arresto il procuratore di Teheran, Jafari Dolatabadi l’aveva accusata di “palesi insulti alla magistratura attraverso tweet criminali”.
Shahidi, in passato consigliera per le donne del candidato presidente Mehdi Karroubi, è da tempo una nota critica del sistema giudiziario iraniano e della repressione di giornalisti e attivisti. All’epoca della candidatura di Karroubi, nel 2009, Shahidi è stata detenut per tre anni con l’accusa di propaganda contro il sistema per la partecipazione a manifestazioni considerate illegali. È stata poi di nuovo arrestata per alcuni mesi nel 2017 con l’accusa di cooperare con la stampa straniera.
Secondo il più recente rapporto del Committee to Protect Journalists, del maggio di quest’anno, negli ultimi dieci anni il numero di giornalisti detenuti in Iran è oscillato dai 12 del 2007 al massimo toccato sotto Ahmadinejad, 52. Nel 2018, fino a maggio, erano cinque i reporter in carcere, ma lo scorso agosto sette giornalisti sono stati condannati a pene molto dure, tra sei e 26 anni di prigione, per la copertura delle proteste della minoranza religiosa derviscia.