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Nessuna è immune

Flavia Piccinni 25/11/2018
Ho la porta di casa presa a coltellate. È una porta antica, in un palazzo del centro storico, di un bel verde bottiglia.

Pensavo di doverla cambiare, e poi ho deciso che doveva rimanere così. Esattamente come era diventata in un momento imprecisato della mia vita, quando mi ero scoperta prima accompagnata da un manipolatore, dunque da un violento.

Le avvisaglie c’erano state. Criticava puntualmente ogni mia iniziativa. Una volta litigammo per qualcosa di inutile, che nemmeno ricordo, e lui spaccò una sedia e un vaso di cristallo cui, devo dire, ero abbastanza affezionata. Se non facevo quello che voleva scoppiava a piangere così, senza un motivo, e mi diceva che non gli volevo bene, che non lo capivo. Un’altra volta – quando, a sua detta, non lo consideravo come dovuto – prese dei quadri che mi avevano regalo degli amici e gli schiantò sul pavimento fino a farne poltiglia. Un’altra volta ancora ruppe piatti e bicchieri. Le leggende di famiglia – che mi furono raccontate dopo qualche mese dal nostro primo incontro – lo dipingevano unanimemente come un folle che un giorno, per frenare un violento litigio fra i genitori, aveva spaccato un intero servizio di bicchieri in cristallo con espressione tronfia.
Perché ci stavi?, mi hanno chiesto in molti. Ci stavo perché non me ne accorgevo. E perché le persone che mi stavano intorno – gli amici e i famigliari – lo criticavano ininterrottamente sì, ma io non capivo. Anzi: più lo criticavano, più credevo che fosse tutto un complotto. In fondo, quando era dolce era la persona più dolce del mondo. In fondo, non avevo anche io un pessimo carattere?
Nei mesi, lui aveva costruito un tunnel e lo aveva arredato, accompagnandomi lentamente a credere che quello fosse il mondo, l’unico e il migliore mondo possibile. Facendomi dimenticare il resto, conducendomi su delle montagne russe dove venivo esaltata e sminuita, abbracciata e rifiutata.
La verità è che pensiamo sempre che la violenza accada alle altre. Ci sentiamo invincibili. E quando tocca a noi crediamo che non sia possibile, che ci deve essere una giustificazione, che forse è colpa nostra. O, meglio, così pensai io fin dall’inizio fino a quando un giorno non scattò il conto alla rovescia.
Che cosa è il conto alla rovescia? Dopo una litigata furiosa, scappai via di casa. Mi lanciò le chiavi dalla finestra. Dopo qualche minuto mi arrivarono dei messaggi che religiosamente conservo sul telefonino a memoria del punto più basso della mia vita. “Se non torni entro 30 minuti inizierò una puntuale distruzione della casa”. E poi: “-29”. E, ancora: “-28”. E così via. Credo che in quel momento la mia porta verde bottiglia sia stata presa a coltellate. O forse poco prima, o forse poco dopo.
Qualche settimana fa ho raccontato la storia della porta a due mie amiche. “Cambiala subito” mi hanno intimato. Eppure no, io voglio che la porta di casa rimanga così: ogni giorno mi ricorda che la violenza è anche quella che viviamo noi, noi che ci sentiamo invincibili, e lo facciamo senza accorgercene, fra un vaso rotto e un’offesa.