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BAHRAIN. Farsa elettorale all’ombra della repressione

Michele Giorgio 26 novembre 2018
INTERVISTA. «L’atteggiamento della comunità internazionale, Usa ed Europa in testa, offre alla monarchia bahranita l’impunità di cui ha bisogno per negare diritti umani e politici», denuncia la nota attivista dei diritti umani Maryam al Khawaja.

Si sono chiuse l’altro ieri alle 20 le urne in Bahrain. I media governativi e quelli delle altre monarchie del Golfo per tutto il giorno hanno raccontato il presunto “successo” della votazione per l’assegnazione dei 40 seggi della Camera bassa e per il rinnovo dei consigli municipali: alta affluenza ai seggi, il maggior numero di candidati (293) dal 2002, 50mila nuovi elettori e via dicendo. Hanno sorvolato sui dati fondamentali, ossia che le elezioni sono una farsa, il parlamento non ha alcun potere, i partiti di opposizione, lo sciita Wefaq e il socialista Waad, sono stati messi fuorilegge, nelle carceri languono circa 4000 detenuti politici, la libertà di stampa è inesistente e che un semplice tweet critico della politica di re Hamad bin Isa al Khalifa può costare cinque anni di carcere, come sta sperimentando sulla sua pelle il noto difensore dei diritti umani Nabeel Rajab. La monarchia del Bahrain, forte del silenzio-assenso di Stati uniti ed Ue, e del sostegno, militare ed economico, che riceve da Arabia saudita ed Emirati, fa ciò che crede ed è sempre più brutale, hanno denunciato venerdì tre centri per i diritti umani bahraniti e del Golfo, costretti a riunirsi a Beirut per sottrarsi a pesanti rappresaglie. Sulle elezioni e la repressione in Bahrain abbiamo intervistato Maryam al Khawaja, attivista di primo piano costretta all’esilio.
Il voto, denuncia l’opposizione, è artificiale, privo di qualsiasi significato e rappresenta solo una copertura per un regime brutale.
È così. La lotta del popolo del Bahrain parte da lontano. Anche prima del movimento popolare per le riforme del 2011 (represso nel sangue da re Hamad, ndr) i bahraniti si battevano per avere delle vere istituzioni democratiche e un parlamento vero. Ma non è cambiato nulla. La Camera bassa che uscirà da queste elezioni sarà priva di poteri. Manca inoltre un organo indipendente di controllo che vigili sul potere esecutivo. E se prima all’opposizione era garantita una rappresentanza simbolica, ora neanche quello, siamo in un clima politico persino più pericoloso e grave. I partiti dell’opposizione sono stati dichiarati illegali e i loro leader incarcerati, come Ali Salman (al Wefaq) condannato all’ergastolo. La libertà politica e quella di stampa sono inesistenti.
Il mondo lascia piena libertà di azione alla monarchia al Khalifa, complice anche la presenza in questo piccolo arcipelago di basi militari americane e britanniche.
Voglio essere esplicita. Gli Stati uniti, il Regno unito e l’Ue non solo non criticano l’assenza dell’opposizione dalle elezioni e si astengono dal condannare repressione e abusi. Offrono consapevolmente pieno appoggio alle politiche della monarchia che già gode dell’alleanza con l’Arabia saudita.
Lei cita spesso il caso di suo padre per denunciare l’ipocrisia dell’Europa.
Perché è emblematico. Mio padre, Abdulhadi al Khawaja (attivista dei diritti umani, arrestato nel 2011 e condannato all’ergastolo, ndr) oltre ad essere un bahranita è anche cittadino danese, quindi un europeo. Cosa ha fatto sino ad oggi l’Unione europea per proteggere questo suo cittadino imprigionato per aver denunciato crimini e per aver espresso il suo pensiero? Nulla. Eppure l’Europa afferma la volontà di proteggere i diritti umani. L’atteggiamento della comunità internazionale, Stati uniti ed Europa in testa, offre alla monarchia bahranita l’impunità di cui ha bisogno per proseguire la repressione.
Fino a quando tutto questo potrà andare avanti.
Fare previsioni non è facile ma posso dire che la situazione in Bahrain è molto instabile. La nostra economia sta crollando. La monarchia anni fa descriveva il Bahrain come un hub finanziario mentre ora è costretta a chiedere ingenti fondi ai sauditi per sopravvivere e la popolazione, soprattutto la nuova generazione, affronta crescenti difficoltà. Quando la negazione dei diritti fondamentali si accompagna alla crisi economica nessun regime può sopravvivere.