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Alle donne è impedito difendere se stesse e i propri figli da un partner violento

Maria Cecilia Guerra 24/11/2018
25 novembre… non è più sopportabile la meraviglia con cui, ritualmente, una società distratta, e anche per questo colpevole, si scopre sorpresa e indignata per le decine e decine di donne uccise nel nostro paese dal loro compagno, dal loro fidanzato, dal loro marito, dal loro ex.

A Mantova, Gianfranco Zani ha celebrato, atrocemente, questo 25 novembre, realizzando la minaccia che aveva più volte ripetuto a sua moglie e ai suoi figli: brucio tutto con voi dentro.
Il suo caso mette a nudo come, nonostante i progressi che si sono indubbiamente fatti nella conoscenza e nella normativa, siamo ancora tanto indietro nel contrastare la violenza nei confronti delle donne. Il nostro sistema non consente ancora di prevenire la violenza con l’educazione nelle scuole, una comunicazione meno intrisa di stereotipi, il superamento delle disparità di genere sul mercato del lavoro. Non consente ancora di agevolare, con una preparazione adeguata delle forze dell’ordine, del personale sanitario e dei magistrati, il difficile percorso che porta una donna a denunciare le violenze subite. Ma non permette neppure alle donne che subiscono violenza e vivono sotto costante minaccia di difendere sé stesse, la propria vita e quella dei propri figli.
Nel caso di Mantova troppe cose fanno rabbrividire: a fronte di gravi denunce solo un provvedimento di allontanamento. Una misura ragionevole, se si è ancora nella fase in cui un richiamo, un ammonimento può avere qualche effetto, ma che non ferma – quante donne devono ancora essere uccise perché lo si capisca? – gli uomini che sono capaci di picchiare, ripetutamente, la propria donna e i propri figli, che hanno più volte pronunciato minacce di morte; anzi li incattivisce. Si è visto, nel caso di Mantova, una difficoltà persino a dare il permesso più banale: cambiare chiave di casa, per potere almeno impedire a chi ti vuole dare fuoco di entrare senza problemi.
Non ci sono strumenti giuridici adeguati. Per potere dimostrare la violenza devi non solo subirla ma anche riuscire a filmarla, per poterla meglio documentare. I figli non vengono creduti perché si teme siano stati manipolati dalla madre. Non li si può tenere al sicuro dal padre violento anche se si sa che corrono rischi terribili. La legge lo impedisce. Norme sacrosante che tutelano i diritti del padre in caso di separazione diventano una trappola infernale quando quel padre è un violento. Ma le donne non vengono credute. Ai loro allarmi si oppongono sollecitazioni alla conciliazione, alla mediazione.
E arriva in Parlamento il disegno di legge del leghista Pillon che impone la mediazione obbligatoria e l’affidamento condiviso, assolutamente da sconsigliare nei casi di violenza. Un testo che si permette di ignorare la pervasività della violenza maschile sulle donne e il ruolo che questa ha nello spingerle a richieste di separazione. Che si permette di ignorare come nelle situazioni di violenza i figli diventino uno strumento per continuare ad esercitare il proprio controllo sulle madri, o, come nel caso di Mantova, uno strumento di vendetta. Un testo che comporterebbe per i costi e i tempi che impone, l’impossibilità di fatto per molte donne di chiedere la separazione per cercare di mettere fine a relazioni violente, costringendole a continuare ad essere esposte, con i propri figli, a un rischio continuo.
Con un’unica consolazione: se verranno uccise o lo saranno i loro figli, in tanti il 25 novembre piangeranno il loro destino.