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Quelle violenze invisibili e rimosse

Luciana Matarese 24/11/2018
Storie di donne che hanno subito abusi, spesso non credute. “E’ stato un incubo, finito quando lo hanno messo in carcere”. Oggi a Roma la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne.

“Lui lo sapeva che fare equitazione mi piaceva tanto, pure il disegno dei cavalli mi aveva fatto fare, il vigliacco. E ne ha approfittato per abusare di me”. Emanuela Di Marzio oggi ha trentaquattro anni, ne aveva meno di diciotto quando è stata violentata. Dal fisioterapista, che le assicurava miglioramenti nella postura rigida dovuta alla tetraparesi spastica, “se avessi fatto esercizi con lui. Ma lo diceva per ingannarmi, in realtà mi usava violenza”, racconta ad HuffPost. Mentre Tiziana – il nome è di fantasia per tutelarne la privacy – che da quasi un anno vive in una struttura protetta, ricorda che il suo fidanzato, dal quale è scappata quasi due anni fa, le ripeteva, pure quando la prendeva a calci, pugni e schiaffi, “Ti ci vuole sempre il sostegno a te”. Ha ventisette anni e una leggera difficoltà cognitiva. Emanuela e Tiziana hanno subito violenza e hanno rotto il silenzio nel quale, nella stragrande maggioranza dei casi, si consumano le violenze perpetrate contro le donne con disabilità, in Italia circa 1.700.000, il 3,7 per cento della popolazione totale. Difficile quantificare quante sono, quante subìscono violenze – economiche, psicologiche, fisiche, sessuali – che spesso restano chiuse tra le mura di casa o, come nel caso di Emanuela, dei centri di riabilitazione.
In base agli ultimi dati Istat, aggiornati al 2014, su un campione di cento donne, ha subito violenze fisiche o sessuali il 36 per cento di chi è in cattive condizioni di salute e il 36,6 per cento di chi ha limitazioni gravi. Il rischio di stupri o tentati stupri è doppio – 10 contro 4,7 per cento – rispetto alle donne che non hanno disabilità. Per limiti fisici, psicologici, e culturali. “La maggior parte delle persone quando si trova di fronte a una donna con disabilità vede solo il suo handicap – spiega la psicologa Rosalba Taddeini, referente dello sportello sulle multiple discriminazioni della Ong “Differenza donna”, aperto a Roma e per ora l’unico in Italia – Più evidenti sono i segni dell’handicap più il suo “essere femminile sembra scomparire”.
Asessuate, incomplete, mancate e necessariamente dipendenti da qualcun altro. Così l’immaginario collettivo considera queste donne, ne censura la sessualità, negando che possano piacere, suscitare desiderio, intrecciare relazioni sentimentali, diventare madri. Ed è convinzione diffusa che neanche possano essere oggetto di abusi. E invece la violenza perpetrata nei loro confronti è doppia, doppio lo stigma, in quanto donne e con handicap. Le donne con difficoltà cognitive, ad esempio. Nei casi di abusi sessuali, il pregiudizio, ancora assai radicato, che le ritiene più affettuose delle altre, porterà inevitabilmente a pensare “In fondo è anche colpa loro, se la sono cercata”. Nella stragrande maggioranza dei casi, poi, le donne con disabilità non hanno imparato a riconoscere la violenza e quando lo fanno, non sempre riescono a uscire dalla condizione di subalternità cui sono relegate a volte dalle barriere fisiche, quasi sempre da quelle culturali. “C’è in loro quella che si definisce “impotenza appresa” – fa notare Taddeini – sin da bambine viene passato loro il messaggio che un po’ devono sopportare perché dipenderanno sempre da qualcuno. Inoltre, per il pregiudizio che le vuole asessuate, quasi eterne bambine, non hanno lo stesso accesso all’educazione, e dunque alla vita sessuale, delle donne prive di disabilità. Questi elementi le espongono maggiormente al rischio di subire violenze, perché non sanno riconoscerle”. E quando rompono il silenzio sovente non sono credute. Emanuela, per esempio, dopo aver denunciato il suo fisioterapista col supporto della mamma, che si è accorta degli abusi che la ragazza non aveva saputo riconoscere, è stata sottoposta dal Tribunale a una perizia. “Dovevano appurare se ero capace di intendere e volere – ironizza lei – poi hanno capito che dicevo la verità”.
Taddeini racconta di una donna sorda riportata al compagno violento nonostante avesse consegnato ai carabinieri una denuncia scritta, ma mai accolta, di un’altra con lieve disabilità cognitiva alla quale, in seguito alla denuncia dei maltrattamenti che subiva dal marito, è stato tolto il figlio. Mentre il bambino è in casa famiglia, lei aspetta di essere ascoltata in Tribunale. “Abbiamo presentato istanza per chiedere la convocazione. Si è occupata del figlio per sei anni e ora si comportano come se la disabilità ledesse la sua capacità di essere mamma”. Donne di cui non si ha considerazione, come fossero invisibili. E invece secondo le ricerche effettuate sono sottoposte a violenza per periodi di tempo più lunghi e, su scala mondiale, hanno una probabilità doppia, se non tripla, di essere abusate e maltrattate rispetto alle donne senza disabilità. Da quando, nel 2014, è entrato in funzione, allo sportello della Ong, che gestisce diversi centri antiviolenza a Roma e partecipa anche a progetti internazionali, ne sono arrivate novantotto (il 65% con disabilità intellettiva e/o cognitiva, il 25% fisica, l’8% psichiatrica per il 2% sensoriale). Di esse il 73% ha subito violenza sessuale da familiari, conoscenti o estranei, il 27% maltrattamenti in famiglia, tre sono state costrette a matrimoni forzati, magari vendute per un permesso di soggiorno, sette indotte alla prostituzione coatta. Il 75% ha avviato un percorso legale contro la violenza.
Al momento, per i dati registrati, anche su un piano più complessivo, lungi dal consentire la definizione di un quadro statistico sia pure approssimato, rimandano al sommerso, tanta parte della questione, come emerge anche da una ricerca, presentata nel 2016, dell’Università del Kent, in collaborazione con “Differenza Donna”. “Soprattutto rispetto alle difficoltà cognitive e intellettive – puntualizza Taddeini – non segnalate neppure durante il percorso scolastico dagli insegnanti o spesso non riconosciute dai genitori. Ogni qualvolta si va a proporre nei centri diurni, nelle comunità, interventi per far conoscere alle donne i propri diritti e l’educazione alla sessualità viene fuori che quasi tutte hanno subito maltrattamenti o forme di violenza. Questo prova l’esistenza di un mondo sommerso, che bisogna portare in superficie”.
In che modo? Per gli esperti intervistati da HuffPost servono strategie di sensibilizzazione, prevenzione e contrasto alla violenza di genere e sulle donne con disabilità, con campagne informative, anche sulla sessualità, rivolte a famiglie e scuole. E poi corsi di formazione per gli operatori per imparare a riconoscere indicatori e segnali degli abusi specie nei casi di donne non in grado di raccontare o scrivere, e una stretta collaborazione tra centri antiviolenza, servizi sociali, forze dell’ordine. “Mancano misure e azioni mirate da parte del Governo – fa notare Silvia Cutrera, vicepresidente nazionale della Fish, Federazione italiana per il superamento dell’handicap – nel nostro ultimo congresso, a maggio scorso, abbiamo approvato una mozione che impegna la federazione ad avviare importanti azioni politiche sul tema bambine, ragazze e donne con disabilità, pi degli uomini ma meno visibili perché più emarginate dal punto di vista sociale e lavorativo”. Secondo i dati di Istat del 2013, infatti, lavora solo il 17,3% delle donne con handicap tra i 15 e i 64 anni, 6,5% in meno rispetto agli uomini. “La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità approvata nel 2006, in Italia ratificata tre anni dopo, ha dedicato alle donne con disabilità l’articolo 6 – aggiunge la vicepresidente della Fish – chiedendo agli Stati di promuovere piani di sviluppo, promozione ed emancipazione, per far accrescere la loro consapevolezza di essere titolari di diritti specifici e garantire canali per far sentire la propria voce”.
Ma a luglio 2017 dopo aver esaminato l’ultimo rapporto dell’Italia, il Comitato delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità ha formulato raccomandazioni specifiche, esprimendo “la preoccupazione – scandisce Cutrera – che le stesse donne appartenenti a gruppi svantaggiati, tra le quali quelle con disabilità, siano inconsapevoli dei loro diritti”.
Per il secondo anno consecutivo, una delegazione della Federazione sarà presente alla manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne, oggi a Roma, alla quale parteciperanno anche Ong e associazioni femministe. Come “Differenza Donna” e “D.i.Re – Donne in rete contro la violenza” che gestisce circa ottanta centri antiviolenza in Italia e sta portando avanti la campagna “Step Up” lanciata con l’associazione europea “Wave”, con l’obiettivo di potenziare i servizi da offrire e garantire sempre di più nei centri antiviolenza l’accesso alle donne con disabilità violate o maltrattate. Non tutte le strutture, infatti, sono idonee ad accoglierle. “Un progetto dell’Unione Europea sull’accesso ai servizi di assistenza per queste donne – spiega Alice degl’Innocenti, responsabile di “Step Up” – ha dimostrato che molte di loro non accedono ai servizi di cui hanno bisogno e tante non ne conoscono neanche l’esistenza. In questo momento per molti centri antiviolenza non è possibile fornire risposte immediate a tutte le donne che hanno bisogno di aiuto, ma dovrebbe essere possibile rendere queste strutture luoghi dove anche le donne disabili trovano il modo di comunicare ed essere aiutate”.
Oggi si manifesta contro la violenza sulle donne. Su tutte le donne. “Credo sia importante l’alleanza che si sta realizzando con il movimento di quelle che potremmo definire “normodotate” – sottolinea Cutrera – la presa di parola delle donne con handicap è fondamentale per infrangere il tabù sugli abusi, le violenze cui sono sottoposte”.
Ne è convinta Tiziana, che ora, rielaborato il suo dolore, si sente libera e sogna di diventare aiuto cuoca – “sai, ho un diploma di scuola alberghiera”, dice orgogliosa – e ne è convinta Emanuela, che adesso il suo aguzzino non lo sogna più. “E’ stato un incubo ricorrente – racconta – ma è finito quando lo hanno messo in carcere. So che ora è libero, che ha ripreso a fare il suo lavoro, temo potrebbe abusare di qualcun altro. Anche per questo voglio raccontare la mia storia con tutte le mie forze”. Il ricordo è rimasto, la rabbia pure. “Denunciare è fondamentale – sospira – ma so che non tutte le donne, specie se disabili come me, se la sentono. Voglio urlare per dare voce a chi magari non può￲ parlare ed è costretta a subire in silenzio. Vorrei che quello che è successo a me non accadesse mai più”.