Vivere al tempo della post-verità
Francesco Lamendola – Set 18, 2018 |
Lo spartiacque è l’11 settembre 2001.
Per dire meglio: lo spartiacque visibile è l’11 settembre 2001, con gli attacchi fasulli alle Torri Gemelle e al Pentagono: talmente fasulli che la ricostruzione di come quei quattro aerei (uno si è “perso” sprofondando letteralmente al suolo) hanno colpito i loro obiettivi ha del surreale, e nessuna seria indagine le avrebbe potute prenderla per buona. Ma, soprattutto, una stampa e una televisione ancora libere, se ci fossero, avrebbero continuato a far domande, a pretendere la verità.
Non si può continuare a sostenere che le Torri Gemelle, e per soprammercato un terzo grattacielo che non era neanche stato colpito, sono crollate in quel modo, verticalmente, perché colpite da due aerei e per gli incendi che erano scoppiati. Incendi molto limitati, peraltro. E i quei rumori di esplosioni, uditi da più di cento pompieri e soccorritori, che ne hanno dato testimonianza, e che si possono tuttora ascoltare sui cinque o sei filmati esistenti che ne fanno fede?
Quanto all’aero che ha colpito il Pentagono, come mai, prima di andare a schiantarsi, ha descritto un inverosimile cerchio che solo un pilota esperto e in vena di acrobazie avrebbe saputo fare, per colpire l’anello esterno da bassa quota e non, come sarebbe stato assai più logico, il corpo centrale dall’alto, mentre il terrorista che era ufficialmente ai comandi non sapeva nemmeno volare, così come non sapevano volare gli altri terroristi? E che dire del fatto che nessuna telecamera dei rispettivi aeroporti li ha ripresi mentre si apprestavano a salire a bordo, come se si fosse trattato di una ventina di fantasmi? Le incongruenze, le assurdità della versione governativa sono addirittura decine. Eppure, nella democrazia più libera del mondo, questa è stata presa per buona. È stato Bin Laden, hanno detto. Solo che Bin Laden non ha mai rivendicato l’11 settembre.
Altra stranezza: i terroristi avrebbero dovuto farlo, vantandosene, secondo ogni logica e ogni evidenza. E che dire di quei tremila architetti e ingegneri i quali hanno firmato un documento congiunto, mettendo a repentaglio le loro carriere, per dire che grattacieli di quel tipo non cadono, e soprattutto non cadono in quel modo, a causa di un incendio o di un cedimento strutturale? E come mai nel resto del mondo altri giornalisti, come il nostro Alberto Angela, hanno detto, nelle loro trasmissioni, che le Due Torri erano grattacieli fragili, praticamente vuoti all’interno, mentre è vero il contrario, che erano costruiti in modo da avere, al loro interno, praticamente una doppia struttura portante?
La cosa più sconvolgente è infatti questa: non le palesi menzogne del governo americano, ma la palese complicità del sistema dell’informazione mondiale. E la mancata richiesta di verità da parte della politica. Alla faccia della democrazia. Il che vuol dire che viviamo al tempo della post-verità, in cui i governi possono dire quel che vogliono, anche che c’è il sole a mezzanotte; e della post-democrazia, in cui la quasi totalità dell’informazione è pronta a farsi complice di qualunque menzogna e i popoli, in apparenza si accontentano di sentirsi dire tali cose, né pretendono dai loro governanti che si vada un po’ più a fondo nel cercare la verità.
La cosa più angosciante del vivere nel tempo della post-verità non è l’assenza di verità, ma l’assenza di domanda della verità. La gente finisce per abituarsi e adattarsi; del resto, ci si abitua e ci si adatta a tutto. L’uomo regredisce al livello di un animale, pago di sopravvivere in qualsiasi modo; anche se nemmeno questo è garantito, visto che c’erano 3.000 persone nei grattacieli che sono crollati, con tutte le caratteristiche di una demolizione controllata.
Non solo si sa che i giornali, la televisione e i libri mentono; ma si finisce per farci il callo, per non indignarsi, per non protestare, per non esigere la verità. In una democrazia normale, i cittadini avrebbero preteso la verità e non si sarebbero dati pace fino ad averla ottenuta. Non si chiede più la verità, nemmeno sulla morte dei propri parenti; si chiede l’ultimo modello di orologio, o di scarpe, o di telefonino, o di automobile. Le cose importanti, alle quali non si vuol rinunciare, restano quelle superflue: quelle pubblicizzate dal consumismo.
Come volevasi dimostrare. C’è qualcuno che ci guadagna doppiamente da tutta questa operazione: perché le masse vengono abituate a fare a meno della verità, cioè a vivere in un mondo intessuto di menzogne, e intanto le si rende sempre più dipendenti dalle futilità del consumismo, alimentando il meccanismo che arricchisce sempre più le multinazionali e le grandi banche, cioè i padroni del mondo, e ormai anche i Padroni del Discorso, e che impoverisce gradualmente tutti gli altri, fino alla scomparsa delle classi medie e alla proletarizzazione dell’intera umanità. Intanto, i Padroni del Mondo possono pianificare tutti gli 11 settembre che vogliono: ormai il test ha dato esito positivo; e anche se una percentuale di persone non crede alla versione ufficiale, la maggioranza ci crede, oppure se ne disinteressa, ed è questo che conta, in una società basata sulla quantità e sulla legge dei grandi numeri.
Se una voce dice la verità e dieci voci diffondono la menzogna, la società, nel suo insieme, finisce per abbracciare la menzogna: per conformismo, per pigrizia, per pavidità, per indifferenza. Tanto, a chi interessa la verità? La verità vi farà liberi, ha detto, a suo tempo, qualcuno. Ma a chi interessa essere liberi, quando è sufficiente credersi liberi? Quando la libertà consiste nello scegliere se mettere i propri risparmi fra cento banche diverse che hanno tutte le stesse caratteristiche; o scegliere fra cento canali televisivi che offrono lo stesso tipo di programmi; o fra cento tipi di alimenti che sono fabbricati con gli stessi principi e con gli stessi ingredienti, magari altamente nocivi per la salute, ma questo è un dettaglio secondario, visto che la confezione è carina e il cibo si presenta bene? Dopo di che, l’immigrazione controllata dal Sud del mondo verso i Paesi del Nord (altro che incontrollata e incontrollabile!) completa l’opera, abbattendo sempre più il costo del lavoro. È un capolavoro quasi perfetto e, nel suo genere, perfino ammirevole. Solo che è il capolavoro del Male.Manipolazione dei media
Tutto questo parte da lontano; non è stato improvvisato, ma predisposto da un lavoro paziente e capillare. I nostri intellettuali da moltissimo tempo vanno dicendo in tutte le salse che la verità non esiste, che ciascuno ha la sua verità e che ha tutto il diritto di averla: il che è la stessa cosa che negare che la verità esista. Oggi uno scrittore, o specialmente un filosofo, il quale si permettesse di parlare della verità come di un qualcosa che esiste realmente, verrebbe immediatamente fermato, contraddetto, sbeffeggiato, pesantemente censurato: Ma chi si crede di essere? Vuole forse riportarci al medioevo? E che cosa sarebbe, poi, la verità, una sua proprietà privata? Una volta attaccata frontalmente nella sua cittadella, la filosofia, non restava che passare all’ultimo ridotto: la teologia.
Anche questo è stato fatto: per la precisione, a partire dal Concilio Vaticano II. Ora nemmeno teologi, quelli della nuova scuola, quelli della svolta antropologica, sono più sicuri di avere la verità, o che la verità sia raggiungibile. Si vedano, a titolo di esempio, i titoli dei libri di uno dei più “famosi”, e dei più cialtroni, Hans Küng: sono tutti caratterizzati da un punto di domanda: Dio esiste? Vita eterna? Perché preti? Interrogativi che non riguardano aspetti secondari, ma le basi stesse della fede e della dottrina cristiana. Sarebbe come se uno scienziato intitolasse i suoi libri: La Terra è rotonda? La Terra è un pianeta solido? Gravita intorno al Sole? E perché fare gli scienziati, poi, e non qualcosa d’altro? Domande assurde, evidentemente: pure, ormai i teologi partono da domande di questo tipo; figuriamoci a quali conclusioni possono arrivare. Siamo in pieno relativismo e nel più sfrenato soggettivismo: ciascuno ha la sua risposta, dunque non c’è più la verità, e nemmeno un criterio per riconoscerla, qualora, per miracolo, dovessimo passarle accanto. Tutta la cultura dominante, il cinema, la televisione, ribadiscono il medesimo concetto. Ma il fatto che a dirlo siano proprio i teologi ha un significato decisivo, perché la teologia era l’ultima cittadella della verità nel mare del relativismo dilagante. La conseguenza è che, se si entra in dieci chiese, si potrà assistere a dieci modi diversi di celebrare la santa Messa: ogni prete si sente libero d’improvvisare, di aggiungere qualcosa, di togliere qualcos’altro. Non parliamo del catechismo. Siamo arrivati al punto che non si capisce nemmeno se la Chiesa cattolica è ancora cattolica, o se è diventata, per decisione del signore argentino, protestante.
Costui ha affermato, e nessuno lo ha contraddetto, che Lutero aveva ragione: e che altro significa ciò, se non che la Chiesa cattolica deve diventare protestante? E che altro significato ha il fatto che le Poste Vaticane celebrino i 500 anni della “riforma” luterana emettendo festosamente un francobollo, con Lutero e Melantone ai piedi della Croce, al posto di Maria e di san Giovanni? Cosa c’è da celebrare: lo scisma protestante? La negazione del libero arbitrio? La negazione del valore delle opere buone per la salvezza? Oppure il sacco di Roma, quando le belve luterane incendiarono, massacrarono, stuprarono suore e preti, profanarono chiese e tabernacoli: è questo che merita di essere ricordato e celebrato dalla Chiesa cattolica, a cinquecento anni di distanza? Ma se Lutero aveva ragione, allora la Chiesa cattolica aveva torto; e il Concilio di Trento, in particolare, è stato un gigantesco errore o una tragica menzogna. Da cinquecento anni la Chiesa cattolica è nell’errore e insegna la menzogna: questo è ciò che deriva logicamente dall’affermazione che Lutero aveva ragione. Ma un papa può dire una cosa simile? Un papa può dire una cosa simile e restare papa, restare a capo della Chiesa cattolica, dopo averla indirettamente accusata di essere ignorante e menzognera da cinque secoli almeno? E gli lasciano dire simili cose, e nessuno insorge, nessuno si straccia la vesti? Questa non è solo idolatria nei confronti di un uomo; è anche disprezzo della verità.
Del resto, non abbiamo appena visto il signor Bergoglio cambiare il catechismo con un tratto di penna, sulla questione della liceità della pena di morte: non lo abbiamo visto capovolgere duemila anni di Magistero, così, tranquillamente e senza che nessuno insorgesse? Senza che nessuno, non diciamo nella corte dei suoi accoliti e servitori, ma nella Chiesa tutta, fra i cardinali, fra i vescovi, si alzasse in piedi a dire: Ma questo non è possibile! Un papa non può cambiare, così, da un giorno all’altro, la dottrina della Chiesa! La dottrina della Chiesa è quella, il Deposito della fede è quello, e non si tocca: come si è permesso, questo signore, di fare una cosa del genere? Del resto, è lo stesso signore che qualche giorno fa, il 15 settembre per l’esattezza, si è rifiutato di benedire un gruppo di giovani siciliani, che glielo aveva chiesto, affermando di non voler offendere i non cattolici. Siamo arrivati a questo punto: il papa, o colui che dice di essere papa, si rifiuta di benedire i fedeli, che gli hanno chiesto di esser benedetti, per un senso di “rispetto” nei confronti di chi non è cattolico. Se non è una post-verità, questa…Il Papa Bergoglio con la Bonino
Qualcuno riesce a immaginarsi Gesù Cristo, il solo modello che dobbiamo avere sempre presente, il quale si rifiuta di dare la sua benedizione alla folla, che gliela chiede, dicendo che non vuol mancare di rispetto a quanti, in quella folla, non in credono in Lui? Siamo arrivati all’assurdo: cioè all’accettazione della non-verità. Eppure, di quel fatto scandaloso, piccolo in apparenza, in effetti di un gravità inaudita, i mass media non hanno parlato. Lo hanno passato sotto silenzio, hanno sorvolato. Perché dire alla gente un fatto così insignificante? E poi, dopotutto, si trattava di un gesto gentile, di un atto di delicatezza verso le persone di altre fedi religiose: perché non bisognerebbe apprezzarlo? Perché non lodare in quel signore argentino, ancora una volta, la straordinaria bontà, la misericordia, la carità, la dolcezza, la premura, l’attenzione rivolta a tutti indiscriminatamente? Per la stessa ragione, cioè perché il signore argentino è il miglior papa che la Chiesa abbia mai avuto la fortuna di avere nei duemila anni della sua storia, sarebbe indelicato andare a chiedergli: Santità, ma è vero o non è vero quel che dice il dossier Viganò? È vero o non è vero che lei sapeva di McCarrick da ben cinque anni, e non ha fatto niente per fermarlo, anzi, ha continuato a dargli tutta la sua fiducia? Per la stessa ragione, cioè per non mancare di rispetto a un papa così buono, così strepitosamente santo, santo già in vita, nessuno ha ritenuto di domandargli: Santità, per quale motivo non ha mai risposto ai quattro cardinali che le chiedevano un chiarimento, per il bene della anime, sui punti controverso di “Amoris laetitia”?
E ancora, sempre per rispetto e per delicatezza verso di lui, nessun giornalista, non diciamo della sua corte e dei suoi manutengoli, ma degli altri, dei laici, degli indipendenti (posto che ve ne siano) ancora) gli ha mai chiesto, in tutti questi cinque anni: Santità, ma cosa hanno fatto, di tanto grave, i Francescani e le Francescane dell’Immacolata? Per quale motivo lei li ha colpiti con tanta durezza? E perché non ha mai dato una spiegazione di tal modo di agire? Niente da fare: silenzio assoluto. Rutti rispettosi, tutti bocca cucita, tutti pronti solo ad applaudire il papa meraviglioso venuto dalla fine del mondo, per portare alla Chiesa una nuova Pentecoste.
Dobbiamo stare all’erta, se vogliamo conservare lo statuto di esseri pensanti. L’era della post-verità inaugura anche l’era della post-umanità. Andiamo incontro a un futuro dove le masse saranno non solo inconsapevoli, non solo ingannate, ma abituate a disinteressarsi di ci che è vero e di ciò che è falso. Questo significa colpire l’umanità al cuore. Gli asini e le scimmie possono anche continuare a vivere in un mondo siffatto; ma gli uomini no, a meno di abdicare alla loro umanità. Dalla società di massa si passa alla società-bestiame; dall’uomo al consumatore post-umano, pago di sopravvivere nella palude in cui è immerso, senza provar neppure la nostalgia del cielo aperto e dell’aria pura…