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Perché Salvini sbaglia a minimizzare la violenza

Andrea Ranieri 24/09/2018
Il ministro Salvini, intervenuto di fronte alla platea di Fratelli d’Italia, ha minimizzato i gravissimi fatti di Bari, dove un gruppo di attivisti antifascisti è stato aggredito con catene, tirapugni e bastoni da militanti di Casa Pound.

Salvini non ha mancato, come ha già fatto in passato, di citare i mitici lanciatori di uova seriali, “figli del PD”, come facile pretesto per evitare di esprimersi a caldo su un fatto tanto grave.


Un piccolo gruppo di antifascisti disarmati sono stati aggrediti dopo una manifestazione assolutamente pacifica da un gruppo di destra ben attrezzato. Salvini ha dichiarato di non dare retta a ciò che i giornali raccontano, ma che preferisce attende i rapporti della forze dell’ordine. Le sue parole giungono negli stessi giorni in cui migliaia di persone affollano cinema, locali e piazze o si precipitano su Netflix per guardare Sulla mia pelle, il film dedicato a Stefano Cucchi. Il giovane, pestato a morte da uomini in divisa finalmente messi di fronte alle loro colpe dalla magistratura, dopo anni in cui Ilaria Cucchi, sorella di Stefano, ha dovuto combattere per opporsi alla versione delle forze dell’ordine, che negava ogni responsabilità.
Si tratta anche dei giorni in cui, a Caltanissetta, si è aperto il processo contro tre poliziotti che avevano deliberatamente deviato su un binario morto le indagini per la strage di Via d’Amelio dove, assieme al giudice Borsellino, morirono i cinque agenti della scorta. I figli del giudice, che si sono costituiti parte civile domandano, per ora senza esito, costituzione parte civile anche del Ministero dell’Interno. Il dicastero in questione dovrebbe essere più di ogni altro interessato alla verità, visto che quel depistaggio ha impedito che si facesse luce su una strage in cui sono morti anche cinque agenti della Polizia.
Il ministro Salvini dovrebbe sapere che la credibilità delle forze dell’ordine viene preservata portando alla luce le deviazioni e gli abusi di potere del passato e del presente e facendosi promotori dei principi antifascisti della nostra Costituzione. Bisogna riconoscenza, e non fastidio, verso quei giornalisti e quei cittadini che le deviazioni e gli abusi di potere delle forze dell’ordine hanno il coraggio di denunciarli.
L’affermazione, ribadita a più riprese dal ministro, per cui lui sarebbe sempre e comunque dalla parte delle forze dell’ordine e della loro “verità” rischia di richiamare il clima delle violenze della scuola Diaz a Genova nel 2001. Allora, alcuni poliziotti si accanirono contro persone indifese per tutta una notte, convinti che il silenzio avrebbe avvolto ogni loro arbitrio e violenza.
Il capo della polizia Franco Gabrielli ha recentemente scritto che episodi simili non devono più ripetersi e che lui, se fosse stato capo della Polizia a quei tempi, avrebbe provveduto a dimettersi, a differenza di ciò che fece De Gennaro. Gabrielli, inoltre, si dice favorevole ad introdurre nel nostro ordinamento il reato di tortura.
Il ministro dell’Interno dovrebbe fare proprio lo spirito di queste affermazioni ed essere grato a quei cittadini e quei giornalisti che hanno il coraggio di denunciare. Bisognerebbe portare come esempio per i colleghi quei poliziotti che a Genova, in Sicilia e nel caso Cucchi si sono dissociati dai colleghi colpevoli, contribuendo alla ricostruzione della verità dei fatti. A meno che qualcuno, degli sciagurati avvenimenti di Genova, non provi addirittura nostalgia.