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Nella Libia in guerra fioriscono iniziative di pace dal futuro incerto

Francesca La Bella 17 settembre 2018
In un clima di nuovo caldo gli attori coinvolti nella contesa libica si muovono per cercare una definitiva soluzione al conflitto. La mancata convergenza di obiettivi rischia, però, di minare alla base tutti i tentativi in atto.

Si susseguono senza sosta gli incontri nazionali e internazionali per discutere l’attuale situazione libica alla ricerca di una via d’uscita dalla crisi. E’ della scorsa settimana la riunione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che ha esteso il mandato per la missione Unsmil in Libia fino al 15 settembre 2019 bocciando la proposta francese di elezioni per il 10 dicembre di quest’anno, mentre a novembre dovrebbe tenersi in Italia una conferenza di pacificazione tra le parti in causa.
Anche a un osservatore distratto risulta immediatamente evidente come due in particolare siano i Paesi europei coinvolti nella questione: Francia ed Italia. Schierati su fronti opposti con Roma solidamente al fianco del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al Sarraj e Parigi impegnata nel sostegno della Cirenaica guidata dal Generale Khalifa Haftar, i due governi si sono trovati in conflitto anche in merito al percorso necessario per uscire dalla crisi.
L’oggetto del contendere sono state le elezioni e l’opportunità di mantenerle nella data definita durante l’incontro di Parigi di questa primavera. Se la Francia ritiene necessario mantenere la data del 10 dicembre per garantire la stabilità del Paese, nelle intenzioni del governo italiano, il meeting di questo autunno dovrebbe, invece, consentire alle forze di Tripoli e Tobruk di trovare una mediazione in vista di nuove elezioni da indire, come da proposta britannica, “il più presto possibile, a condizione che siano presenti le necessarie condizioni di sicurezza, tecniche, legislative e politiche”.
Numerosi sono stati e saranno, parallelamente, gli incontri di vertice tra i rappresentanti di Tripolitania e Cirenaica e i loro omologhi della costa nord del Mediterraneo in vista dei prossimi passaggi del percorso di risoluzione del conflitto. Così, negli stessi giorni in cui il ministro degli esteri italiano Moavero Milanesi incontrava Haftar a Bengasi, molti sono stati i contatti tra la squadra diplomatica francese e al Sarraj, fino a giungere alla telefonata tra il primo ministro francese Emmanuel Macron e il premier libico.
Nonostante le tensioni, entrambi i governi cercano, dunque, di aprirsi anche alla parte avversa in modo da non perdere terreno rispetto al concorrente. Allo stesso modo una facciata di collaborazione viene mantenuta anche tra Roma e Parigi. Una rottura ufficiale viene probabilmente considerata troppo pericolosa date le numerose variabili e i possibili effetti di una crisi diplomatica tra i due versanti delle Alpi sia sulla politica europea sia sui destini libici.
Le iniziative di discussione non sono, però, esclusivamente legate all’ambito internazionale. Si assiste, anzi, ad un aumento esponenziale di iniziative ben radicate all’interno dei confini libici. I lunghi anni di guerra civile e le continue ingerenze internazionali hanno, infatti, dimostrato come la forza degli interessi internazionali abbia portato alla formazione di governi totalmente avulsi dalla realtà locale o al sostegno di forze paramilitari che, grazie ai soldi ed al sostegno internazionale, sono riuscite a crescere e a conquistare progressivamente potere e territori. Non un netto rifiuto della collaborazione occidentale, europea o statunitense, ma una presa di parola della classe politica libica. In quest’ottica si leggano l’incontro del Libyan peace group di Tunisi del 13 settembre o il meeting “Yes for Libia” organizzato dagli anziani della comunità di Tarhouna per sabato 15.
Particolarmente significativa risulta l’iniziativa nata nel Fezzan. All’inizio della scorsa settimana è trapelata la notizia di un possibile governo indipendente nella regione meridionale che avrebbe permesso all’area di sottrarsi alla guerra tra est e ovest. Immediata è arrivata la smentita dei rappresentanti regionali, ma non è stata negata la volontà di iniziare ad avere un ruolo maggiormente attivo nei destini del Paese.
Illuminanti in questo senso le dichiarazioni rilasciate al Fezzan Libya Media Group da Yusuf Abdulrahman, autorità locale di Sebha, che ha chiarito come il governo locale del Fezzan non volesse dichiarare l’indipendenza della regione, ma intendesse spronare le Nazioni Unite a istituire un governo di unità nazionale basato in una delle città del Fezzan per spezzare la dicotomia est-ovest. Abdulrahman avrebbe, inoltre, aggiunto che, a fronte di una totale mancanza di investimenti del Gna nel sud del Paese e un totale disinteresse sia di Tripoli sia di Tobruk rispetto alle condizioni di disagio dell’area, il governo locale sarebbe pronto a chiedere l’attivazione della legge 59 sulla governance locale per poter dare un nuovo futuro alla regione e al Paese partendo dai bisogni delle comunità locali.
Benché tutte queste iniziative siano ufficialmente tese alla mediazione tra le parti nell’ottica di una risoluzione del conflitto che porti beneficio a tutti gli attori coinvolti, il prolificare delle stesse e l’intrinseca incompatibilità tra i diversi percorsi dimostra, ancora una volta, come la pacificazione sia ancora molto lontana. La difesa degli interessi dei potentati locali e degli attori internazionali rafforza, infatti, le spinte centrifughe ed impedisce alla Libia di voltare finalmente pagina.