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Il Lussemburgo, fra accoglienza e integrazione

GIANMARCO CENCI 17 SETTEMBRE 2018
La polemica della settimana vede coinvolti da un lato il Ministro dell’Interno italiano Matteo Salvini e dall’altro il Ministro degli Esteri lussemburghese Jean Asselborn.

Come si sa, oggetto del contendere di questo inedito scontro fra Stivale e Granducato è l’annosa questione dei migranti: nell’ormai famosa conferenza sulla migrazione, tenutasi a Vienna pochi giorni fa, il battibecco fra i due ministri ripresi all’insaputa dei più, è diventato virale (soprattutto per l’imprecazione sfuggita al lussemburghese) e ha scatenato dibattiti e altre polemiche a strascico. Asselborn ha accusato Salvini di aver provocato lo scontro e di aver utilizzato metodi da “fascista degli anni ‘30”, mentre l’italiano ha ribattuto dando dell’ignorante al Ministro del granducato, colpevole di aver paragonato l’immigrazione degli italiani negli anni ’50 in Lussemburgo a quella irregolare e incontrollata di oggi. E, sui social, rilancia: “Se gli piacciono così tanto i migranti, se li prenda lui in Lussemburgo”.

Ma che cosa sta facendo il Lussemburgo per i migranti? Innanzitutto, va detto che il piccolo Granducato si è da sempre contraddistinto per essere un Paese che accoglie. Se è vero, infatti, che l’immigrazione europea degli anni Cinquanta e Sessanta è diversa da quella odierna, è anche vero che gli immigrati dell’epoca non avevano i diritti che avrebbero avuto oggi da abitanti dell’Unione Europea. C’era bisogno, all’epoca, di permessi di lavoro, di soggiorno, rendendo gli immigrati di allora molto più simili a quelli odierni di quanto potrebbe sembrare a una prima analisi superficiale. Il Lussemburgo, infatti, è stato meta privilegiata dell’immigrazione proveniente dal Sud Europa, con una particolare prevalenza di portoghesi e, in misura minore, italiani.
E anche al giorno d’oggi, è fra i pochi che accetta attivamente e concretamente la ridistribuzione dei migranti sul territorio, come, a titolo d’esempio, dimostra il recentissimo caso dell’Aquarius: cinque (quattro eritrei e un somalo) dei 141 migranti sbarcati a Malta sono giunti nel territorio appartenente all’area meridionale del conglomerato economico del Benelux. Sono molto pochi, in senso assoluto, ma non va dimenticato che il Lussemburgo è uno Stato di poco più di 500 mila abitanti e la redistribuzione è avvenuta proporzionalmente: Spagna, Francia e Germania hanno partecipato e a loro è spettato un numero maggiore.
E non è finita qui. Perché, il Lussemburgo continua a considerarsi “un paese di immigrazione”, come riportato sul sito attraverso il quale il Granducato si interfaccia con il pubblico. Chiarendo immediatamente la differenza fra cittadino europeo e persona proveniente da nazioni terze, vengono specificate le due leggi che regolano l’immigrazione sul territorio granducale. La prima è la legge sul libero movimento delle persone e sull’immigrazione, del 29 agosto 2008, mentre la seconda, del 16 dicembre di quell’anno, che riguarda l’integrazione e l’accoglienza degli stranieri. Il Ministero degli Esteri e degli Affari Europei (quello di cui è titolare Asselborn) è competente per le questioni relative all’immigrazione in Lussemburgo, specificamente all’ingresso e alla residenza degli stranieri, al diritto di asilo e ai documenti per la protezione internazionale. All’Agenzia di Accoglienza e Integrazione del Lussemburgo (in francese, lingua ufficiale del Granducato, Office Luxembourgeois d’accueil et de l’integration, OLAI) è affidato il compito di implementare e coordinare le politiche di accoglienza e integrazione per gli stranieri che si stabiliscono sui territori del Granducato, mentre è compito del Consiglio Nazionale degli Stranieri discutere, proporre e studiare, per conto proprio o su richiesta del Governo, tutte le questioni riguardanti l’integrazione.
A questo si aggiungono occasioni per discutere e implementare le politiche di accoglienza lussemburghesi, come la Conferenza Nazionale per l’Integrazione (Conférence Nationale pour l’intégration), che si tiene ogni tre anni e coinvolge lussemburghesi, stranieri residenti e mondo politico. Organizzata dall’OLAI e del Ministro della Famiglia e dell’Integrazione (a questo punto, la gestione dell’immigrazione non è più affidata al dicastero di Asselborn, ma diventa materia di politica interna, a cui è rivolto questo ministero appositamente creato), con la collaborazione del Consiglio Nazionale degli Stranieri, rappresenta un’occasione privilegiata per scambiare punti di vista e proposte sulla questione dell’integrazione, per rendere questo processo, mai facile e sempre ricco di ostacoli, più partecipato, per parlare e far parlare chi direttamente vive le sfide della vita integrata nel Granducato.
E non è finita qua. Perché, c’è tutto un mondo oltre la semplice residenza in un nuovo Stato. In Lussemburgo, esiste l’Associazione per il sostegno ai migranti lavoratori (Association de soutien aux travailleurs immigrés, ASTI), un’organizzazione non governativa fondata nel 1979 che si occupa di raggiungere la parità e l’uguaglianza di diritti per gli immigrati, con particolare riferimento a quelli politici. L’ASTI opera attivamente per risolvere i problemi dei rifugiati, dei cosiddetti migranti illegali e dei richiedenti asilo, per i quali ha inaugurato una serie di progetti e vari servizi di assistenza rivolti a persone di tutte le età e di ogni nazionalità. L’ASTI lavora in sinergia con il Comitato di collegamento fra le associazioni degli stranieri (Comité de liaison des associations étrangers, CLAE), che invece ha come obiettivo quello di garantire i diritti culturali dei migranti. Con questo si intende la salvaguardia e il riconoscimento delle espressioni culturali delle popolazioni non autoctone. A tal proposito, la CLAE organizza tavole rotonde, dibattiti e altri progetti, fra cui festival ed eventi culturali.
Questa capacità di accoglienza è testimoniata dal fatto che il piccolo Lussemburgo detiene il record di Stato con la maggior percentuale di popolazione straniera, con il suo 45%, staccando di oltre venti punti percentuali Cipro (19,5%), Lettonia (15,2%), Estonia (14,9%), Austria (12,5%), Irlanda (11,8%) e Belgio (11,3%). E, nonostante ciò, continuano gli sforzi del Granducato per implementare il proprio sistema di accoglienza e integrazione, come testimoniato da Nils Muizhnieks, Commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti Umani. Dopo una sua visita nel settembre del 2017.
Criticità rimangono anche nell’apparentemente perfetto sistema lussemburghese, come nei ritardi nel rispondere alle richieste di asilo; non va inoltre dimenticato come l’integrazione non sia un processo semplice e lineare e la realtà, talvolta, è ben più dura di quanto possa sembrare da fuori. Tuttavia, il Lussemburgo ha mostrato, negli anni, di non poter ricevere lezioni da nessuno in tema di immigrazione.