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IL PONTE BALCANICO. La strana amicizia tra Iran e Serbia

Marco Siragusa 5 luglio 2018
I primi importanti contatti tra la Yugoslavia socialista e l’Iran, guidato dallo Shah Reza Pahlevi, avvennero all’inizio degli anni sessanta con la firma nel 1963 di una convenzione sulla cooperazione nel settore dell’istruzione, della scienza e della cultura e di un accordo sulla riduzione del regime dei visti. 

Gli anni successivi videro un costante miglioramento delle relazioni tra i due paesi come dimostrato anche dalle visite ufficiali dello Shah in Yugoslavia nel 1966 e quella del Maresciallo Tito a Teheran nel 1968. Le convergenze politiche toccavano principalmente il ruolo da assumere sulle questioni riguardanti la politica internazionale e la difesa dei principi di sovranità nazionale, indipendenza e integrità territoriale di ciascuno stato.

In quegli anni infatti Tito si fece promotore, insieme a Nasser e al premier indiano Nheru, del Movimento dei paesi non allineati il cui scopo era quello di rinforzare il ruolo delle Nazioni Unite come strumento di prevenzione dei conflitti e di creare un “terzo polo” equidistante tanto dal blocco sovietico quanto da quello statunitense. Nonostante i comuni interessi, l’Iran entrò a far parte del Movimento solamente nel 1979 all’indomani della rivoluzione islamica guidata dall’ayatollah Khomeini.
Nel frattempo tra i musulmani di Bosnia si andava diffondendo, già da qualche anno, un forte sentimento nazionalista di chiara matrice islamista fomentato dalla Dichiarazione islamica del futuro presidente Alija Izetbegovic pubblicata nel 1970. La Dichiarazione sosteneva la necessità di avviare un processo di islamizzazione del popoli musulmani e la creazione di una comunità islamica dal Marocco all’Indonesia. La rivoluzione islamica iraniana del 1979 e la morte di Tito nell’anno successivo diedero nuovo impulso alle rivendicazioni nazionaliste tra i musulmani bosniaci.
L’Iran vedeva nella lotta dei bosniacchi l’occasione perfetta per allargare il proprio raggio d’influenza oltre i propri confini e dare vita a una comunità islamica in Europa. I rapporti con il Partito dell’Azione Democratica (SDA) di Izetbegovic si fecero sempre più stretti come confermato dallo stesso premier bosniaco in un’intervista del 2002 al quotidiano “Dani” in cui affermava che l’Iran ha rappresentato il maggiore sostenitore della Bosnia dal punto di vista materiale durante la guerra degli anni ’90. Il forte protagonismo iraniano nel conflitto armato (di cui abbiamo già parlato qui: link) contro i serbi portò chiaramente a una brusca rottura delle relazioni tra Belgrado e Teheran.
In linea con la nuova strategia serba in politica estera, basata sul raggiungimento di buone relazioni a condizioni di parità ed equità con tutti i paesi, negli ultimi anni si è assistito a una distensione nei rapporti politici. Tale distensione è stata favorita anche dal mancato riconoscimento da parte dell’Iran della dichiarazione d’indipendenza del Kosovo proclamata nel 2008. La decisione di non procedere al riconoscimento è legata alla stretta alleanza con la Russia, a sua volta storica alleata della Serbia e forte oppositrice dell’indipendenza kosovara. Questo ha permesso di creare un clima positivo con Belgrado dopo le enormi distanze degli anni ’90.
A partire dal 2015 i due paesi hanno raggiunto numerosi accordi nel settore del turismo, della cultura e del commercio. Proprio in quell’anno venne sottoscritto un accordo di circa 1,3 milioni di € per la fornitura da parte iraniana di componenti utilizzati nell’industria ferroviaria serba.
Uno dei passi più importanti nel miglioramento dei rapporti è stato compiuto nell’agosto 2017 con il raggiungimento di un accordo di liberalizzazione dei visti che facilita i viaggi brevi, fino a trenta giorni, per motivi di lavoro o turismo dei rispettivi cittadini. Questo accordo ha però dato vita ad un fenomeno piuttosto particolare: quello dei “finti turisti”. Nei primi mesi dell’anno, infatti, numerosi cittadini iraniani hanno scelto di arrivare in Serbia approfittando dell’assenza di visti, per poi continuare il loro viaggio verso l’Europa centrale.
Secondo l’associazione belgradese Info Park, che si occupa di assistenza ai migranti che attraversano la Serbia lungo la rotta balcanica, da febbraio ad oggi sono stati circa 6 mila i cittadini iraniani che hanno deciso di transitare per la Serbia con l’intenzione di non fare più ritorno nel loro paese. In molti casi si tratta di giovani coppie o d’individui soggetti a forte discriminazioni come omosessuali o semplici oppositori politici. Sempre secondo Info Park su circa 4 mila profughi e richiedenti asilo presenti nel paese ben 500 sono di nazionalità iraniana, la terza in termini assoluti.
Curioso inoltre come la quasi totalità di questi “finti turisti” sia arrivata in Serbia attraverso compagnie aeree turche o di paesi del golfo. Questo è stato possibile per il semplice fatto che per circa 27 anni non sono esistiti collegamenti aerei tra Belgrado e Teheran proprio a causa delle difficili relazioni tra i due paesi. La liberalizzazione del regime dei visti è stata seguita dalla riapertura, l’11 marzo di quest’anno, di una rotta aerea che collega le due capitali praticata dalla compagnia Iran Air due volte a settimana. Questo ha favorito l’arrivo di migliaia di cittadini iraniani, non tutti interessati ad un semplice viaggio turistico nella capitale serba.
Dal punto di vista economico gli scambi commerciali si mantengono ancora piuttosto bassi, con un valore complessivo di circa 20 milioni di $ l’anno. Il 22 Giugno, durante la quindicesima sessione della Commissione congiunta sulla cooperazione economica svoltasi a Teheran, sono stati raggiunti significativi accordi economici attraverso la firma di due Memorandum. Il primo riguardante il settore dell’energia e dell’estrazione mineraria, il secondo quello dell’aviazione e dell’agricoltura. Nella conferenza stampa congiunta tenuta dal Ministro dell’Industria, della miniera e del commercio iraniano Mohammad Shariatmadari e dal Ministro del commercio, del turismo e delle telecomunicazioni serbo Rasim Ljajić è stato fatto riferimento inoltre al raggiungimento nel prossimo futuro di un accordo di libero scambio che dovrebbe stimolare gli scambi commerciali, la cooperazione bancaria e gli investimenti infrastrutturali in Serbia.
Il periodo di scontro aperto legato al conflitto armato in Bosnia dei primi anni ’90 sembra ormai un lontano ricordo. I mujāhidīn iraniani hanno lasciato il posto ai nuovi migranti e agli emissari del governo in cerca di affari nella regione. Belgrado e Teheran, in questi anni, hanno trovato più conveniente mettere da parte le profonde divergenze degli ultimi decenni e aprire una nuova fase di cooperazione politica ed economica. Le relazioni sono destinate a migliorare ulteriormente, tanto in campo politico quanto e soprattutto in quello economico.