General

IRAQ. Baghdad lancia l’offensiva contro lo “Stato islamico”

Nena News 5 luglio 2018
Si sono intensificati i bombardamenti russi e siriani nella provincia di Daraa (sud della Siria) dopo il fallimento della tregua negoziata da Russia e parte dell’opposizione siriana. 

Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani (OSDI), ong di stanza in Inghilterra e vicina ai “ribelli”, sono morti almeno 6 civili nella città di Saida che le forze governative stanno provando a riportare sotto il loro controllo. L’Osdi sostiene che sarebbero stati centinaia i missili e le bombe a barile lanciate dall’aviazione siriana e russa stanotte. Il tentativo, sostiene il direttoew dell’Osservatorio Rami Abdel Rahman, sarebbe quello di obbligare i ribelli ad accettare i termini dell’accordo russo di cessate il fuoco che l’opposizione islamista ha rifiutato ieri.
I raid sarebbero in corso sulla città di Tafas (nord ovest della provincia di Deraa) e sulle cittadine vicine al confine giordano. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu terrà una riunione a porte chiuse oggi per discutere di quando sta avvenendo nel sud della Siria. Diverse potenze occidentali hanno criticato Damasco per la sua operazione in quanto viola i termini di una tregua annunciata lo scorso anno da Washington, Amman e Mosca. Secondo l’Osservatorio, il numero delle vittime civili sarebbero 150. Dato, però, che al momento non può essere verificato in maniera indipendente.
I bombardamenti avrebbero comunque prodotto risultati positivi militarmente per Damasco: al 60% della provincia di Deraa già riconquistato, l’esercito siriano avrebbe aggiunto anche il controllo per la prima volta dopo tre anni di un checkpoint nei pressi della frontiera con la Giordania.
L’Iraq ha ieri lanciato una grande offensiva militare per sradicare ciò che resta dell’autoproclamato “Stato Islamico” (Is) dal suo territorio. L’offensiva, chiamata “Vendetta per i martiri” e nata in risposta al recente rapimento e uccisione di 8 civili da parte del gruppo jihadista, vedrà impegnati sul campo contemporaneamente l’esercito, le forze speciali, le unità di polizia, i combattenti curdi peshmerga e, dall’alto, l’aviazione irachena e i jet della coalizione internazionale anti-Is a guida statunitense. A comunicare l’inizio delle operazioni è stato ieri il Comando delle operazioni congiunto iracheno (JOC).
In una nota il JOC ha fatto sapere che l’obiettivo è “ripulire [dalla presenza jihadista] la regione ad est dell’autostrada “Diyala-Kirkuk”. Secondo quanto riferisce il Comando congiunto, i primi frutti dell’intervento militare già ci sarebbero stati: un jihadista è stato ucciso, 8 sono stati arrestati e le bombe e i veicoli in loro possesso sono stati distrutti. Se questa unità di forze dovesse essere confermata, sarebbe la prima volta che il governo centrale di Baghdad e quello curdo di Erbil lavorerebbero insieme dopo le tensioni dell’anno scorso dopo in seguito al referendum curdo sull’indipendenza osteggiato dal governo centrale.
Il comunicato del JOC non trova però ancora conferme nel Kurdistan iracheno: intervistato dall’agenzia di stampa Kurdistan 24, infatti, un alto ufficiale peshmerga ha detto che non è sicuro se le forze curde ritorneranno o meno nelle aree che non appartengono ufficialmente alla giurisdizione del Governo regionale curdo (Krg). “Al momento – ha spiegato il Brigadiere Generale Sheykh Kamal – non c’è un accordo tra le forze peshmerga e l’esercito iracheno”.
Comunque sia, quella iniziata ieri è la prima ampia offensiva contro ciò che resta del fu “califfato” dopo che, lo scorso dicembre, dopo aver espulso i jihadisti dalla città di Mosul, Baghdad aveva annunciato di aver sconfitto lo “Stato Islamico”. Un annuncio, però, che non è mai conciso con una fine delle operazioni militari: in questi mesi l’esercito ha continuato ad operare in chiave anti-Is nelle regioni desertiche dell’Iraq da dove i jihadisti hanno fatto partire i loro sanguinosi attentati nel resto del Paese.
La notizia comunicata ieri dal Comando centrale iracheno giunge a una settimana di distanza dalla decisione del premier iracheno Haider al-Abadi di giustiziare centinaia di jihadisti condannati alla pena di morte. L’ordine di Baghdad è stato un chiaro tentativo di vendetta dopo la scoperta dei corpi mutilati degli 8 civili rapiti e uccisi dallo Stato Islamico avvenuta qualche giorno prima a nord di Baghdad. Un vero e proprio smacco per il premier che da mesi è sotto attacco per non aver sconfitto il gruppo jihadista nonostante a dicembre avesse dichiarato il contrario. E così, incalzato dalle critiche, prova ora a mostrare muscoli: dapprima ordinando “l’immediata punizione dei terroristi condannati alla pena capitale” e ora dando di fatto luce verde all’offensiva militare.
Continuano, intanto, il riconteggio manuale dei voti delle elezioni parlamentari irachene del 12 maggio stabilito lo scorso 6 giugno dal parlamento iracheno dopo i diffusi sospetti di brogli elettorali. Due giorni fa la Commissione elettorale irachena ha fatto sapere che un comitato di giudici controllerà il voto nei seggi di Kirkuk, di Sulaymaniyah, Erbil, Dahuk, Neneveh, Saladi, della provincia di Anbar e anche dei voti degli iracheni in Iran, Turchia, Regno Unito, Libano, Giordania, Usa e Germania. I risultati delle votazioni avevano visto vincere con 54 seggi la coalizione Sairoun, formata dal religioso Muqtada al-Sadr e il partito comunista iracheno, seguita dalle Unità di mobilitazione popolare (Hash al-Sha’abi) con 47 deputati eletti e dal Blocco della Vittoria del premier Abadi (42 seggi).
Resta tesa, intanto, la situazione nella confinante Siria. Ieri Amaq, l’agenzia dello “Stato Islamico”, ha annunciato la morte di Huthaifa al-Badri, figlio del “califfo” Abu Bakr al-Baghdadi, durante un attacco suicida a Homs “contro i nusayriti [termini denigratorio usato dall’Is per indicare gli alawiti, la comunità del presidente siriano Bashar al-Asad. Ndr] e i russi alla centrale elettrica” della città siriana. Non si sa però dove si nasconda suo padre: in questi mesi al-Baghdadi è stato dato morto in diverse occasioni e, secondo quanto dichiarato da alcune fonti dell’intelligence irachene a maggio, si troverebbe al confine siro-iracheno.
Tuttavia, più che della sconfitta di ciò che resta dell’Is, in Siria la vera partita la si sta giocando ora nel sud del Paese. L’esercito siriano, sostenuto dall’aviazione russa, avanza lentamente ma costantemente nella provincia di Deraa – ormai al 60% sotto il suo controllo – e potrebbe riprendere interamente il possesso dell’area nei prossimi giorni dopo che ieri l’opposizione islamista della Commissione dei negoziati siriani (Snc) ha annunciato il fallimento dei negoziati con i russi per un cessate il fuoco nell’area di Der’a e Quneitra.
Il motivo? Secondo la versione del Snc, Mosca si sarebbe detta contraria al ritiro delle forze siriane e dei suoi alleati iraniani dalle aree riprese e avrebbe imposto condizioni che se implementate avrebbero rappresentato una “resa umiliante” per l’opposizione. Il campo ribelle, però, resta molto diviso sulle richieste russe: di fronte all’avanzata di al-Asad, infatti, alcuni gruppi si sono arresi e hanno permesso a Mosca di entrare nelle loro città e di pattugliare i loro quartieri. Sono finora più di 100 i civili uccisi (quasi 300.000 gli sfollati) nell’offensiva iniziata da Damasco due settimane fa in questa area del Paese designata lo scorso anno nel vertice di Astana (in Kazaghistan) “zona a diminuzione del conflitto” dove cioè i combattimenti dovevano essere proibiti.